Protezione internazionale all'attivista ucraino. I rischi di violazione dei diritti umani in patria sono elevati
Tribunale di Catanzaro, Sezione Seconda Civile, Ordinanza del 20 aprile 2012
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 1089 volte dal 05/06/2012
Riconosciuto il diritto alla protezione internazionale ad un cittadino ucraino, nel caso di rientro nel paese di origine a causa della precedente attivita' politica dell'interessato. Tali rischi risultano anche dai rapporti delle organizzazioni per i diritti umani, quali Amnesty International, nonchè dalla coerenza delle risposte all'intervista rilasciata alla Commissione da parte del cittadino ucraino. In caso di rientro, vi è la concreta possibilità di persecuzione per fini politici a carico del richiedente.
SECONDA SEZIONE CIVILE
[...]
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
[...]
avente ad oggetto domanda di riconoscimento del diritto alla protezione internazionale [...]
FATTO E DIRITTO
1.1. Il Xxx, cittadino dell'Ucraina, dopo essere fuggito dal suo Paese ed essere entrato in Italia, proponeva, con atto spedito a mezzo del servizio postale in data 23 novembre 2011 e pervenuto in Cancelleria in data 29 novembre 2011, ricorso avverso il provvedimento datato 5 maggio 2011 e notificato in data 24 ottobre 2011, con cui la Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato Politico di Crotone aveva deciso di "non riconoscere la protezione internazionale".
Il ricorrente censurava la pronuncia della commissione, siccome munita di una motivazione solo apparente, prospettava di essere stato costretto ad abbandonare il proprio Paese a causa delle persecuzioni subite, e pertanto chiedeva il riconoscimento dello status di rifugiato politico, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
[...]
1.2. In via preliminare, si evidenzia la tempestività del ricorso introduttivo, spedito a mezzo posta, ai sensi dell'art. 19, co. 3, D. Lgs. 1 settembre 2011 n. 150, in data 23 novembre 2011 e, pertanto, entro il termine di trenta giorni dalla data di notificazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale. Infatti, ai fini della verifica della tempestività del ricorso, occorre avere riguardo alla data di spedizione del ricorso piuttosto che a quella di ricezione del medesimo.
2. Preliminarmente, deve rilevarsi che la procedura per il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale è regolata da un complesso di norme con cui lo Stato Italiano ha, sostanzialmente, dato attuazione ai principi contemplati dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954 n. 722, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con legge 14 febbraio 1970 n. 95, nonchè alle diverse direttive emanate dalla Comunità Europea in tema di rifugiati o di persone altrimenti bisognose della protezione internazionale.
In particolare, con riferimento al caso di specie, assumono rilievo le disposizioni contenute nel d. Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, e nel d. Lgs. 28 gennaio 2008 n. 25.
L'art. 2, lett. e) del d.lgs. 251/2007 definisce lo straniero che può aspirare alla concessione dello status di rifugiato – mutuando la definizione contenuta nella Convenzione di Ginevra – come colui che per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per una opinione politica, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole avvalersi della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza.
L'atto di persecuzione, per essere rilevante ai fini della concessione dello status di rifugiato, deve provenire da un organo dello Stato di provenienza del richiedente, ovvero da partiti o da qualsiasi altra organizzazione, anche non statale, ed anche di matrice internazionale, che abbiano il controllo dello Stato o anche di una parte consistente del suo territorio e deve essere idoneo a ledere diritti umani fondamentali.
Lo strumento di persecuzione può concretizzarsi nelle forme più diverse: oltre alla violenza fisica o psichica, l'atto persecutorio può anche consistere in un provvedimento legislativo o amministrativo o giudiziario, a condizione che esso si traduca in atti discriminatori o sproporzionati rispetto al fine per il quale sono stati adottati. Tra essi, senz'altro rientrano quelli diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia.
I motivi della persecuzione devono riguardare la razza, la religione, la nazionalità, l'appartenenza ad un gruppo sociale o le opinioni politiche dell'individuo.
