Diniego della cittadinanza italiana solo se la motivazione è indicata in modo chiaro e non generico
TAR Lazio, Sezione Seconda Quater, Sentenza del 7 marzo 2012, n. 2298
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 2071 volte dal 08/05/2012
E’ nullo, per carenza di motivazione, il diniego di concessione della cittadinanza italiana. L’art. 8, comma 1, della legge n. 91/1992 impone all’Amministrazione l’obbligo di motivazione che – sebbene non possa configurarsi nei termini di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990 non essendo sempre possibile rendere note, per ragioni di sicurezza le risultanze dell’istruttoria – ha, come contenuto minimo, la chiara indicazione, pur in termini ridotti all’essenziale, della ragione ostativa all’accoglimento della domanda, ossia dei fatti o sospetti determinanti il diniego, in modo da consentire all’interessato la loro confutazione. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato appare del tutto sfornito di motivazione, in quanto quella riportata nel decreto deve ritenersi meramente di stile in quanto non ancorata a concreti elementi fattuali tali da suffragare le affermazioni contenute nel decreto relative all’inaffidabilità del ricorrente sotto il profilo dell’ordine pubblico e della convivenza civile in merito alla lunghissima durata del suo soggiorno in Italia.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
[...]
per l'annullamento
DINIEGO CONCESSIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA – RICORSO PERVENUTO PER REG COMP DAL TAR LOMBARDIA [...]
[...]
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al TAR Lombardia, Sezione Milano, il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero dell'Interno n. K10/91491 del 1° luglio 2010 di diniego di concessione della cittadinanza italiana.
Alla camera di consiglio del 9/11/2010 il TAR Lombardia ha emesso l'ordinanza di incompetenza... e ha trasmesso il fascicolo al TAR Lazio dinanzi al quale il ricorrente ha provveduto a riassumere il ricorso.
Il diniego di concessione della cittadinanza risulta così motivato: "gli atti istruttori e gli elementi di valutazione raccolti hanno evidenziato una personalità dell'istante non affidabile sotto il profilo dell'ordine pubblico e della convivenza civile che fanno ritenere non opportuna la concessione della cittadinanza italiana a favore dello stesso"; "... dette circostanze non forniscono le prove che lo straniero abbia raggiunto un sufficiente grado d'integrazione nella nostra collettività".
Avverso detto provvedimento deduce il ricorrente il vizio di carenza di motivazione sostenendo che la motivazione dell'atto sarebbe stereotipata e non confacente alla propria condizione.
Inoltre non sarebbe rispondente al vero che egli non avrebbe raggiunto un sufficiente grado di integrazione nella nostra collettività, non avendo precedenti penali ed avendo sempre svolto regolare attività lavorativa.
È arrivato in Italia da ragazzo insieme alla sua famiglia ed ha ottenuto lo status di rifugiato politico; ha studiato in Italia ed ha quindi appreso sia la lingua italiana che gli elementi essenziali della storia e della cultura italiana; la madre, il fratello ed il padre hanno ottenuto la cittadinanza italiana.
Il motivo del rigetto sarebbe quindi incomprensibile.
Lamenta altresì il ricorrente la violazione dell'art. 8 comma 2 della L. 91/92, secondo cui il rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana è precluso dopo il decorso di due anni dalla presentazione della domanda.
Nel caso di specie sono trascorsi ben sei anni con conseguente illegittimità del provvedimento.
Egli avrebbe prodotto tutta la documentazione richiesta dall'Amministrazione, documentazione che però non sarebbe stata esaminata.
DIRITTO
Come meglio dedotto in narrativa, il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministero dell'Interno ha respinto la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana.
Preliminarmente ritiene il Collegio di dover esaminare la censura di violazione dell'art. 8 comma 2 della L. 91/92, secondo cui – una volta trascorsi due anni dalla proposizione della domanda di concessione della cittadinanza – l'Amministrazione non potrebbe più adottare un provvedimento di diniego.
