Il conflitto armato nigeriano giustifica lo status di protezione sussidiaria
Tribunale di Roma, Sezione Prima Civile, Sentenza del 5 ottobre 2011
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 1010 volte dal 23/03/2012
Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non è sufficiente il timore della ricorrente di origini nigeriane di tornare in patria per paura di essere uccisa dal fratellastro che, dopo la morte del padre, si era impossessato dell’intero patrimonio del defunto e l’aveva maltrattata e picchiata, non avendo ella altresì altro luogo dove vivere a causa della crisi economica imperversante in Nigeria. La mera sussistenza di un conflitto armato interno, il pericolo di violenze indiscriminate ai danni dei residenti, nonché la condizione femminile in quelle aree, giustificano invece il riconoscimento a favore della ricorrente della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 251/2007.
TRIBUNALE DI ROMA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il giorno 8.7.2010 (…) deducendo che la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma aveva con pronuncia in data 22.4.2010, notificatale il successivo 30.6.2010, rigettato la propria domanda, ha chiesto in via principale il riconoscimento, previo annullamento del suddetto provvedimento, dello status di rifugiato, in subordine del diritto di asilo ai sensi dell'art. 10, 3° comma della Costituzione o, in ulteriore subordine, il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria o il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Comunicato il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza alla Commissione Territoriale di Roma
ed al P.M., la prima pur senza costituirsi in giudizio ha fatto pervenire all'ufficio le proprie osservazioni ad integrazione delle motivazioni già espresse nel provvedimento impugnato.
Esauritasi l'attività istruttoria nella produzione di documenti e nell'audizione della ricorrente, la causa all'udienza del 5.7.2011 è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In ordine alla richiesta principale, volta al riconoscimento dello status di rifugiato occorre ricordare che l'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata dall'Italia con l. 24.7.1954 n. 722, definisce rifugiato chi, temendo con ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza ad un determinato gruppo sociale ha dovuto lasciare il
proprio paese e non può per tali motivi farvi rientro. Definizione questa dalla quale si evince, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, che la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente, così come la mancanza dell'esercizio delle libertà democratiche non sono di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello status reclamato, essendo invece necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive esistenti nello Stato di appartenenza, siano tali da far ritenere la sussistenza di un pericolo grave per l'incolumità della persona (cfr. per tutte Cons. Stato IV, 18.3.1999 n. 291).
Puntuale riscontro dell'esattezza della suddetta interpretazione si ricava del resto dal più recente D.lgs. 19.11.2007 n. 251 relativo all'attuazione della direttiva per l'attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, il cui art. 3 nel dettare i criteri di valutazione delle norme di protezione internazionale impone al richiedente di specificare, oltre a tutti i fatti che riguardano il paese di origine al momento dell'adozione della decisione in merito alla domanda, altresì la situazione individuale e le circostanze personali, dalle quali desumere se gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.
Ciò premesso avendo la ricorrente posto a fondamento della domanda il timore di essere uccisa dal fratellastro che dopo la morte del padre si era impossessato dell'intero patrimonio del defunto e, pur avendola tenuta ancora in casa l'aveva maltrattata e picchiata, senza che d'altra parte a causa della crisi economica imperversante in Nigeria avesse altro luogo dove andare, deve escludersi che la suddetta motivazione, al di là di ogni valutazione sulla sua attendibilità, risulta riconducibile a questioni familiari ed economiche che nulla hanno a che vedere con le categorie enucleate dall'art. 8
d.lgs. 19.11.2007 (razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale), rilievo questo cui si aggiunge quello ulteriore che provenendo le minacce subite da un suo familiare e non dallo Stato o dai partiti o dalle organizzazioni che controllano lo Stato, occorre che questi ultimi non possano o non vogliano, ai sensi dell'art. 5 del citato d.lgs., fornire la necessaria protezione, circostanza quest'ultima che non è stata neppure dedotta.
La domanda deve essere conseguentemente rigettata.
Malgrado la mancanza dei presupposti per il riconoscimento della suddetta misura, devono comunque esaminarsi gli elementi richiesti per la misura di grado inferiore ovverosia la protezione internazionale sussidiaria, applicabile anche di ufficio, nell'ambio di un procedimento qual è quello in esame relativo ad un accertamento di status volto al conseguimento di un titolo di permanenza sul
territorio italiano, esclusivamente in presenza di un danno grave ricorrente nelle sole ipotesi tassativamente indicate dall'art. 14 dal d.lgs. 251/2007, ovverosia: a) di condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte, b) la tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante, c) la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale, e dunque anche in presenza di una situazione di pericolo generale, riguardante cioè un'intera collettività.
Dovendosi ritenere dimostrata, sia pure sulla sola base delle dichiarazioni rese, la provenienza della straniera da un villaggio ubicato nell'Edo State, ovverosia nella zona cd. del Delta del Niger, sulla cui situazione socio politica è stata in grado di riferire sufficienti dettagli e non avendo d'altra parte dato adito alla stessa Commissione di dubitare sul riferito luogo d'origine, deve rilevarsi che la situazione di grave instabilità e sicurezza in cui versa in generale tale regione, in cui questioni economiche collegate alla detenzione dei pozzi petroliferi ivi ubicati costituiscono la causa di ripetuti scontri armati sfocianti in atti di violenza, morte e tortura da parte delle stesse forze di polizia locale nei confronti degli abitanti della zona costituisce condizione di oggettivo pericolo per i residenti stante la violenza indiscriminata cui sono continuativamente esposti a causa delle ripetute ed indiscriminate aggressioni (cfr. le relazioni delle associazioni umanitarie maggiormente accreditate ed in particolare il rapporto di Amnesty International per l'anno 2010: "la polizia ha continuato a commettere impunemente un'ampia gamma di violazione dei diritti umani, comprese le uccisioni illegali, tortura, maltrattamenti e sparizioni forzate ... alcune persone sono state prese di mira per non avere pagato tangenti, ci sono stati diversi casi di persone torturate a morte in custodia di polizia, i prigionieri sono tenuti in condizioni spaventose, la violenza sulle donne è rimasta endemica... nei primi mesi dell'anno gruppi armate e bande hanno rapito decine di lavoratori petroliferi e loro familiari, bambini compresi, ed attaccato molti pozzi causando la morte anche dei passanti").
Condizione questa da reputarsi necessaria e sufficiente per il riconoscimento della protezione sussidiaria sotto il profilo della lettera c) del citato art. 14, la configurabilità della quale richiede la mera sussistenza di un conflitto armato interno senza che, a differenza dello status di rifugiato, occorra una persecuzione individuale del soggetto che assume esserne vittima collegata ad una propria situazione contingente dovuta motivi di ordine razziale, politico, religioso, etnico o sessuale.
Poiché il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso potrebbe esporre la richiedente, ove facesse rientro in patria, a concreto pericolo per la propria incolumità o per la propria vita soprattutto in considerazione della sua condizione femminile, notoriamente qualificabile in quel paese come debole, devono ritenersi sussistenti i presupposti per il riconoscimento della misura della protezione sussidiaria prevista dall'art. 14 dal d.lgs. 251/2007.
La mancata costituzione della resistente consente di dichiarare le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI
il Tribunale, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da (…) avverso la decisione resa dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma in data
22.4.2010, così provvede:
1.- rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato;
2.- riconosce alla ricorrente la protezione internazionale sussidiaria ai sensi dell'art. 14 d.lgs. 251/2007;
3.- dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
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