Attenuante della provocazione al marito esasperato che uccide la moglie psicotica.
Corte di Cassazione, Sentenza n°14270 del 16 Aprile 2012.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
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Anche la condotta di una persona non sana di mente è idonea a provocare un turbamento nell’animo, idoneo a giustificare l’applicazione dell’attenuante della provocazione di cui all’art. 62, n. 2, c.p. Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n°14270/2012, ha accolto il ricorso di un soggetto condannato in sede di merito per il reato di omicidio aggravato dai futili motivi per aver causato, in preda ad uno stato d’ira, la morte della consorte sofferente di depressione e di manie di persecuzione. Impugnata la Sentenza di primo grado innanzi al Giudice dell’Appello, ai fini del riconoscimento dell’attenuante della provocazione, la Corte escludeva la configurabilità di detta attenuante a causa della mancata ricorrenza, nella fattispecie concreta, del «fatto ingiusto altrui», integrante presupposto indefettibile per il suo riconoscimento. Infatti, nonostante il soggetto avesse agito mosso da una condizione di esasperazione, tuttavia la Corte d’Appello non riconosceva nel comportamento della vittima gli estremi di un fatto ingiusto, essendo questo fortemente condizionato dalla malattia psichiatrica di cui era affetta e, quindi, non idoneo a giustificare, neanche parzialmente, la reazione della vittima. Investita della questione, la Corte di legittimità, ha contestato l’assunto del Giudice dell’Appello, secondo cui il requisito dell’ingiustizia non potrebbe sussistere quando l’atto provocatorio sia posto in essere da un soggetto infermo di mente, rilevando come, il comportamento ingiusto debba essere valutato per la sua contrarietà ai canoni etici e sociali, senza che rilevino le condizioni psicologiche del suo autore, poiché anche le vessazioni di un soggetto insano di mente sono in grado di produrre un grave turbamento nell’animo di chi le subisce. Alla stregua di tale preliminare considerazione, gli Ermellini precisano che, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: lo «stato d’ira», costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; il «fatto ingiusto altrui», costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza; infine, un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse. Infine, la Cassazione afferma che il «fatto ingiusto» può essere costituito da ogni comportamento, intenzionale o colposo, legittimo o illegittimo, purché idoneo a scatenare la reazione altrui, presupponendo esclusivamente la volontarietà dell’atto, nel senso che viene meno solo quando la reazione iraconda sia determinata da un fatto del tutto accidentale. In altre parole, l’ingiustizia del fatto deve essere valutata alla luce di parametri oggettivi, a nulla rilevando le condizioni psicologiche di colui che provoca o vessa, poiché ciò che deve essere considerato è l’attitudine del comportamento a provocare lo stato d’ira. Nel caso in oggetto, a stimolare l’azione delittuosa fu certamente la condotta della parte offesa, affetta da una forma psicotica molto grave, con disturbi paranoici, resasi autrice di condotte idonee a provocare l’accumulo di una carica di esasperazione che, esplosa in occasione di un fattore scatenante, configura la ragione giustificatrice del riconoscimento di una minore gravità del fatto. La particolarità della fattispecie risiede nella circostanza che il fatto scatenante l’ira trova origine proprio nella malattie della persona offesa. Dunque, «anche il comportamento di una persona non sana di mente è idoneo a provocare un turbamento nell’animo di chi lo subisce, a cui non si può fare carico di una capacità di autocontrollo tale da portare a resistere ad una serie di atti similari ripetuti nel tempo, capaci di potenziare la carica offensiva e provocatoria e tale da incidere sul funzionamento dei freni inibitori».
In fatto
Con Sentenza del 2011, la corte d’Appello di Torino confermava la condanna inflitta dal gup del Tribunale di Cuneo, ad A.E. ad anni undici e mesi quattro di reclusione, per il reato di omicidio aggravato dai futili motivi, in danno della convivente H.E., occorso in Caraglio, nel 2009.
La Corte territoriale evidenziava che l’imputato aveva ammesso il fatto, riportandolo all’esasperazione maturata in lui, a causa delle continue accuse che la donna, sofferente di depressione e di manie di persecuzione, gli rivolgeva, accusandolo di rubarle i vestiti; che il testimoniale aveva rafforzato questo quadro ed in particolare la dott.sa C. - che aveva avuto in cura dal 2000 la donna - aveva spiegato che la stessa era affetta da sindrome depressiva, aggravatasi nell’ultimo periodo per atrofia cerebrale, diagnosticata a mezzo risonanza.
Quanto al motivo specifico dell’impugnazione, concernente la richiesta di riconoscimento dell’attenuante della provocazione, la Corte rilevava che ai fini della configurabilità dell’attenuante in parola, devono ricorrere lo stato d’ira, il fatto ingiusto altrui e un rapporto di adeguatezza della risposta alla gravità del fatto ingiusto. Ciò detto, veniva riconosciuto che il ricorrente al momento del fatto si era trovato in una condizione di esasperazione, ma non veniva ritenuto che il comportamento della vittima integrasse fatto ingiusto visto che la sua condotta era strettamente condizionata dalla malattia psichiatrica da cui andava affetta, il che segnava anche la assoluta inadeguatezza della reazione dell’imputato, a fronte dell’azione della vittima. In sostanza la Corte opinava nel senso che gli atti provenienti da soggetto affetto da patologia psichiatrica non potevano ragionevolmente reputarsi ingiusti.
Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato per dedurre, con unico motivo, erronea applicazione dell’art. 62 n°2 cod.pen.
