Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 6 ottobre 2023 è stata pubblicata la decisione n.2023/2103 con la quale la Commissione ha ingiunto all’Italia di recuperare gli aiuti illecitamente concessi ad alcuni enti non commerciali che svolgevano attività specifiche (attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive o attività di natura religiosa o di culto) sotto forma di esenzione dall’ICI, riconoscendo tuttavia “l’esistenza di difficoltà per le autorità italiane nell’individuare i beneficiari dell’aiuto illegale” ma concludendo che “tali difficoltà non sono sufficienti per escludere la possibilità di ottenere almeno un recupero parziale dell’aiuto”.
La condizione (prevista dal decreto legislativo n.504 del 1992 che ha istituito l’imposta, sostituita nel 2012 dall’Imu) per l’ottenimento del beneficio era che la destinazione dei locali fosse «esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive nonché delle attività [di religione o di culto] di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222.».
La Commissione Europea si era già espressa in ordine a questa problematica con decisione C(2012)/6491 del 19 dicembre del 2012. L’esenzione ICI prevista dal 2006 al 2011 era stata ritenuta illegittima da Bruxelles, in quanto costituiva una deroga al sistema impositivo di riferimento, non giustificata dal valore sociale delle attività condotte negli immobili: le strutture commerciali della Chiesa cattolica, secondo la Commissione, godevano di un regime di favore potendo pagare meno tasse rispetto ai loro concorrenti. 
All’epoca però la Commissione, guidata da José Manuel Barroso, aveva ritenuto impossibile il recupero con la conseguenza di non ordinare al nostro Paese di recuperare gli arretrati «in quanto le banche dati, fiscali e catastali non consentivano di individuare i beneficiari».
Più precisamente, le autorità italiane avevano dimostrato che era “oggettivamente impossibile determinare quale porzione dell'immobile di proprietà dell'ente non commerciale sia stata utilizzata esclusivamente per attività non commerciali”.
Nel novembre del 2018, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva parzialmente annullato questa decisione, ritenendo che la Commissione Europea avrebbe dovuto valutare se esistessero modalità alternative per il recupero, anche solo parziale, dell'aiuto che ha trovato gran parte dei destinatari in immobili della Chiesa.
In quella occasione e per evitare future “incomprensioni”, lo stesso Stato italiano ha chiesto alla Commissione di pronunciarsi in quella stessa procedura sull’esenzione prevista dalla nuova normativa IMU a favore degli enti non commerciali, quando svolgono attività con modalità non commerciali.
La medesima decisione del 2012 riconosce la legittimità delle norme sull'esenzione dalla nuova imposta IMU, e della disciplina prevista dal regolamento del MEF del 19.11.2012, esenzione consentita quando le attività sono svolte in modalità non commerciale, quindi senza lucro.
A distanza di quasi dieci anni da quella decisione, e precisamente il 3 marzo 2023, arriva una decisione di segno opposto.
L’esecutivo comunitario ingiunge all’Italia di recuperare quegli “aiuti”, suggerendo di «utilizzare i dati delle dichiarazioni presentate nell’ambito della nuova imposta sugli immobili e integrarli con altri metodi, comprese le autodichiarazioni».
Nella decisione in commento, la Commissione inoltre chiarisce che il recupero non è richiesto qualora gli aiuti siano stati concessi per attività non economiche o quando trattasi di aiuti de minimis ossia di modesto importo la cui cifra massima è pari a duecentomila euro «per ciascuna impresa, nell’arco di un periodo di tre anni».
Qualunque aiuto sotto questa soglia non è considerato un aiuto di Stato. La questione non è irrilevante.
Secondo stime dell'Associazione Nazionale dei comuni italiani (ANCI) l'ICI non versata tra il 2006 e il 2011 si aggira intorno ai 4-5 miliardi di euro. Risorse che, in un delicatissimo momento finanziario per l’Italia, qualora riscosse, potrebbero allinearla ai principali paesi europei per risorse da destinare a sviluppo, ricerca e ambiente, recuperando il divario esistente con l’Europa. Secondo l’ingiunzione dell’Unione Europea, il recupero delle tasse non versate dovrebbe avvenire in modo tempestivo, altrimenti potrebbe scattare una procedura di infrazione. Ma l’effettivo recupero dei fondi, si rivela una sfida complessa. La questione rimane ancora aperta ed è, tutt'ora, difficile mettere un punto definitivo.