Nell’ottica tipicamente antagonistica di un processo, infatti, la sentenza del giudice decreta un vincitore e un soccombente: in tale contesto, l’ipotesi di “miglior risultato possibile” per Tizio sarebbe sicuramente la pronuncia di una sentenza di condanna contro Caio, che magari costringesse Caio al versamento di un risarcimento monetario in favore di Tizio. Nell’ottica di una procedura di ADR quale la conciliazione, invece, le parti devono risolvere il proprio conflitto in modo da uscirne entrambe vincitrici: in una simile prospettiva, il “miglior risultato possibile” per Tizio potrebbe senz’altro l’immediata cessazione delle azioni di disturbo poste in essere da Caio e il ripristino di un rapporto di buon vicinato con lo stesso Caio. La differenza sta, sostanzialmente, nell’interesse di Tizio: gli preme di più ristabilire in tempi brevi la quiete domestica e recuperare così la propria qualità di vita, oppure gli fa più comodo ottenere una piccola somma in denaro contante in prospettiva futura? Se Tizio avrà interpellato un buon avvocato, questi si sarà sicuramente premurato di porgli questo fondamentale interrogativo prima ancora di iniziare a discutere sui “cavilli” normativi della fattispecie. L’approccio dell’avvocato di Tizio nei confronti della controparte varierà in funzione della risposta sul reale e concreto interesse prospettatogli dal suo cliente e, di conseguenza, sarà tipicamente “competitivo” nel caso in cui la scelta sia ricaduta sull’instaurazione del processo, oppure necessariamente “creativo” nell’ambito di una conciliazione. Tutti sanno facilmente immaginare un avvocato che svolge il proprio compito in una dimensione competitiva. Meno immediato è, invece, intuire cosa s’intende per approccio creativo all’interno di un conflitto. Proviamo dunque a spiegarlo facendo sempre riferimento al nostro esempio. Le sue competenze professionali aiutano l’avvocato di Tizio a formulare alcune idee che, suggerite a Tizio, potrebbero orientare l’esito della conciliazione; in questo consiste il suo apporto creativo: tanto più s’ingegnerà nell’ideazione di potenziali alternative di accordo, tanto maggiore sarà il numero di possibili opzioni su cui potrà venire a formarsi l’accordo risolutivo della lite fra Tizio e Caio.
Nell’ottica competitiva del conflitto, l’avvocato di Tizio non potrà che chiedere per il suo cliente un risarcimento dei danni; nel caso di una conciliazione, invece, il legale potrà esulare dagli stretti argini della tutela giuridica predeterminati dalla legge e magari, sapendo che Tizio ha sempre desiderato entrare a fare parte del Circolo di Bridge in cui Caio gioca tutti i giovedì sera, potrà suggerire a Tizio di accordarsi con Caio chiedendogli semplicemente di scusarsi per le molestie arrecategli fino a quel momento e introdurlo nel suo Circolo di Bridge! Il nostro esempio è volutamente semplicistico, ma rende bene il concetto di valore dell’accordo conciliativo che ha la peculiarità di essere spesso privo di un controvalore economico. Ebbene, è noto che la classica forma mentis degli avvocati è di per sé molto distante dall’approccio creativo alla risoluzione dei conflitti, per come la abbiamo sin qui descritta. Ancora una volta però entrano in gioco le attitudini personali e la specifica preparazione dell’avvocato.
Ecco, dunque, che se Tizio, pur avendo tutto l’interesse a trovare una soluzione “rapida e soft” alla sua lite con Caio, si sarà rivolto all’avvocato più agguerrito della città in cui vive, molto probabilmente vincerà la sua causa in tribunale e dopo diversi anni di lotte giudiziarie porterà a casa qualche centinaio di euro di risarcimento… senza alcuna garanzia che Caio, nel frattempo, abbia cessato le proprie azioni di disturbo, ma anzi, col rischio che il rapporto di vicinato tra i due, esacerbato dalla controversia giudiziaria, sia ormai irreparabilmente deteriorato. Se Tizio invece si sarà rivolto all’avvocato noto per essere il più attento alle esigenze dei suoi clienti di tutto il paese, accogliendo il consiglio del suo legale avrà sicuramente fatto ricorso ad una conciliazione stragiudiziale: magari avrà chiarito con Caio, in un contesto informale, le ragioni per cui Caio gli fa “il dispetto” di accendere il suo grammofono a gran volume la domenica mattina e quindi gli avrà proposto di rinunciare alla controversia giudiziaria in cambio della promessa di cessare le turbative e di farlo entrare nel suo Circolo di Bridge, includendolo nella sua cerchia di amicizie. Per bizzarro che possa sembrare, la statistica e gli studi scientifici hanno dimostrato che dietro ad ogni conflitto giuridico spesso si nasconde una radice extra-giuridica. Spesso, quindi, le controversie si fondano su malintesi di fondo. La battaglia in tribunale di certo non aiuta a chiarire questi malintesi, ma la conciliazione, invece - se gestita da personale adeguatamente preparato - riesce a far ristabilire il dialogo tra le parti riportando la comunicazione su un piano più costruttivo e risolvendo il conflitto alla radice. Allora, viene da chiedersi, è meglio farsi affiancare da un avvocato oppure è meglio farne a meno? La risposta è di semplice comprensione. E’ sempre meglio farsi assistere da un legale di fiducia, ma a condizione che si tratti di un legale esperto in procedure conciliative e dotato di una mentalità elastica, che gli consenta di uscire dalla canonica impostazione forense gestendo il conflitto in modo da orientarlo verso la reale, piena soddisfazione dell’interesse extra-giuridico del suo cliente.