In qualità di esperto del diritto e del sistema leglislativo vigente, l’avvocato è considerato il professionista più adatto a ricoprire il ruolo di conciliatore in una controversia. E’ chiaro che non tutti gli avvocati possiedono attitudini naturali orientate verso la soluzione bonaria dei conflitti e che, comunque, anche i soggetti più predisposti necessitano di un accurato percorso di studi per affinare le proprie competenze adattandole al mondo parallelo della “giustizia alternativa”.  L’avvocato, ad ogni modo, può comparire in una procedura conciliativa non solo nella veste di terzo imparziale, ma anche in quella consueta di garante del proprio cliente. Posto che, come abbiamo già analizzato nelle precedenti sezioni della Guida, la conciliazione non è un processo giudiziale dal quale escono un vincitore e un vinto, è evidente che in una sede conciliativa l’avvocato non è chiamato a “difendere” in senso tecnico la parte assistita. Anche se il conciliatore deve essere adeguatamente istruito sulla materia del contendere, non tocca a lui decidere chi sta dalla parte della ragione nel conflitto: l’obiettivo finale, infatti, è quello di trovare un accordo che ripristini il precedente stato di equilibrio nei rapporti tra i soggetti in lite, senza alcuna necessità di valutare gli elementi probatori a vantaggio di una parte o dell’altra, né la veridicità delle asserzioni sulle eventuali responsabilità che ognuno ascrive al proprio antagonista. Ecco allora che inevitabilmente si modifica anche il compito difensivo del legale di parte. Formuliamo un esempio.  Se Tizio si trova coinvolto in una lite condominiale contro il suo vicino di casa Caio, potrà ben pensare di rivolgersi ad un avvocato che lo assista giudizialmente nella controversia, oppure che lo tuteli nell’ambito di una procedura conciliativa. L’avvocato nominato da Tizio, nella prima ipotesi, assumerà un mandato (cioè un incarico professionale) con cui si impegnerà a dar corso a tutta una serie di attività processuali predeterminate e sancite dall’ordinamento interno nel codice di procedura civile: redazione di memorie difensive contenenti l’indicazione delle norme di legge violate da Caio, articolazioni istruttorie, comparse conclusionali e altri atti simili.  Nella seconda ipotesi, invece, l’esecuzione del mandato dell’avvocato consisterà nel porre in essere delle attività differenti, perché sostanzialmente informali e non codificate, ma di natura analoga: redazione di una sintetica relazione contenente gli elementi strutturali alla radice del conflitto, anche di natura extra-giuridica, affiancamento del cliente nel corso della seduta di conciliazione, stesura di una bozza di accordo, ecc.  Senza dubbio, l’obiettivo dell’avvocato nominato da Tizio sarà sempre e comunque quello di adoperarsi affinchè il proprio cliente consegua il miglior risultato possibile nella soluzione della controversia: quello che differenzia l’azione del legale nelle due ipotesi prospettate, in concreto, è la valutazione sulla qualità di “miglior risultato possibile”. 
Nell’ottica tipicamente antagonistica di un processo, infatti, la sentenza del giudice decreta un vincitore e un soccombente: in tale contesto, l’ipotesi di “miglior risultato possibile” per Tizio sarebbe sicuramente la pronuncia di una sentenza di condanna contro Caio, che magari costringesse Caio al versamento di un risarcimento monetario in favore di Tizio. Nell’ottica di una procedura di ADR quale la conciliazione, invece, le parti devono risolvere il proprio conflitto in modo da uscirne entrambe vincitrici: in una simile prospettiva, il “miglior risultato possibile” per Tizio potrebbe senz’altro l’immediata cessazione delle azioni di disturbo poste in essere da Caio e il ripristino di un rapporto di buon vicinato con lo stesso Caio. La differenza sta, sostanzialmente, nell’interesse di Tizio: gli preme di più ristabilire in tempi brevi la quiete domestica e recuperare così la propria qualità di vita, oppure gli fa più comodo ottenere una piccola somma in denaro contante in prospettiva futura? Se Tizio avrà interpellato un buon avvocato, questi si sarà sicuramente premurato di porgli questo fondamentale interrogativo prima ancora di iniziare a discutere sui “cavilli” normativi della fattispecie. L’approccio dell’avvocato di Tizio nei confronti della controparte varierà in funzione della risposta sul reale e concreto interesse prospettatogli dal suo cliente e, di conseguenza, sarà tipicamente “competitivo” nel caso in cui la scelta sia ricaduta sull’instaurazione del processo, oppure necessariamente “creativo” nell’ambito di una conciliazione. Tutti sanno facilmente immaginare un avvocato che svolge il proprio compito in una dimensione competitiva. Meno immediato è, invece, intuire cosa s’intende per approccio creativo all’interno di un conflitto. Proviamo dunque a spiegarlo facendo sempre riferimento al nostro esempio. Le sue competenze professionali aiutano l’avvocato di Tizio a formulare alcune idee che, suggerite a Tizio, potrebbero orientare l’esito della conciliazione; in questo consiste il suo apporto creativo: tanto più s’ingegnerà nell’ideazione di potenziali alternative di accordo, tanto maggiore sarà il numero di possibili opzioni su cui potrà venire a formarsi l’accordo risolutivo della lite fra Tizio e Caio. 
