Locazione di cose: prelazione e riscatto: prelazione in caso di trasferimento
Cassazione Civile, Sez.III 14 Gennaio 2005, n.682
Avv. Barbara Verlicchi
di Lugo, RA
Letto 2142 volte dal 23/06/2009
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, allorché la vendita riguardi, non un intero edificio (cd vendita in blocco, nella quale il conduttore di un'unità immobiliare non ha diritto alla prelazione ed al riscatto previsti dagli art. 38 e 39 l. n. 392 del 1978, ma solo alcune delle unità immobiliari che lo compongono, ciascuna delle quali dotata di una propria autonomia, trasferite con un unico atto (c.d. vendita cumulativa), al fine
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vittorio DUVA - Presidente - Dott. Fabio MAZZA - Consigliere - Dott. Antonio SEGRETO - Rel. Consigliere - Dott. Angelo SPIRITO - Consigliere - Dott. Roberta VIVALDI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: SAN NAZARIO DI Z.C. SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. Z.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA TACITO 41, presso lo studio dell'avvocato PATTI, difesa dagli avvocati MAURIZIO DE TILLA, ROBERTO GIACCHERO, giusta delega in atti;
- ricorrente - contro
LA TAVERNETTA DI S.B. & C. S.A.S. - già LA TAVERNETTA di B.P. & C. S.A.S. in persona del socio accomandatario legale rappresentante pro tempore signora S.B., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell'avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la difende unitamente agli avvocati ALBERTO DELFINO, ROBERTO ROMANI, giusta delega in atti;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 557/03 della Corte d'Appello di GENOVA, sezione prima civile, emessa il 21 maggio 2003, depositata il 03/06/03; RG. 1535/2002. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/04 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO; udito l'Avvocato CAMICI GIAMMARIA; udito il P.M.; in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MARINELLI, che ha concluso per la remissione della causa al primo Presidente per eventuale assegnazione alle SS.UU., in subordine accoglimento del ricorso.
FATTO Con citazione notificata il 23.1.1998 la società La Tavernetta di B.P. & c. s.a.s. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Savona la società S. Nazario s.a.s. di Z.C., assumendo che essa attrice occupava a titolo di locazione, stipulato il 23.1.1990, un albergo, su 5 piani, un locale magazzino e tre appartamenti, siti in Varazze, di proprietà di D.G.E. e D.G.M.; che i predetti immobili, insieme ad altri, erano stati trasferiti alla s.a.s. S. Nazario di Z.C., senza che essa fosse stata messa in grado di esercitare il diritto di prelazione; che, conseguentemente, essa dichiarava di esercitare il diritto di riscatto, a norma dell'art. 39 l. n. 392/1978, relativamente ai soli immobili locati, di cui chiedeva l'accertamento, previo pagamento del prezzo da determinarsi in corso di causa. Si costituiva la convenuta e chiedeva il rigetto della domanda, poiché nella fattispecie si sarebbe trattato di vendita in blocco di un intero complesso immobiliare. Il tribunale di Savona, con sentenza depositata l'1.8.2002, rigettava la domanda. Proponeva appello l'attrice. La corte di appello di Genova, con sentenza depositata, il 3.6.2003, dichiarava che all'attrice competeva il diritto di prelazione e riscatto e disponeva con separata ordinanza il prosieguo del giudizio per la determinazione del prezzo di riscatto. Riteneva la corte che nella specie l'impugnazione era tempestiva, in quanto, essendo stata trattata la causa in primo grado con il rito ordinario, correttamente l'impugnazione era stata effettuata con citazione, la cui notifica era avvenuta il 15.11.2002 a fronte della notifica della sentenza di primo grado avvenuta il 17.10.2002. Riteneva la corte territoriale nel merito che nella fattispecie non si trattava di vendita in blocco, ma di vendita cumulativa dei beni locati e di altri due appartamenti e tre locali ad uso negozio; che gli stessi non costituivano un complesso unitario immobiliare, come emergeva dalle risultanze processuali, tra cui la documentazione fotografica nonché per l'assenza di comunicazioni interne e di qualsiasi interferenza strutturale tra l'insieme adibito ad albergo e le altre componenti immobiliari. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Società S. Nazario. Resiste con controricorso la società La Tavernetta. Entrambe le parti hanno presentato memorie. DIRITTO 1.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 325, 326, 433, 434447 bis c.p.c., nonché il vizio motivazionale dell'impugnata sentenza a norma dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Assume la ricorrente che erratamente la sentenza impugnata ha escluso l'inammissibilità dell'appello, in quanto, essendo stata notificata la sentenza il 17.10.2002, ed essendo stato l'appello proposto con citazione notificata il 15.11.2002, ma iscritta a ruolo solo il 22.11.2002, di detta ultima data doveva tenersi conto, poiché nella fattispecie l'appello andava proposto con ricorso, essendo alla fattispecie applicabile il rito del lavoro, con la conseguente intempestività dell'appello, proposto oltre il trentesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata. 2.1.Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato. Infatti per il principio di ultrattività del rito, ove una controversia sia stata trattata in primo grado con rito ordinario, anziché con rito di lavoro, cui è assoggettata, devono essere seguite le forme ordinarie anche per proporre gravame contro la sentenza pronunciata in quel grado di giudizio (quindi citazione ad udienza fissa). Se - invece - una controversia sia stata trattata con il rito del lavoro, pur dovendo essere trattata con il rito ordinario, l'impugnazione va proposta con il ricorso (Cass. S.U. 29.4.2003, n. 6695; Cass. 16.7.2002, n. 10278; Cass. 21.10.1998, n. 10425; Cass. n. 2745/1995; Cass. 9/03/1991, n. 2518, Cass. 12/03/1983, n. 1878; Cass. 12/03/1983, n. 1878). Il principio c.d. della ultrattività del rito comporta, quindi, che ai fini della scelta delle forme e del mezzo di impugnazione vale il rito adottato dal giudice per pronunziare la sentenza, che si intende impugnare. 