Si conclude definitivamente la (vera) avventura giudiziaria del Gabibbo, il famoso pupazzo rosso di “Striscia la notizia”, ritenuto il risultato di un plagio della mascotte sportiva americana denominata Big Red.
La causa era stata avviata dalla società statunitense - titolare dello sfruttamento dei diritti sugli emblemi e segni distintivi di cinquantaquattro università nord-americane - tra cui il pupazzo Big Red (un umanoide rivestito di una pelliccetta di color rosso uniforme con una grande testa su due grandi occhi con pupilla nera, marcate sopracciglia nere ed una larghissima bocca).
Il giudizio venne intentato nei confronti di RTI Reti Televisive Italiane s.p.a. (esercente l'emittente Canale 5), di Mediaset s.p.a., Fininvest s.p.a., Copy s.p.a., Giochi Preziosi s.p.a. e una titolare di una cartoleria dinanzi al piccolo Tribunale di Lugo, sezione distaccata del Tribunale di Ravenna.
La società americana chiedeva di accertare che il pupazzo Gabibbo costituiva plagio e/o della contraffazione del pupazzo Big Red e, di conseguenza, che fosse inibita ai convenuti la prosecuzione del suo utilizzo ed ordinata la distruzione di tutti i prodotti e del materiale promo-pubblicitario contenente l'immagine del pupazzo oggetto di causa, con condanna delle convenute al risarcimento dei danni per la prosecuzione del lamentato illecito, e alla pubblicazione del dispositivo su quattro quotidiani.
Tutti i convenuti si sono difesi contestando le domande e chiedendone il rigetto; una di loro, la Copy S.p.A., domandava in via riconvenzionale che fosse inibito alla società americana l'uso dell'immagine modificata del Big Red, in quanto plagio e imitazione servile del Gabibbo.
Il Tribunale di Lugo, con sentenza del dicembre 2007, respingeva tutte le domande e provvedeva sulle spese di giudizio; la sentenza veniva confermata nel 2011 dalla Corte d’Appello di Bologna - alla quale avevano fatto ricorso le società americane – e ulteriormente confermata dalla Corte di Cassazione.
Le società statunitensi lamentavano che il Tribunale e la Corte d’Appello avevano errato nel ritenere insussistente la contraffazione lamentata, ritenendo che Big Red non contenesse livelli di creatività che ne consentano la protezione come diritto d'autore; e la conclusione secondo cui si dovesse escludere la contraffazione del pupazzo Big Red da parte del Gabibbo poiché tra gli stessi sussistono differenze estetiche che portano ad escludere l’illecito lamentato.
Le società americane contestavano anche la conclusione della Corte d'Appello secondo cui la diversità tra i due personaggi deriverebbe anche dalla loro diversa “personalità”: Big Red è un tifoso di una squadra di pallacanestro ed il Gabibbo un giornalista; e lamentavano la mancata considerazione, in corso di giudizio, della “confessione di plagio” contenuta in un’intervista rilasciata da Antonio Ricci ad un settimanale italiano.
La Cassazione ha confermato che il pupazzo Big Red non può essere considerato come “opera creativa” poiché non dissimile da altri pupazzi comunemente conosciuti (Barbapapà, Elmo dei Muppets e Gossamer), “tutti caratterizzati dall'essere goffi umanoidi costituiti da una massa amorfa di colore rosso ,con grande testa e occhi e bocca larga".
Anche secondo la Suprema Corte, quindi, “Big Red appare dunque un'espressione scontata e banale, per la semplicità delle linee e delle soluzioni grafiche, di idee formali realizzate: le diversità riscontrabili tra Big Red e le precedenti realizzazioni in precedenza citate (presenza di marcate sopracciglia al posto di semplici ciglia e di scarpe da ginnastica quanto al confronto con il primo di detti personaggi, l'assenza di naso e la
presenza di sopracciglia quanto al secondo, diversa conformazione
della testa quanto al terzo) non sono tali da raggiungere la soglia
della creatività minima richiesta per la tutela."
Quindi, pur riconoscendo la similitudine tra i pupazzi, si è escluso il plagio perché il personaggio Big Red non era suscettibile di protezione sotto il profilo del diritto d'autore non raggiungendo quel livello minimo di creatività prevista dalle norme.
Ma, in ogni caso, anche se Big Red fosse stato suscettibile di protezione - ai sensi del diritto d'autore - per i suoi aspetti formali, secondo i giudici non si sarebbe stato ravvisabile il plagio nel pupazzo Gabibbo, stante gli elementi di diversificazione in esso presenti:
Il pupazzo del Gabibbo è invero anch'esso costituito da un umanoide di colore rosso, dalla grande testa, occhi bianchi con pupille nere, bocca larga. Il pupazzo presenta notevoli analogie formali con i personaggi in precedenza citati, ma si distingue dal Big Red (a prescindere dalla scritta WKU che in alcune raffigurazioni compare sul petto del Big Red ed ovviamente non è presente su Gabibbo e dalla presenza su quest'ultimo di papillon, pettorina e polsini: si tratta infatti di elementi di dettaglio che non incidono sulla valutazione degli aspetti formali complessivi dei pupazzi e che, per quanto riguarda il Gabibbo, sono stati aggiunti in un secondo tempo) per diversi elementi, la maggior parte dei quali già evidenziati dal giudice a quo. Più precisamente: gli occhi del Big Red sono bianchi con pupille nere, mentre il Gabibbo ha anche folte sopracciglia; il Gabibbo ha il naso, che invece non è presente nel Big Red; la bocca del Big Red ha un andamento trasversale, mentre quella del Gabibbo è rettilinea; le gambe del Big Red sono decisamente più corte di quelle del Gabibbo; il Big Red indossa scarpe bianche da ginnastica, mentre Gabibbo non ha scarpe; il corpo del Big Red è più a forma di sacco e meno definito rispetto a quello del Gabibbo”.
In sostanza, anche se è vero che la valutazione in ordine alla confondibilità va effettuata sulla base dell'impressione d'insieme suscitata nel comune osservatore, è altrettanto vero che le differenze formali, valutate nel loro insieme (con particolare riferimento alla forma complessiva del corpo del pupazzo), sono sufficientemente rilevanti per escludere il plagio.
Insomma, la Cassazione ancora una volta, pur riconoscendo la sussistenza di elementi di somiglianza tra le due opere, ha escluso la sussistenza del plagio perché mancava nell’opera pretesamente plagiata il necessario carattere di originalità che ne consente la tutela.
Ancora una volta la giurisprudenza frena sul facile riconoscimento del plagio a qualsivoglia ipotesi di somiglianza tra le opere; un richiamo forte e necessario - ad avviso di chi scrive - del principio cardine e presupposto imprescindibile della tutela del diritto d’autore: la vera originalità dell’opera.
Italo Mastrolia