Inoltre, la domanda di protezione internazionale può essere accolta solo ove sia accertato che nel Paese d'origine non sono individuabili dei soggetti, quali lo Stato, ovvero partiti e/o organizzazioni che ne controllano il territorio ovvero organizzazioni internazionali ivi presenti che possano offrire protezione attraverso l'adozione di misure adeguate atte ad impedire che il rifugiato possa subire atti persecutori o danni gravi.
3. Ove allo straniero non possa essere riconosciuto lo status di rifugiato, può tuttavia essere accordata la c.d. protezione sussidiaria.
È, infatti, persona ammissibile alla protezione sussidiaria il "cittadino di un Paese non appartenente all'Unione Europea o apolide che non possiede i requisiti per essere rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d'origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall'art. 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007 c. 151, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese".
Più precisamente, secondo il citato art. 14 "sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese d'origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale".
4. Nell'interpretare il complesso normativo in esame, attuativo di una disciplina comunitaria, occorre tener presente che l'art. 8 della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, che, rubricato Protezione all'interno del paese d'origine, così stabilisce: "Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda. Il paragrafo 1 si può applicare nonostante ostacoli tecnici al ritorno al paese d'origine".
La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, 16 febbraio 2012, n. 2294) ha recentemente ritenuto che la norma in esame della direttiva lasci dunque agli Stati membri la facoltà se trasporla o meno nel proprio ordinamento ("gli Stati membri possono stabilire"); nel caso dell'Italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il decreto legislativo n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Ciò significa, secondo la Suprema Corte, che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie, con la conseguenza che il giudice del merito non potrebbe avvalersi di tale criterio, che prende in considerazione la possibilità del richiedente lo status di rifugiato di trasferirsi in altra regione del proprio Paese, per escludere la possibilità di riconoscere lo status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria o altre forme di protezione ove fossero esistenti i requisiti per qualcuno dei detti riconoscimenti.
Questo Tribunale non condivide l'orientamento della Corte di Cassazione testé illustrato.
Al contrario, come è evidente dal tenore puntuale della direttiva, essa si rivolge non solo al legislatore, ma anche direttamente all'operatore giuridico, che si trovi ad applicare la normativa nazionale per valutare se debba essere o meno riconosciuta la protezione internazionale a chi lo richieda. L'interprete, quindi, deve dare della norma interna un'interpretazione conforme alla disciplina comunitaria e, quindi, deve valutare se l'istante possa ricollocarsi in condizioni di sicurezza all'interno del proprio Paese, nel qual caso, e tenuto conto di tutte le circostanze, l'interprete può ritenere non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione.
In tal senso, peraltro, si è già espressa altrettanto recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. VI, ord. 24 marzo 2011, n. 6879).
Il risultato di una diversa interpretazione sarebbe paradossale: al cittadino statunitense o canadese o australiano, per esempio, dovrebbe riconoscersi il diritto ad ottenere lo status di rifugiato in Italia se provenga da un borgo in cui si siano verificati problemi di ordine pubblico per via di una guerra tra bande criminali (un fenomeno simile alle faide conosciute nella Regione in cui questo Tribunale ha sede), pur potendo egli sfuggire al pericolo sol trasferendo la propria residenza in un'altra, più tranquilla, zona del Paese. È evidente, allora, che se simili risultati sono irragionevoli, non condivisibile è anche l'opzione ermeneutica che ad essi conduce.
5. Il ricorrente ha dichiarato di provenrie dalla Ucraina, onde deve verificarsi la situazione interna di tale Stato.
Sul sito di Amnesty International (Rapporto 2011) si legge, riguardo all'Ucraina: "Ci sono state segnalazioni di tortura e altri maltrattamenti nelle carceri e durante la custodia di polizia. Detenuti e presunti criminali non hanno ricevuto cure mediche adeguate.
Difensori dei diritti umani sono stati aggrediti e hanno subito vessazioni da agenti di polizia. Rifugiati e richiedenti asilo sono stati minacciati di rimpatrio forzato e altre violazioni dei diritti umani. La polizia ha discriminato le minoranze etniche e manifestanti pacifici sono stati arrestati e sottoposti a violenze.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Sono continuate a pervenire denunce di tortura e altri maltrattamenti durante la custodia di polizia.