2.2.Detto principio va decisamente condiviso per una duplice ragione. Anzitutto sussiste una necessità di coerenza del sistema. Infatti detto principio costituisce una specificazione di quello più generale secondo cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione, anche se implicita, dell'azione e del provvedimento, compiuta dal giudice, indipendentemente dall'esattezza di essa e dalla qualificazione dell'azione operata dalla parte (Cass. 16/06/2003, n. 9624; cass. 06/06/2003, n. 9057 Cass. 18/04/2003, n. 6289; per cui con riferimento alla sentenza emessa a definizione di un giudizio di opposizione esecutiva, essa è impugnabile con l'appello se il giudice ha qualificato l'azione come opposizione all'esecuzione, mentre è impugnabile solo con ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. se essa è stata qualificata dal giudice quale opposizione agli atti esecutivi). A fronte dell'individuazione della natura della controversia e quindi del rito da parte di un organo giudiziario, non sembra giustificabile far ricadere sull'appellante l'onere della scelta della corretta forma del gravame, che può tradursi in un vero rischio con conseguenze irreparabili per la sorte della domanda. 2.3.Inoltre, poiché il rito, in senso ampio, attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado, ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle impostegli dal rito, con cui è stata emessa la sentenza, significa attribuire al soggetto impugnante una facoltà di mutamento del rito, che invece compete esclusivamente al giudice dell'impugnazione (art. 439 c.p.c.). È quindi solo il giudice dell'impugnazione, anche a garanzia delle controparti, che ha il potere di rettificazione del rito, con la possibilità del passaggio al rito speciale o viceversa (cfr. Cass. n. 1313/1979). 2.4.Né tale principio si pone in contrasto, come parrebbe emergere dalle posizioni delle parti, con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro (quale è quella in esame), l'art. 434 comma 2 c.p.c., ove fissa il termine di trenta giorni, dalla notificazione della sentenza di primo grado, per il deposito in cancelleria del ricorso introduttivo del procedimento di secondo grado, è applicabile anche nel caso in cui l'appellante irritualmente adotti la forma della citazione, di modo che la convertibilità del relativo atto non può prescindere dal suo deposito entro il suddetto termine, a pena d'inammissibilità rilevabile d'ufficio (Cass. 01/02/2001, n. 1396; Cass. 7.6.2000, n. 7672; cass. 21/03/1994, n. 2687; Cass. n. 7867/92; Cass. 2260/90 ex plurimis), ovvero nel caso contrario, in cui dovendosi proporre l'appello con citazione a comparire ad udienza fissa, questo sia stato proposto con ricorso, purché esso, tempestivamente depositato, sia poi notificato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata. Il predetto orientamento infatti riguarda il diverso caso, in cui vi sia divergenza tra il rito adottato in primo grado e la forma e modalità dell'impugnazione proposta, non conforme a quel rito, e quindi, sotto questo profilo, in violazione proprio del principio dell'ultrattività del rito adottato dal giudice nello svolgimento del procedimento (non importa se correttamente o meno). Mentre il principio dell'ultrattività del rito attiene quindi alla necessaria conformazione, rispetto al rito adottato dal giudice, della forma dell'atto di impugnazione, il suddetto secondo orientamento risolve il diverso problema (nell'ipotesi in cui detta conformazione manchi) dei casi in cui l'atto di impugnazione -divergente rispetto al rito con cui è stata emessa la sentenza - possa tuttavia avere effetti equipollenti (per usare una locuzione processual penalistica). 2.5.Il citato ultimo orientamento giurisprudenziale costituisce applicazione del diverso principio della conservazione e conversione dell'atto processuale nullo di cui all'art. 159, ult. c. c.p.c.. Tale norma prevede la salvezza degli effetti che l'atto è idoneo a produrre nonostante la nullità e la caducazione del solo effetto impedito dal vizio. La dottrina scorge in tale fenomeno una forma di riduzione degli effetti dell'atto processuale. L'applicazione del principio di conservazione, dettato dall'art. 159, u.c., c.p.c., secondo il quale, ove il vizio di nullità impedisca un determinato effetto, l'atto può tuttavia produrre gli "altri effetti ai quali è idoneo", ha consentito alla giurisprudenza di convertire non solo (in presenza delle circostanze suddette e segnatamente della tempestività del deposito o della notifica dell'atto di impugnazione a seconda del rito) la citazione per l'appello in ricorso o viceversa, ma anche il ricorso ordinario per cassazione in regolamento necessario di competenza (cfr. Cass. 29 marzo 1995, n. 3742; Cass. 5 dicembre 2001, n. 15366) e viceversa (cfr. Cass. 1 marzo 1995, n. 2336; Cass. 4 giugno 1997, n. 4975; Cass. 5 dicembre 2001, n. 15405); il ricorso proposto con atto a sé stante (e non nelle forme del controricorso) in ricorso incidentale per cassazione (cfr. Cass. 25 agosto 1999, n. 8906); il ricorso per cassazione per la revocatoria del provvedimento impugnato in ricorso ordinario per cassazione (cfr. Cass. 5 luglio 1996, n. 6157); l'appello principale in appello incidentale (cfr. Cass. 12 dicembre 2001, n. 15687). In tutti questi casi, tuttavia, l'atto non solo deve avere i requisiti di sostanza, di forma e di tempestività dell'atto nel quale viene convertito, ma deve essere anche stato proposto innanzi al giudice competente per il grado di giudizio. Inoltre, ai fini dell'operatività del principio di conversione, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato la necessità di esaminare il contenuto del mezzo utilizzato, nel senso che questo non deve dimostrare inequivocabilmente la volontà della parte di utilizzare soltanto un mezzo diverso, ancorché inammissibile (Cass. 20 febbraio 1991, n. 1776). 2.6. Sennonché ciò che occorre mettere in risalto è che i suddetti due principi, quello dell'ultrattività del rito ai fini della forma e modalità dell'impugnazione e quello della conservazione e conversione dell'impugnazione, operano su piani assolutamente differenti, per cui nella coesistenza degli stessi non è ravvisabile alcun contrasto giurisprudenziale. 2.7.Nella fattispecie il giudice di appello ha accertato, ed il punto non è contestato, che il procedimento di primo grado si era svolto, sia pure erroneamente, secondo le regole del procedimento ordinario, per cui tempestivamente e correttamente era stata proposta l'impugnazione con atto di citazione ad udienza fissa, notificata alla controparte nel termine di giorni trenta dalla notifica della sentenza, salvo il ripristino della ritualità del rito, disposta nel corso del giudizio di appello, a norma del combinato disposto degli artt. 439 e 447 bis c.p.c.. Non si pone, invece, il problema di conversione di detta citazione di appello in ricorso e quindi dell'esame se il deposito della stessa sia avvenuto entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, stante la ritualità dell'impugnazione nei termini in cui è stata effettuata. 