ANCHE UN SOLO SCHIAFFO “VIOLENTO” INTEGRA IL REATO DI ABUSO DI MEZZI DI CORREZIONE E DISCIPLINA
Corte di Cassazione, 5° sez. penale, n. 2100 del 19.01.2010
Avv. Daniela Conte
di Roma, RM
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MASSIMA : La reiterazione del gesto punitivo può essere una delle modalità di manifestazione dell’abuso del mezzo di correzione: questo infatti, può commettersi trasmodando nell’impiego di un mezzo lecito, sotto gli aspetti della forza fisica esercitata in un singolo gesto punitivo, che della reiterazione del gesto stesso. Ne consegue che anche un solo schiaffo, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia è sufficiente a far av
MASSIMA : La reiterazione del gesto punitivo può essere una delle modalità di manifestazione dell’abuso del mezzo di correzione: questo infatti, può commettersi trasmodando nell’impiego di un mezzo lecito, sotto gli aspetti della forza fisica esercitata in un singolo gesto punitivo, che della reiterazione del gesto stesso. Ne consegue che anche un solo schiaffo, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia è sufficiente a far avverare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 571 c.p.. così come le tirate di capelli, se sono comportamenti reiterati da parte del genitore, hanno rilevanza penale.
La Suprema Corte di Cassazione penale, con la sentenza in commento, ha sottolineato la differenza tra il reato di abuso di mezzi di correzione e disciplina (previsto dall’art. 571 c.p.) e quello dei maltrattamenti in famiglia (previsto dal successivo art. 572 c.p.).
I Giudici del Supremo Collegio, infatti, hanno osservato che il reato di abuso dei mezzi di correzione non è necessariamente abituale, ma può concretarsi anche in un solo gesto, quale “…un solo schiaffo, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia…”.
Secondo gli Ermellini, la reiterazione del gesto punitivo “…può essere una delle modalità di manifestazione dell’abuso del mezzo di correzione…”; l’abuso, pertanto, può verificarsi anche nell’ipotesi di “…forza fisica esercitata in in un singolo gesto punitivo…”.
Il reato di cui all’art. 571 c.p., osserva la Corte, è stato ravvisato – in precedenti pronunce – anche nell’ipotesi di lievi percosse e tirate di capelli “…essendo rimasto comunque escluso che tali condotte trasmodassero nell’abitualità di trattamenti, inquadrabile nel distinto reato previsto dall’art. 572 c.p…”.
La Suprema Corte ha ritenuto che la fattispecie sottoposta alla sua attenzione (un padre di famiglia era stato citato in giudizio dalla moglie separata perché ritenuto responsabile del reato di lesioni volontarie nei confronti di quest’ultima, della figlia e del figlio minore, a causa di due episodi di serie percosse nei confronti della figlia tali da integrare il reato di lesioni volontarie, seguito da episodi di lievi percosse – calci nel sedere, schiaffi – tali da integrare il reato di abuso di mezzo di correzione, nonché episodi tali da integrare il reato di lesioni personali volontarie nei confronti della moglie separata e del figlio) non integri gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia perché manca l’ abitualità di maltrattamenti, elemento che, invece, caratterizza il reato previsto dall’art. 572 c.p.
La Cassazione sottolinea, infine, che nel caso di specie il reato è stato provato “…. alla luce degli episodi consistiti in schiaffoni inferti con modalità eccessive, volgari e trasmodanti per il carattere iroso e incontenibile del soggetto, ossia in condotte così descritte dalla teste persona offesa e riconosciute dallo stesso imputato il quale … ha ammesso di avere, in varie occasioni, percosso i figli….”.
Una precisa definizione del reato di maltrattamenti in famiglia (dalla quale si evincono le differenze con il reato di abuso di mezzi di correzione) si rinviene in varie sentenze della Corte di Cassazione penale – tra le più recenti si citano Cass. pen., sezione VI, 03.03.2009 n. 9531, la quale ha stabilito che “…Il reato di maltrattamenti in famiglia può sussistere solo in quanto espressione di una condotta che richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace.Se non c’è supremazia, non vi è il suddetto reato…”, nonchè Cass. pen., sez. VI, 27.10.2007 n. 38962, secondo cui “…E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, laddove la condotta antigiuridica abbia influenzato negativamente lo sviluppo psichico del soggetto passivo (nella specie la condotta incriminata era consistita nel “gioco del dottore”)…”. Cass. pen., sez. VI, 13.02.2009 n. 6490 ha sottolineato che per integrare il reato di cui all’art. 572 c.p. è sufficiente la volontà e consapevolezza del soggetto agente di “…E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, laddove la condotta antigiuridica abbia influenzato negativamente lo sviluppo psichico del soggetto passivo (nella specie la condotta incriminata era consistita nel “gioco del dottore….”)-.
Cass. pen., sez. VI, 12.09.2007 n. 34460 ha sottolineato, invece, la differenza tra il reato di cui all’art. 571 c.p.p. e quello di cui all’art. 572 c.p.p., affermando che “…Il delitto di “abuso dei mezzi di correzione e disciplina” presuppone un uso consentito e legittimo dei mezzi educativi, che, senza attingere a forme di violenza, trasmodi in abuso a causa dell'eccesso, arbitrarietà o intempestività della misura. Ove, invece, la persona offesa sia vittima di continui episodi di prevaricazione e violenza, tali da rendere intollerabili le condizioni di vita, ricorre il più grave reato di maltrattamenti in famiglia….”.
In conclusione, pertanto, perché si concretizzi il reato di abuso di mezzi di correzione - ai sensi dell’art. 571 c.p. - è sufficiente un gesto punitivo violento (schiaffi, calci, pugni, ecc.), mentre la reiterazione (episodica e non abituale) dei gesti punitivi costituisce un’aggravante del reato medesimo, a meno che il soggetto agente non ponga in essere una condotta abituale di prevaricazione e violenza accompagnata dalla volontà e consapevolezza di trovarsi in una posizione di supremazia rispetto al soggetto ( o i soggetti) che la subiscono; in quest'ultimo caso, ci sono gli estremi per una condanna per il più grave reato di maltrattamenti in famiglia, ai sensi dell'art. 572 c.p.
Roma, 21.01.2010 Avv. Daniela Conte
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