Illegittimi i contratti a termine stipulati da Poste spa dopo il 30.04.98
Corte Suprema di Cassazione - sezione Lavoro, Sentenza 21 aprile 2009 n. 9463
Avv. Lorenzo Cuomo
di Cava de' Tirreni, SA, Italia
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La Corte conferma il suo orientamento con riguardo alla illegittimità del termine, per i contratti stipulati da Poste spa dopo il 1998. La Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ...), dopo il 30 apr
La Corte conferma il suo orientamento con riguardo alla illegittimità del termine, per i contratti stipulati da Poste spa dopo il 1998.
La Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ...), dopo il 30 aprile 1998. Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 - nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all'individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ritiene corretta l'interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l'impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenze pronunziate dal Tribunale di Milano veniva accertata la nullità dell'apposizione del termine all'assunzione dei dipendenti della Poste Italiane s.p.a. precisati a margine di ogni pronunzia, a decorrere (per quello che qui occorre rilevare) dalla data indicata per ognuno, con condanna del datore al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni arretrate: - n. 2213/02: M.C. (1.9.99); - n. 2280/02: S.M. (17.10.00); - n. 2283/02: C.C. (1.6.99). Avverso dette pronunzie proponeva appello la soc. Poste Italiane. Rimaneva contumace la ricorrente M., mentre resistevano S. e C.; quest'ultima proponeva appello incidentale in punto di decorrenza delle retribuzioni dovute a titolo di risarcimento. Riunite le cause, la Corte d'appello di Milano con sentenza 19.5 - 15.9.04 rilevava che i contratti erano stati stipulati in forza dell'art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall'accordo sindacale 25.9.07 e che le assunzioni, tutte motivate da esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale, erano da ritenere ammesse fino alla data del 30.4.98, di modo che per le assunzioni successivamente disposte il termine era illegittimamente apposto. Rigettava, pertanto, l'impugnazione principale in punto di validità del termine, mentre la accoglieva in punto di ripristino del rapporto e di risarcimento del danno, statuendo che nella specie, non costituendo licenziamento il richiamo al termine finale, potevano essere disposti non la reintegra, ma solo la riassunzione ed il risarcimento del danno dal momento in cui i dipendenti avevano messo a disposizione della controparte le loro energie lavorative. Pertanto, in riforma della prima sentenza, condannava la società a riammettere in servizio la M. e non a reintegrarla, nonchè a pagare la retribuzione a C. dalla data della costituzione in mora. Di quest'ultima rigettava, inoltre, l'appello incidentale. Avverso questa sentenza la soc. Poste Italiane proponeva ricorso per Cassazione, cui rispondevano con controricorso tutte le intimate. Ha depositato memoria la soc. Poste italiane, con cui sottolinea - tra l'altro - l'avvenuta conciliazione della controversia in sede sindacale con la dipendente S.. MOTIVI DELLA DECISIONE La ricorrente ha prodotto in allegato alla memoria un verbale di conciliazione sindacale intercorso tra di essa e la intimata S.. Dal verbale di conciliazione sindacale risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell'intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che - in caso di fasi giudiziali ancora aperte - le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale. Detto accordo comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale in quanto l'interesse: ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l'azione o l'impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale va valutato l'interesse ad agire (Cass. S.u. 29.11.06 n. 25278). Tenuto conto del contenuto transattivo del verbale di conciliazione, deve affermarsi l'esistenza di giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Passando alle posizioni degli altri dipendenti, il ricorso della soc. Poste deduce innanzitutto (primo motivo) la contradditorietà della sentenza impugnata quando afferma che l'accordo 25.9.97 deroga alla disciplina generale del contratto a termine e poi sostiene che l'ipotesi pattizia derogatoria sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia. Deduce, inoltre la violazione: della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, ritenendo che il limite di efficacia non è da esso desumibile (secondo motivo); dell'art. 1362 c.c. e segg. e 8 del c.c.n.l. 26.11.94, nonchè dell'accordo 25.9.97, contestando l'interpretazione data a quest'ultimo in relazione al successivo accordo 16.1.98 (terzo motivo); degli artt. 1206, 1219, 2099 e 2697 c.c., nonchè della L. n. 260 del 1962, art. 1, sottolineandosi in subordine che, decorrendo la mora accipiendi dall'offerta della prestazione e non potendo considerarsi tale la notifica della richiesta di tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c., sarebbe mancata la prova della messa a disposizione della