3.Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39 l. n. 392/1978, nonché la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Assume la ricorrente che la prelazione o il riscatto, di cui alla suddetta normativa, sono esclusi non solo in caso di vendita in blocco dell'immobile, in cui è inclusa l'unità immobiliare venduta, ma anche allorché si tratti di vendita di diverse entità immobiliari, suscettibili di vendite separate, ma considerate unitariamente, in quanto oggettivamente costituenti un unicum funzionale ed economico; che tanto si era verificato nella fattispecie, in quanto si era trattato di un solo complesso immobiliare, costituito da altri due appartamenti ad uso abitativo e tre locali ad uso negozio, estranei al rapporto locativo instaurato dagli attori conduttori; che tanto era stato rilevato anche dal c.t.u., che aveva accertato che si trattava di un unico complesso edilizio, nettamente delimitato per tre lati da pubbliche vie. 4.1.Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato. La giurisprudenza costante di questa Corte, ha ritenuto che in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, allorché la vendita riguardi non un intero edificio (cosiddetta vendita in blocco, nella quale il conduttore di un'unità immobiliare non ha diritto alla prelazione ed al riscatto previsti dagli art. 38 e 39 della l. n. 392 del 1978), ma solo alcune delle unità immobiliari che lo compongono, ciascuna delle quali dotata di una propria autonomia, trasferite con un unico atto (cosiddetta vendita cumulativa), al fine di stabilire se debba essere riconosciuto il diritto di prelazione e di riscatto del conduttore di una di tali unità comprese nella vendita, deve accertarsi se l'oggetto del contratto sia unico, sia, cioè, un complesso immobiliare dotato di una propria individualità giuridico-strutturale, o se contenga tanti atti di disposizione per quanti sono gli immobili, sia, cioè, un atto traslativo ad oggetto plurimo. Mentre nel primo caso la prelazione ed il riscatto devono essere esclusi per le stesse ragioni per le quali lo sono nella vendita in blocco (in quanto oggetto del trasferimento è un bene che ha una configurazione sua propria, che lo rende diverso dall'immobile locato), nel secondo devono essere riconosciuti, poiché realizzano le finalità dell'accorpamento aziendale perseguito dalla legge (Cass. 21 maggio 1999, n. 4956; Cass. 16 luglio 1999, n. 7520; Cass. 2 ottobre 1998, n. 9788). 4.2.Ritiene questa Corte che detto principio vada condiviso, essendo esso fondato sulla lettera della legge, che, per l'esercizio del diritto di prelazione o riscatto, richiede l'identità tra il bene locato e quello alienato, nonché sulla ratio della stessa (sul punto funditus Cass. 17.2.1994, n. 1519). Detto principio non è stato violato dalla sentenza impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, ma anzi il giudice di appello si è espressamente richiamato allo stesso: egli ha solo ritenuto che nella fattispecie - sotto il profilo fattuale - si versasse in ipotesi di vendita cumulativa. 4.3.Ciò che rileva non è la possibilità per le unità immobiliari di essere trasferite separatamente e quindi la scindibilità dall'intero complesso: anzi ciò è un elemento fattuale che si verifica in ogni fattispecie in cui si discuta di prelazione o riscatto in presenza di una vendita in blocco, che presuppone che il conduttore detenga, sulla base di un contratto di locazione, solo una parte di quanto si vende. Né rileva la formale unicità dell'atto di trasferimento, poiché esso può racchiudere, sotto l'apparente unitarietà, tante vendite quante sono le unità vendute, né l'unitarietà del prezzo, in quanto esso può costituire il totale dei vari prezzi. È rilevante, invece, che il complesso sia stato venduto come un unicum e che quindi le varie componenti di questo siano sotto il profilo oggettivo strutturalmente e funzionalmente coordinate fra loro, sì da costituire un'entità patrimoniale diversa dalle singole unità che lo compongono (cfr. Cass. n. 502 del 2001; Cass. n. 3467/1997). Tanto è più facilmente evidenziabile se il locatore ha alienato in blocco tutto il fabbricato, ma il principio rimane eguale nel caso di vendita cumulativa di alcune soltanto delle unità immobiliari, ovvero - come nella fattispecie - di un intero fabbricato e di altre unità immobiliari, purché le stesse risultino strutturalmente e funzionalmente coordinate tra loro. 4.4.Ne consegue che la sentenza impugnata, la quale ha accolto la domanda di riscatto, sul rilievo che gli immobili alienati non costituivano un'unità funzionale e strutturale, non ha violato né ha effettuato una falsa applicazione delle norme indicate. 5.1.Residua la questione relativa al lamentato vizio motivazionale della sentenza, per aver erratamente ritenuto che il bene venduto non costituisse un unicum sotto il profilo giuridico ed economico. Osserva preliminarmente questa Corte che l'accertamento dell'unicità strutturale e funzionale del bene venduto (nell'ambito del quale rientra anche il bene locato), al fine di escludere o ammettere la prelazione o il riscatto, è di competenza del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se condotto attraverso l'esame di consulenza tecnica d'ufficio e logica valutazione degli elementi emergenti dagli atti (Cass. n. 13420 del 2001). 5.2.Nella fattispecie la sentenza impugnata ha ritenuto che la consulenza tecnica presentasse incongruenze e lacune fondatamente segnalate dall'appellante (attuale resistente, la quale tra l'altro assume che, come risulta dal verbale di sopralluogo e dalla relazione, il c.t.u. ha potuto visionare dall'interno solo i beni locati all'attrice e non gli altri beni), e che, invece, dalle risultanze processuali, tra cui anche le fotografie, risultava l'inserzione dell'albergo in un insieme di fabbricati aderenti, ma differenziati sotto il profilo non solo dell'origine storica e catastale, ma essenzialmente per tipologia e struttura; che non esistevano, contrariamente a quanto ritenuto dal c.t.u., parti comuni di fondamenta, muri perimetrali e tetto, come emergeva dalle fotografie, per cui non esisteva "un sol corpo da tetto a terra" e quindi un solo complesso immobiliare; che non esisteva alcuna comunicazione interna né altra forma di interferenza strutturale tra l'insieme adibito ad albergo e le altre componenti immobiliari vendute, ma non comprese nella locazione. Rileva poi la sentenza impugnata che la ragione dell'acquisto cumulativo era testualmente dichiarata dalla società acquirente nell'ultima clausola del contratto, nella quale la stessa dà atto, ai sensi del d.l. n. 669 del 1966, di aver ad oggetto principale la vendita di immobili e di voler alienare quanto acquistato entro tre anni, avvalendosi delle vigenti agevolazioni. Sulla base della suddetta motivazione la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie non si trattasse di vendita di un bene nella sua unitarietà strutturale, funzionale ed economica, ma di una vendita cumulativa e che pertanto, correttamente era stato esercitato il diritto di riscatto. 