A marzo, è stato chiuso il dipartimento per i diritti umani annesso al ministero degli Affari interni, che controllava la detenzione di polizia. È stato sostituito da una divisione più piccola, senza compiti di monitoraggio.
Il 1° luglio, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che alcuni detenuti erano stati sottoposti a tortura e altri maltrattamenti quando, in due diversi episodi nel 2001 e nel 2002, erano stati picchiati nel carcere Zamkova nella regione di Khmelnitskiy.
I pestaggi si verificarono nel corso di un programma di addestramento per l'unità di reazione rapida, un gruppo di guardie carcerarie con il compito di intervenire in caso di disordini nelle carceri.
Secondo quanto riferito, il 1° luglio, detenuti del centro di carcerazione preventiv n. 1 di Vinnytsya sono stati maltrattati dall'unità di reazione rapida come punizione per aver protestato contro il maltrattamento di un gruppo di detenuti avvenuto il giorno precedente. I parenti dei detenuti hanno raccontato gli eventi dei due giorni. Il 30 giugno, un gruppo di 15 detenuti doveva essere portato in tribunale. Gli agenti di polizia che li scortavano hanno ordinato a uno di loro di denudarsi. Quando si è rifiutato di togliere le mutande, è stato picchiato, ammanettato e legato a un muro. Anche altri detenuti sono stati picchiati.
Il giorno successivo, all'arrivo del convoglio della polizia che li riportava in tribunale, i detenuti si sono rifiutati di lasciare le celle per protesta contro i pestaggi precedenti. Le autorità carcerarie hanno chiamato l'unità di reazione rapida che, secondo le testimonianze, ha indiscriminatamente picchiato i detenuti.
DECESSI IN DETENZIONE
A gennaio, il vicecapo del dipartimento per l'esecuzione delle sentenze ha dichiarato che le strutture sanitarie nelle carceri non avevano risorse economiche sufficienti.
I detenuti non sono stati autorizzati a essere curati al di fuori del sistema carcerario.
Tamaz Kardava è morto in ospedale il 7 aprile dopo che gli erano state negate cure mediche vitali. Cittadino georgiano e rifugiato a causa del conflitto in Abkhazia, quando fu arrestato in Ucraina nell'agosto 2008, Tamaz Kardava era già affetto da epatite C.
A quanto risulta, fu torturato nella stazione di polizia del quartiere Shevchenkovskiy di Kiev, perchè confessasse un furto con scasso. Referti medici hanno confermato che era stato picchiato selvaggiamente e stuprato con un manganello. Negli ultimi due mesi della sua detenzione preprocessuale gli era stato negati qualsiasi trattamento medico specializzato per la sua condizione e la sua salute era peggiorata drasticamente.
Il 30 marzo aveva trascorso sei ore sdraiato in barella sul pavimento di un'aula del tribunale di Shevchenkovskiy, a Kiev. Il giudice aveva respinto la richiesta del suo avvocato di trasferirlo immediatamente in ospedale.
DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI
Il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle Ngo per i diritti umani è stato reso più difficile dall'ostruzionismo dei tribunali e dalle aggressioni fisiche.
Almeno tre difensori dei diritti umani sono stati vittime di molestie per la loro legittima attività sui diritti umani.
A maggio, Andrei Fedosov, presidente di Uzer, un'organizzazione per i diritti dei disabili mentali, è stato aggredito da uomini non identificati dopo aver ricevuto telefonate di minaccia. La polizia si è rifiutata di registrare la sua denuncia e non ha intrapreso alcuna azione. A luglio, è stato arrestato per un giorno in relazione a un presunto reato commesso 10 anni prima, quando aveva 15 anni. Il 20 settembe le accuse a suo carico sono state archiviate, poichè stato dimostrato che, all'epoca, era ricoverato in un ospedale pediatrico e non poteva aver commesso il reato.
Il 29 ottobre, l'attività sindacale Andrei Bondarenko ha ricevuto l'ordine, da un tribunale di Vinnytsya, di sottoporsi obbligatoriamente a una visita psichiatrica. La decisione è stata confermata in appello a novembre.
