Protezione sussidiaria al soldato nigeriano che ha scoperto la corruzione di alcuni ufficiali dell'esercito
Tribunale di Torino, Sezione Nona Civile, Ordinanza del 10 aprile 2012
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 516 volte dal 31/05/2012
E’ accolto il ricorso e, in parziale riforma del diniego impugnato, deve essere riconosciuto al ricorrente lo status di protezione sussidiaria. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione territoriale, il racconto del ricorrente, del tutto coerente con le notizie disponibili sulla Nigeria, deve ritenersi adeguatamente articolato e circostanziato per quanto riguarda la sua vicenda personale e tutto sommato convincente dal punto di vista della sua attendibilità intrinseca. Il ricorrente ha quindi compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornire tutti gli elementi pertinenti in suo possesso, sia documentativi che dichiarativi, ragion per cui devesi ritenere raggiunto uno standard di prova accettabile alla stregua dei parametri previsti dall’art. 3 del D.Lgs. n. 251/2007, così come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.
SEZIONE IX CIVILE
PROTEZIONE INTERNAZIONALE
[...]
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
[...]
Avente ad oggetto: l’impugnativa del provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della protezione internazionale di Torino, emesso in data 1.12.2011, notificata in data 12.1.2012;
MATERIA DEL CONTENDERE E MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con ricorso depositato in data 7.2.2012, il ricorrente ha proposto impugnazione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino del 1.12.11, con il quale la Commissione ha deciso di non riconoscere in suo favore alcuna forma di protezione internazionale o umanitaria con la seguente motivazione:
“considerato che il richiedente ha riferito e provato attraverso la produzione di copioso materiale documentale di essere stato membro delle forze armate della Nigeria e di aver partecipato a missioni di mantenimento della pace in Sud Sudan e Liberia. Dalle dichiarazioni rese e dai documenti prodotti si evince come il medesimo sia stato un tiratore scelto dell’esercito e abbia conseguito la qualifica di logista e abbia completato un corso di supporto a processi di mantenimento della pace. Lo stesso ha riferito di essere stato costretto a fuggire in Libia e, durante il recente conflitto in quel paese, a trovare rifugio in Italia per non incorrere in ritorsioni da parte di emissari di alcuni generali dell’esercito. Il richiedente avrebbe infatti preso parte a delle indagini su di un traffico di armi tra alte cariche dell’esercito e gruppi ribelli del Niger Delta durante il periodo in cui sarebbe stato dislocato presso la JTF (Joint Task Force). Il medesimo ha altresì dichiarato di essere stato parte di una unità speciale impegnata in operazioni di intelligence e che, in quanto membro di questo gruppo – peraltro dallo stesso non definito in maniera specifica – avrebbe raccolto informazioni sufficienti ad incriminare tre generali dell’esericto. Una volta passate le prove della loro colpevolezza al suo superiore, tale Colonello J.B. Taiwo, quest’ultimo sarebbe stato misteriosamente assassinato nella località di Umuahia, sita tra Port Harcourt ed Enegu; rilevato che il profilo dell’interessato – un soldato semplice con competenze specifiche nell’area logistica e delle operazioni di mantenimento della pace – non sia coerente con una sua assegnazione a funzioni di intelligence; il fatto inoltre che non sia in grado di fornire informazioni relative alla suddetta indagine contribuisce a rendere ancora meno credibile quanto dichiarato. Non si ritiene quindi attendibile che il richiedente abbia potuto essere assegnato a questa funzione: il fatto, inoltre, che nelle fonti pubblicamente disponibili non si trovino informazioni relative al suo superiore, né in particolar modo, alla sua uccisione, porta a ritenere tale fatto come non sussistente. Da ultimo, particolarmente poco credibile pare il fatto che lo stesso abbia raccolto informazioni sotto copertura presso i ribelli contando sulle sue competenze linguistiche che l’avrebbero reso non identificabile: da quanto riferito, infatti, l’interessato non conosce se non in maniera superficiale, le lingue prevalentemente parlate tra le popolazioni del Niger Delta…; non si ravvisano inoltre i presupposti per la richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari… anche in considerazione di motivi ostativi al suo rientro”.
Il ricorrente lamenta una errata valutazione della sua situazione e chiede il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) o il rilascio di un permesso per motivi umanitari o di protezione temporanea.
[...]
2) Come noto, l’art. 2 del d. lgs. 2007 n. 251, definisce “rifugiato” il “cittadino straniero il quale, per fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate non può o, a causa di tale timore non vuole farvi ritorno…”.
