«Con riferimento al permanere di un interesse risarcitorio, e quindi in relazione all’applicabilità alla presente fattispecie dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., a mente del quale “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, va evidenziato che, nel caso di specie, non si ritengono sussistenti i presupposti per una decisione di merito. Difatti la norma non può essere interpretata nel senso che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte o, addirittura d’ufficio, lo stesso giudice debba verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori. A ciò si oppongono due ordini di considerazioni: in primo luogo, se si considera l’id quod plerumque accidit, non vi è che un ristrettissimo numero di controversie in cui non si potrebbe, in astratto, individuare un interesse di natura risarcitoria. In particolare, con la valorizzazione della categoria del danno non patrimoniale, anche provvedimenti amministrativi non eseguiti, perché sospesi, potrebbero aver provocato dei danni risarcibili. Di conseguenza, si eliminerebbero quasi del tutto le pronunce di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, espressamente contemplate dall’art. 35, comma 1, lett. c., cod. proc. amm. Ma l’argomento più solido a supporto della tesi sostenuta in questa sede, è rappresentato dalla positivizzazione del principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria (art. 30 cod. proc. amm. e, in giurisprudenza, Consiglio di Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3). Essendovi la possibilità di proporre in via autonoma l’azione risarcitoria, indipendentemente dall’azione di annullamento, nessuna lesione al diritto del destinatario del provvedimento asseritamente illegittimo deriverebbe da una mancata decisione del merito del ricorso che fosse divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Anzi, tale mancata pronuncia eviterebbe di limitare la cognizione del giudice aventi al quale sarebbe proposta l’azione risarcitoria pura in ordine ad alcuni degli elementi necessari per individuare il danno risarcibile – ad esempio, l’illegittimità del comportamento amministrativo – e consentirebbe un giudizio pieno in relazione al complesso dei presupposti richiesti per ottenere un risarcimento. Del resto, non sempre all’accertata “non illegittimità” di un provvedimento segue il mancato risarcimento del danno (cfr., per esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 29 settembre 2011, n. 2319), come pure nella proposizione successiva dell’azione risarcitoria il ricorrente non sembra tenuto a reiterare puramente e semplicemente le identiche censure proposte nel preventivo giudizio impugnatorio. Infine, procedere in ogni caso alla definizione del merito della controversia potrebbe essere inutile, dato che il ricorrente potrebbe non proporre successivamente alcuna domanda risarcitoria. Pertanto, l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. deve applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio (e ciò pare del tutto evidente), oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo». Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma Fonte:www.giustizia-amministrativa.it