La censura è infondata, in quanto la disposizione si riferisce ai soli casi di concessione della cittadinanza italiana ai soggetti che risultano legati da un rapporto di coniugio con cittadini italiani: questi casi sono stati ritenuti dal Legislatore meritevoli di un trattamento giuridico di particolare favore – che si concretizza in una notevole riduzione del margine di discrezionalità rimesso all'Amministrazione – in ragione dell'esigenza di tutelare l'istituto della famiglia, di rilevanza costituzionale (cfr., tra le altre, TAR Lazio Sez. I ter 473/2010 n. 3320; CDS, Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1533).
Poichè la domanda di concessione della cittadinanza italiana è stata proposta ai sensi dell'art. 9 lett. e) della L. 91/92, la disposizione recata dall'art. 8 comma 2 della L. 91/92 non risulta applicabile alla posizione del ricorrente.
Il ricorrente ha anche dedotto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.
Come già rilevato in punto di fatto, il dineigo è stato motivato dall'Amministrazione in questi termini: "gli atti istruttori e gli elementi di valutazione raccolti hanno evidenziato una personalità dell'istante non affidabile sotto il profilo dell'ordine pubblico e della convivenza civile che fanno ritenere non opportuna la concessione della cittadinanza italiana a favore dello stesso"; "... dette circostanze non forniscono le prove che lo straniero abbia raggiunto un sufficiente grado d'integrazione nella nostra collettività".
Dalla disamina della documentazione prodotta in giudizio dalla difesa erariale nel giudizio dinanzi al TAR Lombardia... non emergono elementi fattuali idonei a supportare il giudizio negativo reso sulla persona del ricorrente, essendo stati allegati i soli certificati penali e dei carichi pendenti del ricorrente dai quali risulta che non vi sono nè condanne penali nè procedimenti penali in corso.
Nessun altro atto istruttorio o altro elemento di valutazione idoneo a suffragare il giudizio di inaffidabilità del ricorrente sotto il profilo dell'ordine pubblico e della convivenza civile è stato depositato in giudizio, sicchè – allo stato – il provvedimento impugnato appare del tutto sfornito di motivazione, in quanto quella riportata nel decreto deve ritenersi meramente di stile in quanto non ancorata a concreti elementi fattuali – resi noti al giudicante e alla parte interessata – tali da suffragare le affermazioni contenute nel decreto relative all'inaffidabilità del ricorrente sotto il profilo dell'ordine pubblico e della convivenza civile e alla sua non sufficiente integrazione nella società italiana, tenuto conto di quanto rappresentato dal ricorrente nel ricorso (e suffragato dalla relativa documentazione) in merito alla lunghissima durata del suo soggiorno in Italia [...].
Occorre infatti considerare che l'art. 8 comma 1, l. 5/2/92 n. 91 impone al Ministro dell'Interno, ove respinga l'istanza di concessione della cittadinanza italiana, a provvedervi "con decreto motivato", anche per relationem; deve quindi ritenersi che sussiste pur sempre, da parte della P.A. un obbligo di motivazione che, - sebbene non possa configurarsi nei termini di cui all'art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241 non essendo sempre possibile rendere note, per ragioni di riservatezza, le risultanze dell'istruttoria –, ha, come contenuto minimo, la chiara indicazione, pur in termini ridotti all'essenziale, della ragione ostativa all'accoglimento della domanda, ossia dei fatti o sospetti determinanti il diniego, in modo da consentire all'interessato la loro confutazione (TAR Friuli Venezia Giulia, 27.10.2004, n. 611; TAR Liguria Sez. II 25/10/07 n. 1845).
Del resto la giurisprudenza ha sempre ritenuto che il provvedimento di concessione della cittadinanza, sebbene sia atto altamente discrezionale (e sia quindi insindacabile sotto il profilo dell'opportunità della scelta) –, non sia sottratto all'obbligo di motivazione, tanto che in sede giurisdizionale l'interessato può dedurre profili di eccesso di potere avverso il diniego che risulti basato su una motivazione che non trovi giustificazione negli atti cui si richiami per relationem (Cons. Stato Sez. VI 9/6/06 n. 3456).
Il ricorso pertanto deve essere accolto e, per l'effetto, deve essere annullato, per difetto di motivazione, il provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell'amministrazione.
[...]
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato [...].
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2012 [...]
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