Gli artt. 7 e 8 del d. lgs. 19.11.2007 n. 251, prevedono poi che gli atti di persecuzione devono a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali; b) costituire la somma di diverse misure, tra cui la violazione dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercire sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a). Il secondo comma dell’art. 8 esemplifica le forme che gli atti di persecuzione possono assumere.
Quanto alla protezione sussidiaria - che può essere concessa al cittadino straniero che non possieda i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine (o, in caso di apolide, nel Paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale) correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e che non può, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di tale paese – l’art. 14 predefinisce i danni gravi che il ricorrente potrebbe subire e precisa che sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; 2) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Inoltre, ex art. 5 del d. lgs. 2007 n. 251, responsabili del danno grave, come peraltro della persecuzione rilevante ai fini dello status di rifugiato, devono essere: 1) lo Stato; 2) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; 3) soggetti non statuali se i responsabili di cui ai punti 1) e 2), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.
Infine deve essere osservato che l’art. 3 del d. lgs. 2007\251 prevede che, qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri quando l’autorità competente a decidere ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita idonea motivazione dell’eventuale mancanza di alti elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente siano da ritenersi coerenti, plausibili e non in contrasto con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone relative al suo caso; d) egli abbia presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) il richiedente sia in generale attendibile.
Dal complesso della norma risulta pertanto che le prospettazioni del ricorrente devono essere suffragate da prove e nel caso in cui ciò non sia avvenuto, occorre procedere ad una valutazione dell’attendibilità e della verosimiglianza dei fatti esposti, tenendo presente i parametri legislativamente definiti.
3) Avuto riguardo ai riferimenti normativi sopra riportati, ritiene il Tribunale che il ricorso debba essere accolto sussistendo in capo a Xxx i requisiti di legge che stanno alla base di avente diritto alla protezione sussidiaria.
E’ pacifico, documentato in atti e non contestato dall’AA che Xxx di nazionalità nigeriana, è stato membro delle forze armate della Nigeria e ha partecipato a missioni di pace nel Sud Sudan e in Liberia.
Ora, il ricorrente ha fatto presente che rientrato dall’ultima missione in Liberia nel settembre 2007, è stato mandato sotto copertura a Port Harcourt: “Quella è la regione petrolifera del Paese dove ci sono tutte le raffinerie…. Le persone del posto chiedono delle compensazioni per le attività estrattive, in quanto dicono che quell’attività rovina il territorio…I soldati vengono dislocati in zona per poter riprendere controllo dell’area. Tuttavia, i bianchi vengono continuamente sequestrati: la soluzione del problema è ancora lontana. Il mio comandante mi ha mandato a Port Harcourt a fare indagini: dovevo scoprire per quali motivi i sequestri continuavano”.
In relazione alla missione a Port Harcourt, ha riferito: “mi ci sono voluti comunque alcuni mesi per capire, realmente, come stessero andando le cose. A quel punto sono, infatti, venuto a sapere che alcuni generali erano responsabili della vendita di armi ai militanti. In cambio dai militari ottenevano del petrolio grezzo”.
Raccolte le prove (molte foto e testimonianze tra le persone locali: “avevo un registratore con cui raccoglievo informazioni. Avevo anche una macchina fotografica con cui sono riuscito a scattare delle foto che ritraevano i militari mentre effettuavano questi scambi”), il ricorrente ha portato tutto al suo comandante che, tuttavia, non ha fatto in tempo a portarle al quartier generale in quanto è stato assassinato sulla strada che va da Port Harcourt a Enugu con un finto incidente stradale: “In realtà l’auto è stata capovolta e bruciata per tentare di mascherare come era morto. E’ stato nel gennaio del 2009…”.
A questo punto, il ricorrente – temendo di fare la stessa fine, dato che anche alcuni suoi colleghi erano stati uccisi (all’udienza del 4.4.12 ha specificato che il suo superiore a cui dava le informazioni aveva un fascicolo con il suo nome) è scappato in Libia e dalla Libia, a seguito della guerra civile che ha recentemente interessato questo paese, in Italia.
4)Ora, nell’apprezzare la sussistenza dei requisiti dell’invocata protezione internazionale, occorre fare riferimento ai principi espressi dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che “in materia di riconoscimento dello “status” di rifugiato, i poteri istruttori officiosi prima della competente Commissione e poi del giudice, risultano rafforzati; in particolare, spetta al giudice cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine. In tale prospettiva la diligenza e la buonafede del richiedente si sostanziano in elementi di integrazione dell’insufficiente quadro probatorio, con un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull’onere probatorio dettate dalla normativa codicistica vigente in Italia.” (Cass., SSUU, 17.11.2008 n. 27310).
Tali principi sono stati affermati anche dalla giurisprudenza di merito che ha ribadito che “La Legge impone di considerare veritieri gli elementi delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non suffragati da prove, allorché egli abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e le sue dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone”.