Bondarenko non aveva alcun precedente di malattia mentale e si era già sottoposto a tre esami psichiatrici per provare la sua sanità mentale, l'ultimo nel mese di ottobre. Tra le ragioni citate dal pubblico ministero per imporgli la visita medica c'erano la sua "eccessiva consapevolezza dei diritti propri e altrui e la sua incontrollabile disponibilità a difendere questi diritti in modo non realistico". Bondarenko aveva difeso i diritti dei lavoratori stagionali nelle fabbriche che lavorano la barbabietola da zucchero nel distretto di Vinnytsya e aveva rivelato la corruzione agli alti livelli.
RIFUGIATI, RICHIEDENTI ASILO E MIGRANTI
In Ucraina i richiedenti asilo hanno continuato a essere a rischio di detenzione arbitraria, razzismo ed estorsione da parte della polizia e di essere respinti verso paesi in cui avrebbero rischiato gravi violazioni dei diritti umani. Un sistema di asilo inadeguato li ha lasciati senza protezione.
A gennaio è entrato in vigore l'accordo di riammissione Ue-Ucraina per i cittadini di paesi terzi. Secondo l'accordo, gli stati dell'Eu possono rimandare i migranti irregolari in Ucraina a condizione che siano entrati nell'Eu attraverso l'Ucraina. Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, tra gennaio e luglio, 590 persone sono state rimandate in Ucraina in base ai termini dell'accordo di riammissione. Vi sono state segnalazioni di migranti picchiati o altrimenti maltrattati durante la detenzione. Inoltre, sebbene l'accordo di riammissione si riferisca a "stranieri illegali", tra le persone respinte risulterebbero anche richiedenti asilo.
Alla fine dell'anno, quattro richiedenti asilo uzbeki, Umid Khamroev, Kosim Dadakhanov, Utkir Akramov e Zikrillo Kholikov, erano in detenzione in attesa di espulsione verso l'Uzbekistan. Erano ricercati in Uzbekistan per accuse che comprendevano l'appartenenza a un'organizzazione religiosa o estremista illegale, la diffusione di materiali contenenti una minaccia per la sicurezza e l'ordine pubblico e il tentato rovesciamento dell'ordine costituzionale. Se rimpatriati, avrebbero rischiato la tortura e altri maltrattamenti. A luglio, la Corte europea dei diritti umani ha chiesto formalmente al governo ucraino di no rimpatriarli in Uzbekistan, fino a che non avesse esaminato il loro caso, ma ha poi ritirato la richiesta dopo la rassicurazione che gli uomini non sarebbero stati rimpatriati fino a quando non avessero esaurito tutte le fasi della procedura di asilo.
RAZZISMO
La polizia ha continuato ad arrestare e detenere le persone solo per il colore della loro pelle.
Il 29 gennaio, tre agenti di polizia in borghese hanno avvicinato due uomini somali, Ismail Abdi Ahmed e Ibrahim Muhammad Abdi, davanti al palazzo in cui abitavano, chiedendo di vedere i loro documenti. Secondo quanto riferito, gli agenti hanno quindi fatto irruzione nell'appartamento, lo hanno perquisito senza avere un mandato per farlo e hanno colpito a pugni uno degli occupanti. Gli agenti di polizia hanno prelevato 250 dollari dalla tasca di un paio di jeans appartenenti a Ibrahim Muhammad Abdi. Durante tutta la perquisizione, gli agenti si sono rivolti ai somali chiamandoli "pirati". Il 13 febbraio, due degli stessi agenti sono tornati all'appartamento. Hanno detto ai somali che vi abitavano di volerli filmare mentre ritrattavano le dichiarazioni che avevano rilasciato sulla perqusizione. I somali hanno rifiutato di aprire la porta e, dopo diverse ore, gli agenti si sono allontanati.
LIBERTA' DI RIUNIONE
A maggio e giugno, manifestanti pacifici che protestavano contro il taglio illegale di alberi a Charkiv sono stati picchiati da membri della "guardia municipale" (guardie private di vigilanza alle dipendenze del comune).