5.3.La suddetta motivazione è immune dai vizi motivazionali, rilevabili in sede di legittimità, mentre la censura della ricorrente sul punto si risolve in una diversa lettura delle risultanze processuali, come tale inammissibile in questa sede. 6.Il ricorso va, pertanto, rigettato. Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, lì 2 dicembre 2004. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 GEN. 2005 COMMENTO TRATTO DA Riv. Notariato 2005, 5, 1081 Di Daniela Cupini Brevi note sulla differenza tra la vendita in blocco e la vendita cumulativa nel sistema della L. n. 392 del 1978. 1. La sentenza in commento arricchisce di un nuovo contributo l'ormai ricchissimo panorama giurisprudenziale creatosi in materia di ius prelationis e ius retractionis riconosciuti, in favore del conduttore di immobili urbani ad uso commerciale, dagli artt. 38 e 39 L. n. 392 del 1978 (c.d. «legge dell'equo canone»). Il dato normativo di partenza è costituito dall'art. 38 della L. n. 392 del 1978, che prevede, in capo al locatore di immobile urbano adibito ad uso commerciale, industriale, artigianale e turistico, il quale «intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato», l'obbligo di darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Nella comunicazione, il locatore ha altresì l'obbligo di indicare il corrispettivo offerto o pattuito con il terzo, «da quantificare in ogni caso in denaro», le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa, e l'invito al conduttore ad esercitare il diritto di prelazione. Il conduttore, ove eserciti il diritto di prelazione, è tenuto ad offrire condizioni uguali a quelle comunicategli. Qualora, invece, il locatore si renda inadempiente all'obbligo di comunicare al conduttore la propria intenzione e trasferisca tout court l'immobile al terzo, ovvero qualora il prezzo indicato nella denuntiatio sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento dell'immobile, l'art. 39 della legge prevede il diritto di riscatto, che può essere esercitato dal conduttore nei confronti dell'acquirente e di ogni altro successivo avente causa, purché entro i sei mesi dalla trascrizione del contratto. È bene precisare che il diritto di prelazione (e il succedaneo diritto di riscatto) non competono, sempre in ipotesi di locazione commerciale, ai conduttori che svolgono attività non comportanti contatti diretti con il pubblico dei consumatori e degli utenti, ovvero a coloro che svolgono attività professionali, di carattere transitorio, o che operano in immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici (art. 35 L. n. 392 del 1978). È opportuno poi aggiungere che la previsione si inserisce nel quadro sistematico di un più ampio panorama di vantaggi, attribuiti dalla L. n. 392 del 1978 al conduttore di immobili adibiti ad uso non abitativo , quali in particolare la maggior durata del contratto (art. 27), l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale (art. 34), il diritto di prelazione per il caso di nuova locazione (art. 40), la possibilità di sublocazione, cessione e successione nel contratto (artt. 36 e 37); vantaggi che, uniti all'ordinario principio emptio non tollit locatum, «rispondono all'esigenza di consentire all'imprenditore di "ancorare" la propria azienda al luogo, eletto a propria sede e di proseguire lì la propria attività di impresa, garantendone - entro certi limiti e compatibilmente con le necessità del locatore - la stabilità ed un duraturo svolgimento» (così Paolo Rolleri, Sull'applicazione degli artt. 38 e 39 L. n. 392 del 1978 in tema di vendita in blocco e di vendita cumulativa, in Riv. giur. edilizia, 2002, p. 324), con evidente tutela dell'avviamento commerciale. Ciò posto, l'art. 38 L. n. 392 del 1978 ha dato luogo, sin dalla sua entrata in vigore, a diverse interpretazioni, tutte incentrate sull'esegesi delle parole «immobile locato» contenute nel comma 1. Infatti, nonostante l'apparente chiarezza del tenore letterale della norma, vi è chi ha ritenuto che le parole «immobile locato» potessero riferirsi addirittura all'intero stabile in cui è inserita l'unità immobiliare locata (fu lo stesso Ministro Guardasigilli Bonifacio ad avallare tale interpretazione in sede di lavori preparatori della L. n. 392 del 1978, esprimendo il parere secondo il quale, in caso di trasferimento dell'intero edificio, «se il conduttore vuole esercitare la prelazione, deve farlo in riferimento all'intero oggetto del contratto di trasferimento»: stralcio riportato da Terzago, in Locazione e condominio, Quaderni, 5, collana diretta da Lazzaro-Preden-Terzago-Varrone, Milano, 1980; opinione ribadita nella successiva Relazione ministerialein data 11 maggio 1979, in Arch. loc., 1979, p. 234). Per completezza daremo ora brevemente conto di due indirizzi interpretativi rimasti minoritari. Tuttavia, occorre porre sin da subito il cuore del problema all'attenzione del lettore: posto che il legislatore ha limitato la previsione dell'art. 38 all'ipotesi in cui il proprietario-locatore intenda vendere proprio e soltanto l'unità immobiliare locata (e dunque, non disciplinando espressamente le ipotesi di «vendita in blocco» e di «vendita cumulativa», che sono di creazione giurisprudenziale/dottrinaria), è possibile estendere la portata applicativa dell'art. 38 alle ipotesi in cui il proprietario-locatore intenda alienare, oltre all'unità locata, altre porzioni immobiliari di cui sia proprietario, o addirittura l'intero stabile? 