Chiariti i criteri di riferimento, ritiene il Tribunale che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Autorità Amministrativa, il racconto di – del tutto coerente con le notizie disponibili sulla Nigeria, sulla guerriglia nelle zone petrolifere e sulle attività delle bande che si sono imposte sulla scena anche internazionale mediante rapimenti di personale impiegato dalle società petrolifere – sia adeguatamente articolato e circostanziato per quanto riguarda la sua vicenda personale e tutto sommato convincente dal punto di vista della sua attendibilità intrinseca.
Come si è detto, il ricorrente ha prodotto documentazione attestante la sua appartenenza alle forze armate della Nigeria ed alla sua impiego in missioni di pace in Sud Sudan ed in Liberia: si tratta di documenti [fotografie che lo ritraggono (più giovane) in divisa militare con il basco blu, tesserino dell’esercito nigeriano, medaglia ed attestazione delle Nazioni Unite “per aver completamente raggiunto i requisiti di idoneità ed aver completato il periodo previsto di servizio qualificato come membro militare delle Nazioni Unite nella missione in Liberia”] della cui autenticità neppure la CT dubita.
Il ricorrente ha poi descritto con ricchezza di dettagli e senza incongruenze la sua attività di informatore per l’esercito nella zona petrolifera della Nigeria ed i dubbi espressi dalla CT sul punto non risultano fondati.
E’ infatti del tutto plausibile che per l’attività di infiltrazione tra i guerriglieri sequestratori l’esercito abbia utilizzato militari di basso grado ma tecnicamente specializzati (il ricorrente era infatti un soldato semplice, appartenente alle forze speciali di fanteria) e perfettamente sconosciuti nella zona, così come è del tutto plausibile che il ricorrente, che era appena rientrato in patria dopo la missione in Liberia in cui aveva dato ottima prova di sé, sia stato utilizzato per una operazione così delicata ed importante.
Anche le perplessità manifestate dalla CT in ordine alle competenze linguistiche
del sig. Xxx sono del tutto infondate. Già in sede di audizione amministrativa il ricorrente ha infatti dichiarato: “…anch’io vengo dal sud, ossia da una regione petrolifera: per usare l’espressione che usiamo in Nigeria, io sono un <south south>. Io infatti parlo anche la loro lingua: per questo motivo, tra le altre cose, avevano inviato proprio me a fare delle indagini…”; i militanti del Delta “hanno diverse lingue. Per esempio Ikere e Nkwere. Non parlo quelle lingue, tuttavia, ci si può capire tra noi del Sud” .
Non deve stupire, poi, che nelle fonti pubblicamente disponibili non si trovino riscontri relativi al superiore del ricorrente (colonnello Taiwo) atteso che, da un lato, lo stesso apparteneva stabilmente al servizio di intelligence dell’esercito nigeriano e, dall’altro, che la sua uccisione è stata organizzata come un evento accidentale (sinistro stradale).
Pare dunque al Tribunale che il richiedente – che ha presentato domanda di protezione internazionale appena arrivato in Italia - abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornire tutti gli elementi pertinenti in suo possesso, sia documentali che dichiarativi.
La vicenda esposta poi, come sopra delineato, presenta una sostanziale logicità, è coerente con la storia del richiedente e corrisponde a fatti noti e risaputi sul paese di origine.
Si deve quindi ritenere raggiunto uno standard di prova accettabile alla stregua dei parametri dall’art. 3 del d. lgs 2007 n. 251, così come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito soprarichiamate.
5)Non ritiene tuttavia il Tribunale che sussistano in capo al ricorrente i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo incontroverso che lo stesso non teme di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica.
Appare piuttosto accoglibile la richiesta subordinata di protezione sussidiaria atteso che il pericolo di “grave danno”, come definito dall’art. 14 del d. Lgs. 251 n. 2007 riguardante la persona di può ritenersi accertato sulla base delle vicende di cui è stato protagonista e sulla base del fatto che, in caso di rientro in Nigeria, lo stesso sarebbe esposto al rischio di essere ucciso o, quanto meno, al rischio di subire torture o altre forme di trattamento inumano o degradante da parte di quei settori deviati e collusi con i ribelli dell’esercito nigeriano.
La domanda di protezione sussidiaria deve pertanto essere accolta, e ciò assorbe e rende ininfluente l’esame dell’ ulteriore richiesta di protezione umanitaria formulate in via gradata.
[...]
P.Q.M.
RICONOSCE in capo a Xxx nato il 14 settembre 1979 a Uromi (Nigeria), la protezione sussidiaria;
[...]
TORINO, 10.4.2012.
Il Giudice
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