Ad alcuni di loro sono state rifiutate le cure mediche, tra cui Liubov Melnik, che è stata ricoverata in ospedale dopo essere stata picchiata dalle "guardie municipali". Secondo quanto riferito, personale della "guardia municipale" le ha chiesto di negare di essere stata picchiata dalle guardie e di dichiarare di essersi ferita cadendo. L'ospedale l'ha quindi informata di non avere posti letto disponibili e l'ha dimessa e, successivamente, altri tre ospedali di Charkiv si sono rifiutati di curarla.
Il 2 giugno, i manifestanti posizionati sugli alberi sono stati feriti quando i taglialegna hanno iniziato ad abbatterli.
I dimostranti hanno descritto come la polizia stava a guardare mentre le "guardie" picchiavano manifestanti e giornalisti senza intervenire. Il 28 maggio, 10-12 persone sono state arrestate e trattenute dalla polizia all'incirca per otto ore prima di essere portate davanti a un giudice. Il 9 giugno, Andrei Yevarnitsky e Denis Chernega sono stati condannati a 15 giorni di detenzione per "rifiuto intenzionale di obbedire a un agente di polizia", anche se riprese video degli eventi mostravano i manifestanti allontanarsi pacificamente insieme agli agenti di polizia".
6. Il ricorrente, riguardo alla sua posizione personale, dinnanzi alla Commissione Territoriale di Crotone ha dichiarato di aver svolto attività politica in Ucraina per il partito "Fronte per il Cambiamento", ostile ai partiti filo-russi e favorevole ad un avvicinamento dell'Ucraina all'Occidente e all'Unione Europea, di aver partecipato alla campagna elettorale per le presidenziali del 2010 e di aver poi ricevuto minacce da persone sconosciute, incontrate per strada, a causa della sua militanza politica.
Ha altresì dichiarato che sua moglie, giornalista, aveva ricevuto minacce a causa del suo impegno professionale e che, per tale ragione, aveva deciso insieme alla moglie di lasciare l'Ucraina.
Infine, ha dichiarato di aver saputo, dopo il suo arrivo in Italia, che la situazione, in Ucraina, era peggiorata e che numerosi militanti politici avevano subito persecuzioni.
[...]
7. Il racconto fornito, anche a seguito delle domande non cronologicamente ordinate postegli in sede di audizione personale, appare coerente e credibile; in particolare, il ricorrente ha dimostrato di essere a conoscenza di dati rilevanti riguardanti il suo partito (il nominativo del suo leader, le ragioni alla base dell'azione politica del movimento), circostanza che fa apparire verosimile la sua appartenenza all'organizzazione.
Inoltre, i dati emergenti dai reports delle ONG consentono, poi, di ritenere suscettibili di persecuzione per motivi politici gli attivisti dei diritti umani e gli appartenenti a partiti politici di opposizione al regime di Yanukovic (cfr. Http://www.amnesty.it/ucraina-rilasciare-ex-primo-ministro-tymoshenko; http://amnesty.it/Ucraina-sindacalista-sottoposto-a-esami-psichiatrici ).
Valutati gli elementi istruttori alla stregua dei criteri indicati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Un. 17 novembre 2008, n. 27310), ed anche in considerazione della situazione del Paese di provenienza, come sopra illustrate, si deve fondatamente ritenere che, se tornasse in Ucraina, Xxxx potrebbe essere sottoposto a persecuzione per motivi politici.
Ciò giustifica l'accoglimento del ricorso e la concessione della protezione internazionale al ricorrente.
[...]
P.Q.M.
Il Tribunale di Catanzaro, Seconda Sezione Civile [...], definitivamente pronunciando sul procedimento in oggetto, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
1) riconosce a Xxx [...] lo status di rifugiato ai sensi degli artt. 7 ss. d. Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, e per l'effetto gli riconosce il diritto alla protezione internazionale di cui agli artt. 19 ss. d. Lgs. 19 novembre 2007, n. 251;
[...].
Così deciso in Catanzaro, 20 aprile 2012.
IL GIUDICE
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