2. Secondo un primo orientamento (che, come anticipato, ha avuto scarso seguito sia in dottrina che in giurisprudenza), l'art. 38 L. n. 392 del 1978 è applicabile anche alla fattispecie - non espressamente disciplinata dal legislatore - in cui oggetto di alienazione non sia l'immobile locato, ma l'intero fabbricato di cui esso fa parte, con attribuzione al conduttore della prelazione sull'intero edificio (in dottrina hanno sostenuto tale orientamento: D. Bravi, La prelazione locatizia nella L. n. 392 del 1978, in Arch. loc., 1979, p. 357; F. Salari, Limiti al diritto di prelazione nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, in Prev. soc., 1980, p. 209; D. Bravi, Vendita in blocco e prelazione locatizia, in Arch. loc., 1980, p. 327; L. Tiscornia, Perché non vanno confuse prelazione urbana e prelazione agraria, in Arch. loc., 1980, p. 402; R. Aloisio, Commento all'art. 38, equo canone, in Leggi civ. comm., 1980, p. 445; in giurisprudenza: App. Venezia, 28 agosto 1989, in Foro pad., 1990, I, p. 18 e in Rass. dir. civ., 1991, p. 670; Trib. Milano, 31 maggio 1984, in Loc. urb., 1984, p. 555; App. Venezia, 16 giugno 1983, in Riv. giur. edilizia, 1984, p. 688; Trib. Foggia, 14 luglio 1981, in Giur. merito, 1982, p. 762; Pret. Varese, 22 febbraio 1980, in Arch. loc., 1980, p. 255). Le argomentazioni a sostegno di siffatta tesi sono essenzialmente due: - tale soluzione interpretativa consente anzitutto di mediare tra l'interesse del proprietario e quello del conduttore, posto che permette al primo di evitare il deprezzamento derivante dalla vendita frazionata del fabbricato, ed al secondo di non essere privato dello ius prelationis (sebbene, occorre subito evidenziare, esteso ad un bene spesso di gran lunga più consistente rispetto a quello locatogli); - in secondo luogo, tale soluzione impedisce ogni espediente fraudolento, posto in essere dal locatore al fine di impedire al conduttore di esercitare il proprio diritto di prelazione, ed appare in linea con il tenore letterale della norma, che ai commi 2 e 3 impone al conduttore di offrire ed accettare condizioni uguali a quelle proposte dal proprietario-locatore o pattuite con il terzo acquirente. È stato tuttavia efficacemente opposto, al di là del dato letterale offerto dal comma 1 dell'art. 38 in questione, che accogliendo siffatta interpretazione l'oggetto della prelazione riconosciuta in favore del conduttore ricoprirebbe beni diversi ed ulteriori rispetto a quello locato, nei quali quest'ultimo non esercita affatto le attività (commerciali, industriali, artigianali o turistiche) per la cui tutela la legge ha previsto, fra l'altro, lo ius prelationisin oggetto, con conseguente venir meno della ratio di tutela dell'avviamento commerciale (M. Vietti, Vendita in blocco e diritto di prelazione, in Foro pad., 1984, I, p. 437; L. Pierallini, La prelazione nella vendita contestuale di un compendio immobiliare, in Giust. civ., 1983, II, p. 3092; Cass., 19 maggio 1999, n. 4843; Trib. Firenze, 5 maggio 1984). Inoltre, consentendo al conduttore di esercitare la prelazione sull'intero immobile, la tutela dello ius prelationis diventa più formale che reale, poiché si pone al conduttore, come alternativa al non acquisto, quella di effettuare un esborso economico il più delle volte insostenibile. 3. Altra parte, sempre minoritaria, di dottrina e giurisprudenza riconosce al conduttore lo ius prelationis ma limitatamente al solo immobile locato (in dottrina: G. Grasselli, Le locazioni di immobili nel codice civile e nelle leggi speciali, Padova, 1999, p. 480; E. Perego, La prelazione nella vendita in blocco di edifici (nota a Trib. Milano, 20 marzo 1981), in Giust. civ., 1981, I, p. 1763; R. Preden, Ammissibilità della prelazione parziaria del conduttore nel caso di vendita di intero edificio, in Giust. civ., 1980, II, p. 239; G. Terzago, Locazioni e condominio, cit., p. 65; G. Cian, La prelazione a favore del conduttore nella locazione ad uso abitativo , in Le locazioni per uso non abitativo (Atti Convegno Milano, 5 luglio 1979), Padova, 1979; in giurisprudenza: Trib. Milano, 30 settembre 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, p. 480 (riformata da App. Milano, 15 marzo 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, p. 562), con nota critica di M. Lupi Costi, Sul diritto di prelazione del conduttore nel casi di vendita di intero edificio comprendente l'unità locata; Trib. Napoli, 8 febbraio 1982; Trib. Milano, 16 aprile 1981, in Loc. urb., 1981, p. 319; Trib. Aosta, 23 ottobre 1980, in Giur. it., 1982, I, 2, p. 134; Trib. Milano, 10 luglio 1980, in Arch. loc., 1980, p. 600; Pret. Roma, 12 febbraio 1980, in Temi rom., 1980, p. 146 e Foro it., I, p. 1293, con nota di A. Iannarelli; Pret. Roma, 7 febbraio 1980, in Prev. soc., 1980, p. 204). La tesi in questione è tutta fondata sulla ratiodell'istituto. La prelazione exart. 38 L. n. 392 del 1978, infatti, risponderebbe a finalità di interesse generale, individuate «nell'esigenza di tutelare il lavoro svolto dai conduttori, che siano artigiani, commercianti, od operatori turistici e di incrementare, nel contempo, le attività artigianali, commerciali, industriali e turistiche, che costituiscono un aspetto assai rilevante dell'economia nazionale» (R. Preden, Ammissibilità della prelazione parziaria, cit., p. 239) e nella volontà istituzionale di far accedere alla proprietà immobiliare coloro che, con la loro opera, consentono al Paese di svilupparsi e progredire. Tali finalità giustificherebbero la limitazione del potere di disposizione del proprietario, come del resto consente l'art. 42 Cost., posto che tale limite sarebbe «coerente con la funzione sociale svolta da beni immobili adibiti ad attività produttiva, quali strumenti essenziali per l'esplicazione di attività di indiscutibile utilità economica e sociale» e si proporrebbe come logico sviluppo di un progetto già parzialmente realizzato con la prelazione agraria. Partendo da tale premessa, i sostenitori di tale tesi ritengono - coerentemente - che oggetto della prelazione non possa mai essere un bene diverso da quello locato. Infatti, poiché il riconoscimento del diritto di prelazione è funzionale al perseguimento di vari interessi, quali quello della stabilità dell'impresa e del suo progressivo sviluppo nella stessa sede, è assurdo ritenere che una prerogativa di tal fatta possa essere attribuita su beni mai presi in locazione e che non presentano alcuna connessione con l'esercizio dell'attività economica svolta all'interno del bene locato. Se questa è la tesi, per i suoi sostenitori è giocoforza sostenere che il riferimento contenuto nell'art. 38 all'immobile locato non costituisce un elemento di chiusura, dato che l'espressione usata dal legislatore («trasferire a titolo oneroso l'immobile locato») farebbe riferimento, puramente e semplicemente, all'ipotesi «ritenuta più normale e frequente» (n.d.r. cioè, quella della coincidenza fra immobile locato ed immobile venduto). Il fatto che la norma in questione «non consideri espressamente l'eventualità che l'immobile locato venga trasferito unitamente ad altri immobili non significa che essa debba intendersi esclusa dalla previsione normativa» (Trib. Aosta, 23 ottobre 1980). Secondo i sostenitori di tale tesi, dunque, il proprietario-locatore sarebbe tenuto a subire uno scorporo autoritativo dell'unità locata dal più ampio complesso immobiliare alienato (o di cui progetta l'alienazione), con sostanziale compressione del potere di disposizione del bene, riconosciuto dall'art. 832 c.c. e tutelato dall'art. 42 Cost., in virtù di uno sbilanciamento della tutela in favore del conduttore e del suo diritto di iniziativa economica privata tutelato dall'art. 41 Cost. Non è chi non veda come simile argomentazione comporti un bilanciamento ed un confronto fra gli interessi in gioco che eccede i limiti della ragionevolezza, oltre ad ignorare il dato testuale offerto dalla norma, come anche autorevolmente rilevato (Paolo Rolleri, Sull'applicazione degli artt. 38 e 39, cit., p. 336). 