E' stato evidenziato che come è pacifico che l’imputato abbia agito in stato d’ira, altrettanto, pacifico è che l’atto sia stato causato da un fatto ingiusto altrui costituito dalle continue accuse ingiuste che la vittima lanciava a suo carico, seppure a causa di una demenza incalzante. E' contestata la valutazione della Corte territoriale, secondo cui il requisito dell’ingiustizia non può esistere quando l’atto sia posto in essere da soggetto infermo di mente, laddove, il comportamento ingiusto sia valutato per la sua contrarietà ai canoni etici e sociali, senza che rilevino le condizioni psicologiche del suo autore, poiché anche le vessazioni di un soggetto insano di mente sono in grado di produrre grave turbamento nell’animo di chi le subisce, non potendosi pretendere in costui capacità di autocontrollo e lucida razionalità. In proposito, la difesa ha richiamato alcuni arresti di questa Corte per dimostrare l’erroneità dell’interpretazione seguita dai Giudici di merito. Anche sul fronte dell’adeguatezza della risposta alla provocazione, di costruzione Giurisprudenziale, il requisito non può ritenersi escluso - come ha ritenuto la Corte Torinese - dalla conosciuta condizione di infermità psichica del provocatore, ma è parametro che impone la valutazione allargata al complesso di episodi che hanno cagionato l’incontenibile esasperazione dell’animo, non potendosi fermare all’ultimo episodio che costituì l’elemento scatenante. Ancora, la difesa ha aggiunto che l’adeguatezza non va confusa con la proporzione tra provocazione e fatto delittuoso scatenato, ragion per cui la reiterazione di comportamenti vessatori della povera donna sulla serenità dell’imputato rendono adeguata la reazione, rispetto all’ingiustizia subita.
In diritto
Il ricorso, che involge esclusivamente la disamina sulla sussistenza dell’attenuante della provocazione, è fondato e deve essere accolto.
Correttamente la Corte d’Assise d’Appello ha ricordato che ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: lo “stato d’ira”, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; il “fatto ingiusto altrui”, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche, dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza; un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse (Sez. I, 8 Aprile 2008, n°16790). Tanto premesso, questo Collegio osserva che è dato incontestato che il delitto de quo ebbe a maturare in condizioni molto particolari, visto che a stimolare l’azione delittuosa fu certamente la condotta della parte offesa, affetta da una forma psicotica ingravescente, con disturbi paranoici, resasi autrice di condotte, da un lato provocatorie nei confronti del marito, accusato ripetutamente - quanto del tutto pretestuosamente - di furti di vestiti, dall’altro di contrapposizione “a prescindere” su qualsivoglia scelta della vita quotidiana. E’ emerso che tale situazione era risalente nel tempo e che la carica di esasperazione si era accumulata, fine a che non occorse un fattore scatenante, che produsse nell’imputato l’esplosione, allorquando, la donna non contenta della sistemazione del televisore, buttò il telecomando a terra e lo ruppe. Questa situazione, così come rappresentata, delinea senza forzatura alcuna quella forma peculiare di “provocazione”, c.d. da accurnulo o sedimentazione (Sez. I 13.1.2011, n°4695), che presuppone sempre e comunque lo “stato d’ira”, ispiratore dell’azione offensiva, che a sua volta rappresenta la ragione giustificatrice del riconoscimento di una minore gravità del fatto. La particolarità del caso di specie sta nel fatto che il fatto scatenante l’ira trova origine nella malattia della persona offesa. A fronte di questa realtà peculiare, la Corte territoriale ha ritenuto di escludere che la condotta tenuta dalla vittima possa essere considerata obiettivamente ingiusta, poiché derivante dalla malattia di cui la vittima era sofferente, malattia che l’imputato ben conosceva, con la conseguenza che la reazione avuta dal ricorrente non poteva che valutarsi del tutto inadeguata.
Tale modus opinandi si discosta nettamente dalla linea interpretativa segnata da questa Corte di legittimità, che ha affermato che il “fatto ingiusto” può essere costituito da ogni comportamento, intenzionale o colposo, legittimo o illegittimo, purchè idoneo a scatenare la reazione altrui, presupponendo, esclusivamente, la volontarietà dell’atto, nel senso chi viene meno solo quando la reazione iraconda sia determinata da un fatto del tutto accidentale (Sez. I, 17.2.1999, n°6285). In altre parole, l’ingiustizia del fatto deve essere valutata alla luce di parametri oggettivi, a nulla rilevando le condizioni psicologiche di colui che provoca o vessa, poiché ciò che deve essere considerato è l’attitudine del comportamento a provocare lo stato d’ira: anche il comportamento di una persona non sana di mente è idoneo a provocare un turbamento nell’animo di chi lo subisce, a cui non si può fare carico di una capacità di autocontrollo tale da portare a resistere ad una serie di atti similari ripetuti nel tempo, capaci di potenziare la carica offensiva e provocatoria e tale da incidere sul funzionamento dei freni inibitori.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata limitatamente al diniego della provocazione e gli atti vanno rinviati ad altra Sezione della Corte d’Assise d’Appello di Torino, per nuovo giudizio.
Le spese della parte civile del presente grado vanno dichiarate compensate, attesa la fondatezza della tesi difensiva, che segna in questa fase la prevalenza sulla tesi delta parte civile.
P.Q.M.
Annulla la Sentenza impugnata limitatamente al diniego della provocazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione Corte d’Assise d’Appello di Torino. Dichiara compensate le spese relative all’azione civile del grado.
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