prestazione. Procedendo a trattazione unitaria dei primi due motivi di ricorso, deve rilevarsi che tutte le assunzioni per cui è stata dichiarata nulla l'apposizione del termine risultano effettuate in base alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell'attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. La Corte territoriale, come rilevato in narrativa, ha dato rilievo decisivo al fatto che le parti collettive, avendo raggiunto un'intesa originariamente priva di termine, avevano stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98; i contratti a termine in esame, stipulati in epoca successiva all'ultimo dei limiti temporali sopra indicati, erano illegittimi in quanto privi del supporto derogatorio. Al riguardo debbono essere rigettate le censure della soc. Poste Italiane in quanto detta impostazione interpretativa delle fonti collettive è stata a più riprese ritenuta conforme ai canoni di ermeneutica negoziale dalla giurisprudenza di legittimità. Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ...), dopo il 30 aprile 1998. Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 - nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all'individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ritiene corretta l'interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l'impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale; straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In particolare, la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell'interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. 28.8.03 n. 12245, Cass. 25.8.03 n. 12453). Tale interpretazione è, altresì, rispettosa del canone ermeneutico di cui all'art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25.9.97); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano "senza senso" (così testualmente Cass. 14.2.04 n. 2866). E', infine, corretta, nella ricostiuzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l'irrilevanza attribuita all'accordo del 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell'ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l'intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell'accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell'indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell'interpretazione autentica (previsto peraltro solo per il lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141). Tale orientamento deve essere qui confermato, atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all'attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti. E' infondato anche il terzo motivo di ricorso, che censura la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la società al pagamento della retribuzione maturata a decorrere dalla data dell'intimazione a ricevere la prestazione. La soluzione adottata dal giudice di merito è conforme all'insegnamento di questa Corte (v. la sentenza a S.u. 8.10.02 n. 14381, nonchè, da ultimo, la sentenza 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all'analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per l'illegittimità dell'apposizione dei termini, o comunque della violazione delle disposizioni della L. n. 230 del 1962 ha affermato che il dipendente che cessa l'esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell'impossibilità della prestazione derivante dall'ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla - in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione - qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell'art. 1217 c.c.. La sentenza impugnata si è attenuta a questo principio, in quanto ha ritenuto che la messa in mora - ai fini che qui ingessano - è riscontrabile solo in quegli atti in cui sia presente l'intimazione a ricevere la prestazione; la circostanza che tale intimazione possa non essere presente nell'atto di impugnazione del licenziamento, nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione o nel ricorso introduttivo è questione di fatto che in questa sede non può essere sollevata. In conclusione, in ragione dell'infondatezza dei motivi dedotti, deve essere rigettato il ricorso proposto nei confronti di C. e M.. Le spese di giudizio debbono essere compensate per la posizione interessata dall'inammissibilità, in ragione delle statuizioni al riguardo adottate dalle parti all'atto della conciliazione. Per quanto riguarda le altre posizioni, le spese seguono la soccombenza e, tenendo conto della differenziazione delle difese delle controricorrenti, debbono essere liquidate come da dispositivo. P.Q.M. LA CORTE così provvede: - dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di S.M., con compensazione di spese; - rigetta il ricorso proposto nei confronti di C.C. e M.C. e condanna la società Poste Italiane p.a. al pagamento delle spese processuali in favore delle stesse, che liquida per esborsi in Euro 37,00 per la prima ed in Euro 30,00 per la seconda e per onorari in Euro 2.000,00 per ciascuna, oltre per entrambe spese generali, Iva e Cpa. Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2009.CONDIVIDI
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