4. L'orientamento giurisprudenziale maggioritario si è formato a partire da alcune pronunce di merito (Trib. Genova, 25 marzo 1980; Trib. Lecce, 18 febbraio 1981; Trib. Milano, 20 marzo 1981; Trib. Roma, 17 dicembre 1982), poi consacrate nella prima pronuncia resa dalla Suprema Corte in materia (Cass., 23 ottobre 1983, n. 6256, in Foro it., 1983, I, p. 3004; in questa Rivista, 1984, p. 180; in Riv. giur. edil., 1984, I, p. 249; in Giur. it., 1984, I, 1, p. 770; in Giust. civ., 1984, I, p. 787; in Arch. loc., 1983, p. 649; e in Rass. dir. civ., 1984, p. 1123), che ha escluso il diritto di prelazione in capo al conduttore, in caso di vendita in blocco dell'edificio di cui è parte l'unità locata. Il ragionamento seguito dalla giurisprudenza dominante, sia di legittimità (cfr. le successive Cass., 30 ottobre 1984, n. 5561, in Arch. loc., 1984, p. 575; Cass., 24 febbraio 1987, n. 1934, in Arch. loc., 1987, p. 280; Cass., 22 luglio 1987, n. 6410, in Arch. loc., 1987, p. 662; Cass., 29 luglio 1987, n. 6576, in Arch. loc., 1987, p. 644; Cass., 19 maggio 1990, n. 4519, in Rass. equo can., 1990, p. 242, con nota di M. De Tilla, La vendita in blocco e la vendita cumulativa dell'immobile locato; Cass., 30 ottobre 1990, n. 10484, in Riv. giur. edilizia, 1991, I, p. 49, con nota di M. De Tilla, Casi controversi sulla prelazione urbana; in Arch. loc., 1991, p. 53; in Rass. equo can., 1991, p. 74 e in Vita not., 1991, p. 180; Cass., 23 febbraio 1991, n. 1956, in Arch. loc., 1991, p. 379; Cass., 17 febbraio 1994, n. 1519, in Arch. loc., 1994, p. 552 (solo massima), con nota di M. De Tilla, Prelazione e vendita in blocco in materia locatizia e agraria; in Foro it., 1994, I, p. 2774; in Giust. civ., 1994, I, p. 2905; in Riv. dir. comm., 1994, II, p. 473, con nota di F. Guzzi, Ancora nella prelazione urbana ex art. 38 L. n. 392 del 1978 nell'ipotesi di vendita in blocco; in questa Rivista, 1994, p. 1404; Cass., 19 luglio 1995 n. 7872, in Giur. it. Mass., 1995; Cass., 25 luglio 1995, n. 8094, in Riv. giur. edilizia, 1996, I, p. 64 e in Arch. loc., 1995, p. 913 (solo massima); Cass., 30 maggio 1996 n. 5009, in Arch. loc., 1996, p. 715; Cass., 20 marzo 1997, n. 2486, in Arch. loc., 1997, p. 400 e in Vita not., 1997, p. 1471; Cass., 15 aprile 1997, n. 3230, in Giur. it. Mass., 1997; Cass., 22 aprile 1997, n. 3467, in Riv. giur. edilizia, 1997, I, p. 885; in Foro it., 1997, I, p. 3269 e in Arch. loc., 1997, p. 628; Cass., 5 dicembre 1997, n. 12360, in Arch. loc., 1998, p. 197; Cass., 2 ottobre 1998, n. 9788, in Riv. giur. edilizia, 1999, I, p. 41 e in Arch. loc., 1998, p. 846; Cass., 12 ottobre 1998, n. 10087, in Giur. it., 1999, p. 2059, con nota di C. Villani, Vendita in blocco, vendita cumulativa e diritti di prelazione del conduttoree in questa Rivista, 1999, p. 421, con nota di A. Sartore, Recenti orientamenti della Cassazione in tema di prelazione urbana nelle vendite in blocco e nelle vendite cumulative; Cass., 19 ottobre 1998, n. 10340, in Giur. it., 1999, p. 2059 e in questa Rivista, 1999, p. 421; Cass., 21 ottobre 1998, n. 10427, in Giur. it., 1999, p. 2059; Cass., 19 maggio 1999, n. 4853, in Vita not., 2000, p. 1248 e in Giur. it., 2000, p. 475, con nota di A. Trevisan; Cass., 21 maggio 1999, n. 4956, in Giur. it., 2000, p. 476; Cass., 16 luglio 1999, n. 7250, in questa Rivista, 2000, p. 1248, con nota redazionale; Cass., 1° settembre 1999, n. 9197, in Giur. it. Mass., 1999; Cass., 15 gennaio 2001, n. 502, in Arch. loc., 2001, p. 815, con nota di M. De Tilla, Sulla vendita in blocco del bene locato; Cass., 21 febbraio 2001, n. 2511, in Giur. it., 2001, p. 1835, con nota di M.C. Antonica; Cass., 4 febbraio 2004, n. 2069, in Foro it., 2004, I, p. 680, con nota di D. Piombo) che di merito (Trib. Biella, 30 giugno 1980; App. Milano, 20 marzo 1981, in Giust. civ., 1981, I, p. 1758; App. Palermo, 14 maggio 1981, in Arch. loc., 1982, p. 479; Trib. Verona, 15 giugno 1981, in Arch. loc., 1984, p. 293 e in Giur. merito, 1984, p. 90, con nota di G. De Paola, Prelazione urbana ed interpretazione analogica; Trib. Forlì, 3 maggio 1983; Trib. Firenze, 5 maggio 1984, in Foro pad., 1984, I, p. 437; App. Torino, 9 giugno 1984, in Giur. it., 1985 I, 2, p. 334, con nota di M. Vietti, Vendita in blocco e diritto di prelazione; Trib. Lucca, 9 maggio 1987, in Arch. loc., 1987, p. 338; Trib. Cagliari, 13 giugno 1984, in Riv. giur. Sarda, 1987, p. 74; Trib. Cagliari, 19 febbraio 1985, in Arch. loc., 1987, p. 73; Trib. Cagliari, 23 ottobre 1985, in Riv. giur. Sarda, 1987, p. 74; Trib. Prato, 4 giugno 1990, in Arch. loc., 1991, p. 138; Trib. Vasto, 14 settembre 1993, in P.Q.M., 1994, fasc. 2, p. 55; Trib. Terni, 27 gennaio 1994, in Rass. giur. Umbra, 1994, p. 385; Trib. Cagliari, 16 dicembre 1992, in Riv. giur. Sarda, 1994, p. 86; Trib. Milano, 30 maggio 1994, in Arch. loc., 1995, p. 667; Trib. Milano, 6 giugno 1994, in Arch. loc., 1995, p. 424; Trib. Milano, 6 ottobre 1994, in Gius, 1995, p. 162; Trib. Modena, 10 novembre 1995, in Notariato, 1996, p. 536, con nota di G. Manzini, Vendita in blocco o cumulativa di beni eterogenei e prelazione urbana; Trib. Perugia, 4 luglio 2001, in Rass. giur. Umbra, 2002, p. 467, con nota di A. Mezzanotte, Appunti sulla sussistenza del diritto di prelazione in ipotesi di vendita del bene locato ad uso non abitativo congiuntamente ad un più ampio complesso di beni immobili ) nonché da parte della dottrina (Albergo, La prelazione locatizia nella c.d. vendita in blocco e nella c.d. vendita cumulativa, in Vita not., 1995, p. 1175; Alpa, La prelazione legale nella vendita di un immobile che comprende, in