Nell’ottica competitiva del conflitto, l’avvocato di Tizio non potrà che chiedere per il suo cliente un risarcimento dei danni; nel caso di una conciliazione, invece, il legale potrà esulare dagli stretti argini della tutela giuridica predeterminati dalla legge e magari, sapendo che Tizio ha sempre desiderato entrare a fare parte del Circolo di Bridge in cui Caio gioca tutti i giovedì sera, potrà suggerire a Tizio di accordarsi con Caio chiedendogli semplicemente di scusarsi per le molestie arrecategli fino a quel momento e introdurlo nel suo Circolo di Bridge! Il nostro esempio è volutamente semplicistico, ma rende bene il concetto di valore dell’accordo conciliativo che ha la peculiarità di essere spesso privo di un controvalore economico.  Ebbene, è noto che la classica forma mentis degli avvocati è di per sé molto distante dall’approccio creativo alla risoluzione dei conflitti, per come la abbiamo sin qui descritta. Ancora una volta però entrano in gioco le attitudini personali e la specifica preparazione dell’avvocato. 
Ecco, dunque, che se Tizio, pur avendo tutto l’interesse a trovare una soluzione “rapida e soft” alla sua lite con Caio, si sarà rivolto all’avvocato più agguerrito della città in cui vive, molto probabilmente vincerà la sua causa in tribunale e dopo diversi anni di lotte giudiziarie porterà a casa qualche centinaio di euro di risarcimento… senza alcuna garanzia che Caio, nel frattempo, abbia cessato le proprie azioni di disturbo, ma anzi, col rischio che il rapporto di vicinato tra i due, esacerbato dalla controversia giudiziaria, sia ormai irreparabilmente deteriorato. Se Tizio invece si sarà rivolto all’avvocato noto per essere il più attento alle esigenze dei suoi clienti di tutto il paese, accogliendo il consiglio del suo legale avrà sicuramente fatto ricorso ad una conciliazione stragiudiziale: magari avrà chiarito con Caio, in un contesto informale, le ragioni per cui Caio gli fa “il dispetto” di accendere il suo grammofono a gran volume la domenica mattina e quindi gli avrà proposto di rinunciare alla controversia giudiziaria in cambio della promessa di cessare le turbative e di farlo entrare nel suo Circolo di Bridge, includendolo nella sua cerchia di amicizie. Per bizzarro che possa sembrare, la statistica e gli studi scientifici hanno dimostrato che dietro ad ogni conflitto giuridico spesso si nasconde una radice extra-giuridica. Spesso, quindi, le controversie si fondano su malintesi di fondo. La battaglia in tribunale di certo non aiuta a chiarire questi malintesi, ma la conciliazione, invece - se gestita da personale adeguatamente preparato - riesce a far ristabilire il dialogo tra le parti riportando la comunicazione su un piano più costruttivo e risolvendo il conflitto alla radice. Allora, viene da chiedersi, è meglio farsi affiancare da un avvocato oppure è meglio farne a meno? La risposta è di semplice comprensione.  E’ sempre meglio farsi assistere da un legale di fiducia, ma a condizione che si tratti di un legale esperto in procedure conciliative e dotato di una mentalità elastica, che gli consenta di uscire dalla canonica impostazione forense gestendo il conflitto in modo da orientarlo verso la reale, piena soddisfazione dell’interesse extra-giuridico del suo cliente.