compendio, quello locato, in Giust. civ., 1981, I, p. 2727; Annunziata, Vendita in blocco dell'edificio e prelazione del conduttore, in Arch. loc., 1984, p. 387; Bajo, Niente prelazione per gli edifici venduti in blocco, in Arch. loc., 1982, p. 654; De Tilla, Esercizio della prelazione, vendita in blocco e successivo trasferimento delle singole unità immobiliari a prezzi aumentati, in Giust. civ., 1989, II, p. 2574) è sicuramente da condividere, poiché si basa su una corretta e rigorosa applicazione dei canoni ermeneutici vigenti, ed in particolare sull'art. 12 delle preleggi, il quale sancisce che nell'opera di interpretazione della legge «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», riservando all'interpretazione logica della norma una funzione sussidiaria rispetto a quella letterale. Se è il metodo letterale a dover essere utilizzato anzitutto, occorre prendere atto che l'art. 38 L. n. 392 del 1978 contiene parole tali da delimitare abbastanza chiaramente il proprio àmbito applicativo. Sia il comma 1 e 5 della norma, infatti, parlano di «immobile locato», mentre il comma 3 prevede l'obbligo del conduttore, intenzionato ad esercitare il diritto di prelazione, di offrire «condizioni uguali a quelle comunicategli». La corretta applicazione dell'art. 12 delle preleggi porta dunque a ritenere che il legislatore abbia voluto fare esclusivo riferimento alla porzione (od unità) immobiliare concessa in godimento al conduttore, non ad altro: è tale porzione ad essere oggetto della progettata vendita e delle eventuali trattative intraprese o condotte a termine con i terzi, e sono le condizioni elaborate con riferimento a tale porzione a dover essere comunicate al conduttore, e da lui offerte al locatore «ad integrale adesione». Da qui, la costante affermazione della Suprema Corte, secondo cui presupposto indefettibile per il riconoscimento del diritto di prelazione ex art. 38 L. n. 392 del 1978 (e del succedaneo diritto di riscatto ex art. 39) è l'assoluta coincidenza oggettiva fra immobile locato e immobile venduto. Orbene, l'edificio nel suo complesso costituisce un insieme di locali, materiali, attrezzature, impianti e servizi, che oggettivamente configura un bene diverso dalle singole unità che lo compongono, sia strutturalmente, sia dal punto di vista giuridico (v. ad esempio la disciplina degli edifici in condominio, cui la legge dedica una disciplina specifica rispetto alle porzioni che li compongono), sia dal punto di vista amministrativo ed economico (l'entità economica dell'operazione che investe un intero stabile è evidentemente diversa dalla mera somma dei valori delle singole porzioni immobiliari che lo compongono). Da qui la conclusione che, in caso di vendita in blocco, la prelazione non spetta al conduttore, né sull'intero stabile (poiché bene diverso da quello locato), né sulla singola unità immobiliare (che non può essere scorporata da ciò che il proprietario-locatore, nell'esercizio del potere di disposizione riconosciutogli e garantito dall'art. 42 Cost. e dall'art. 832 c.c., intende alienare a terzi con tali modalità). 5. La Suprema Corte ha sin da subito tenuto in conto l'eventualità che il proprietario-locatore progetti (od effettui) la vendita di varie unità immobiliari, oltre quella locata, senza tuttavia alienare in blocco l'intero edificio, così come l'eventualità che tale aggregazione di beni venga posta in vendita al solo fine di eludere la disciplina in commento. Sul punto, già la prima pronuncia in materia (Cass., n. 6256 del 1983) riteneva che la soluzione del problema andasse ricercata sulla base di due direttrici: - accertare se «la cessione, con unico atto, di una pluralità di beni, specie se eterogenei e scoordinati fra loro, integri effettivamente una vendita cumulativa o non costituisca, piuttosto, una pluralità di contratti autonomi con altrettante prestazioni»; - accertare «l'eventuale malafede dei contraenti, ed in particolare del locatore alienante, che abbiano surrettiziamente aggiunto alla vendita dell'immobile locato altri beni per eludere l'applicazione della norma di legge e vanificare così il diritto del conduttore, nel qual caso non contraddice al sistema ed è concretamente possibile determinare, in fase di riscatto e in sede giudiziaria, il valore venale di mercato dell'immobile compravenduto». È così venuta ad enuclearsi (successivamente con Cass., 24 febbraio 1987, n. 1934; Cass., 19 maggio 1990, n. 4519, in questa Rivista, 1990, p. 1074 e in Rass. equo canone, 1990, p. 242, con nota di M. De Tilla, La vendita in blocco e la vendita cumulativa dell'immobile locato; Cass., 22 aprile 1997, n. 3467; Cass., 5 dicembre 1997, n. 12360, in Arch. loc., 1998, p. 197; Cass., 2 ottobre 1998, n. 9788, in Arch. loc., 1998, p. 846; Cass., 12 ottobre 1998, n. 10087; Cass., 21 maggio 1999, n. 4956, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 1130; Cass., 16 luglio 1999, n. 7250, in questa Rivista, 2000, p. 1248; Cass., 15 gennaio 2001, n. 502, in Arch. loc., 2001, p. 815; Cass., 4 febbraio 2004, n. 2069, in Foro it., 2004, I, p. 680) la distinzione concettuale fra «vendita in blocco» e «vendita cumulativa», distinzione affinatasi nel tempo con varie pronunce, nell'àmbito di una fattispecie generale comune: quella in cui l'immobile locato viene ceduto congiuntamente ad altri beni. Oggi può ritenersi ormai un dato acquisito che la vendita «in blocco» sussiste quando viene alienato l'intero edificio (in cui è compresa, fra le altre, l'unità immobiliare locata). La vendita «cumulativa», invece, consiste nella alienazione con unico atto e da parte dell'unico proprietario, di plurimi immobili distinti per connotazioni e funzioni, non costituenti tuttavia l'intero edificio (si pensi, ad esempio, alla vendita di un negozio al piano terreno effettuata congiuntamente a quella di un appartamento al secondo piano del medesimo stabile, ovvero alla vendita di più negozi situati nello stesso edificio ma strutturalmente separati fra loro). Mentre il diritto di prelazione è sempre escluso nella vendita in blocco, in caso di vendita cumulativa lo ius prelationis non sempre viene riconosciuto in favore del conduttore dalla giurisprudenza, la quale ha individuato, come criterio discretivo, quello della «unicità» o meno del complesso immobiliare alienato. In altre parole, in presenza di una alienazione dell'immobile locato effettuata congiuntamente ad un più ampio complesso immobiliare, occorre procedere ad una accurata analisi del rapporto con cui il bene stesso si pone nei confronti delle ulteriori unità immobiliari. Qualora le unità alienate conservino la loro autonomia, potrà parlarsi di atto traslativo ad oggetto plurimo, e dunque si applicherà, in favore del conduttore della porzione locata, l'istituto della prelazione in commento, poiché il bene locato non ha perso la propria individualità e sussiste il presupposto della identità fra immobile locato ed immobile venduto pur nella pluralità delle unità alienate. Qualora invece le unità alienate presentino degli oggettivi elementi di coordinazione strutturale e funzionale, sì da perdere ognuna la propria autonomia per presentarsi come un complesso strutturalmente e funzionalmente unitario, allora la fattispecie appare sostanzialmente coincidente con la vendita in blocco: il bene trasferito è ontologicamente diverso rispetto a quello locato e dunque difetta il presupposto fondamentale per il riconoscimento del diritto di prelazione (si pensi ad esempio alla fattispecie decisa da Cass., n. 10427 del 1998, in cui il compendio alienato era costituito da due fabbricati contigui ad uso industriale, circondati da un cortile comune con funzione pertinenziale). Sul punto, l'elemento che emerge costantemente dalla giurisprudenza è il seguente: l'accertamento della sussistenza o meno del coordinamento strutturale e funzionale fra unità immobiliari deve essere effettuato sulla base di circostanze oggettive, presenti nel complesso immobiliare al momento della denuntiatio o, in mancanza (nel frequente caso in cui il compendio venga alienato senza procedere alla comunicazione al conduttore ex art. 38 L. n. 392 del 1978) al momento del trasferimento. Tale accertamento viene solitamente effettuato per il tramite di una Consulenza Tecnica d'Ufficio, tesa appunto a verificare lo stato degli immobili alienati ed il rapporto fra gli stessi, sì da accertare se le singole unità oggetto del trasferimento «abbiano perso la propria autonomia giuridica e strutturale e siano state ridotte a "meri fattori o elementi immobiliari" di un'entità più ampia: tale perdita di autonomia potrebbe evincersi, oltre che da altri fattori (quali l'esistenza di un unico accesso per l'intero complesso immobiliare o un unico identificativo catastale per tutte le unità immobiliari) anche dal venir meno della funzionalità economica del complesso trasferito, nell'ipotesi in cui ad esso sia sottratta la parte sulla quale intende esercitarsi la prelazione» (come acutamente rilevato da A. Mezzanotte, Appunti sulla sussistenza, cit., in Rass. giuridica Umbra, 2002, p. 478: si pensi, ad esempio, ad una banca che acquisti gli appartamenti e i locali siti ai primi due piani di un edificio, nel quale il conduttore occupi uno o più locali al piano terra, che la banca intende adibire a sportelli al pubblico). La giurisprudenza ha ritenuto che tra i fattori di carattere oggettivo che evidenzino un collegamento strutturale e funzionale tra le unità alienate non può essere annoverata: - la pattuizione di un unico prezzo di vendita, che potrebbe essere costituito dalla mera somma aritmetica del valore venale delle singole porzioni (Cass., 14 maggio 2001, n. 6641 in Giust. civ. Mass., 2001, p. 970); - la volontà dell'acquirente di accorpare tutti i locali dopo l'acquisto: è stato infatti osservato che, oltre ad essere un criterio evanescente, tale volontà - anche se esplicitata in termini di motivo del negozio in sede di compravendita - costituisce un fatto che riguarda il rapporto fra venditore-locatore e terzo acquirente, e non può pertanto incidere sul diverso rapporto proprietario-locatore/conduttore e sulle prerogative che la legge riserva a quest'ultimo (Cass., 2 ottobre 1998, n. 9788, in Arch. loc., 1998, p. 846; Cass., 19 maggio 1990, n. 4519, in questa Rivista, 1990, p. 1074); - la volontà negoziale del venditore di considerare i beni alienati unitariamente: è stato infatti rilevato come la mera circostanza che l'immobile locato sia trasferito insieme ad una pluralità di beni non è in sé idonea ad escludere la prelazione, in quanto detta pluralità potrebbe essere stata creata ad hoc in vista della vendita al fine di eludere i diritti del conduttore (Cass., 1° agosto 1991, n. 8469, in Arch. loc., 1992, p. 320); - il fatto che il trasferimento riguardi tutti i beni di cui il locatore sia proprietario in un più ampio complesso: in tal caso la pluralità dei beni alienati potrà essere riconosciuta come unicum, con conseguente esclusione del diritto di prelazione, solo ove sia accertata la sussistenza di elementi oggettivi di coordinamento strutturale e funzionale fra i beni stessi, come sopra chiarito (Cass., 19 ottobre 1998, n. 10340, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 2117). 6. La sentenza in commento ha fatto piena applicazione dei princìpi sopra illustrati e pertanto appare ineccepibile nella motivazione con cui rigetta il ricorso proposto dal terzo acquirente, il quale aveva dedotto trattarsi nella specie di una vendita in blocco, o comunque del trasferimento di diverse entità immobiliari costituenti un unicum funzionale ed economico. La Corte, fra l'altro, ha preso atto che il giudice d'appello aveva ritenuto trattarsi di un'ipotesi di vendita cumulativa, ed ha rammentato assai opportunamente (richiamando la precedente sentenza n. 13420 del 2001) che l'accertamento dell'unicità strutturale e funzionale del compendio alienato (in cui rientra l'unità locata), al fine di escludere o meno lo ius prelationis, «è di competenza del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se condotto attraverso l'esame di consulenza tecnica d'ufficio e logica valutazione degli elementi emergenti dagli atti». In ogni caso, la Corte rileva che nella specie la consulenza tecnica presentava varie incongruenze (fra l'altro, il CTU aveva visionato dall'interno i soli beni locati e non gli altri), e che invece, dalle risultanze processuali, tra cui anche le fotografie, l'albergo risultava inserito in fabbricati sì aderenti, ma differenziati per origine storica e catastale, per tipologia e per struttura; che non esistevano parti comuni di fondamenta, muri perimetrali e tetto; che non vi era alcuna comunicazione interna né altro collegamento strutturale tra l'insieme adibito ad albergo oggetto di locazione , e le altre unità immobiliari alienate. Il che risponde pienamente ai criteri elaborati dalla giurisprudenza dominante formatasi fino ad oggi, per la configurabilità di una vendita cumulativa con riconoscimento del diritto di prelazione e riscatto in favore del conduttore.
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Barbara Verlicchi
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