Rito Fornero: giudice che ha deciso fase sommaria non deve astenersi
Tribunale Milano, sez. I civile, ordinanza 11.10.2013
Avv. Angelo Forte
di Modugno, BA
Letto 772 volte dal 27/12/2013
Pertanto è da escludersi la natura impugnatoria del giudizio di opposizione, tale da individuare la cognizione da parte di un giudice necessariamente diverso. Il rapporto tra le due fasi è quella tipica e ricorrente di un momento a cognizione meramente sommaria – introdotta dal legislatore per scopo acceleratorio – con una fase successiva e eventuale a cognizione piena, secondo le caratteristiche, con riguardo ai diversi profili soggettivi, oggettivi e procedimentali, sovra evidenziate.
Tribunale di Milano
Sezione I Civile
Ordinanza 11 ottobre 2013
ORDINANZA
1. Parte ricorrente deduce ragione di ricusazione nei confronti del giudice .. quale assegnataria dell’opposizione ex art. 1 comma 51 L.n. 92/2012, proposta nei confronti dell’ordinanza emessa il 15/6/2013 con cui era rigettato il ricorso nei confronti di … srl, attinente al riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con le pronunzie derivate. I ricorrenti-ricusanti, sul rilievo che il medesimo giudice ha già trattato del tema controverso quale giudice designato per la decisione del ricorso ex art. 1 comma 48 L.cit., propongono ricusazione richiamando il precetto di cui all’art. 51 comma 5 c.p.c. ( rectius 51 comma 1 n. 4 c.p.c.).
2. Il ricorso ripropone la tematica circa il dovere di astensione del giudice assegnatario dell’opposizione ex art. 1 comma 51 L.n. 92/2012 nell’ipotesi in cui abbia già trattato del tema controverso quale giudice designato per la decisione del ricorso ex art. 1 comma 48 L. cit.
Sulla questione il Tribunale di Milano si è già pronunciato con quindici ordinanze reiettive della questione ( v. , tra le altre, Sez 1° civ. 4 aprile 2013, IX sezione civile 19 giugno 2013, Sezione specializzata per l’impresa A 11 luglio 2013, conformi all’indirizzo espresso da altri Tribunali e risultante dalla giurisprudenza edita, v. Tribunale di Palermo, ord. 28 gennaio 2013, Tribunale di Bergamo, ord. 25 marzo 2013, Tribunale di Piacenza ord. 12 novembre2012, in Il lavoro nella Giurisprudenza n. 2/2013, 158).
Ritiene il Collegio che non siano proposte argomentazioni che inducano a discostarsi da quanto già ritenuto nella citata giurisprudenza, in merito all’infondatezza del ricorso , giacchè non è riscontrabile l’evocata ipotesi di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c., che prevede l’obbligo di astensione del giudice solo nel caso in cui abbia conosciuto della controversia “in altro grado del processo o come arbitro”.: condizione non ravvisabile là dove, come nella specie, l’istituto processuale è articolato su di una prima fase sommaria, cui segue una eventuale seconda articolazione oppositiva, secondo uno schema tipico dei procedimenti di opposizione a cognizione ordinaria.
A tale riguardo deve richiamarsi, in primo luogo, quanto rilevato sulla problematica dalla giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di evidenziare che l'emissione di provvedimenti di urgenza o a cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che è chiamato a decidere il merito della stessa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l'esito, nè determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione ( Cass. n. 422/2006). Principi interpretativi conformi all’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale cui fu rimessa la questione della conformità dell’art. 51 n. 4 c.p.c. al dettato costituzionale ( v. sentenza n. 326/1997). Orientamento che ha trovato ulteriore riscontro, di particolare rilievo, nel caso, anche avuto riguardo specifico alle ipotesi di opposizioni proposte avanti il giudice dell’esecuzione avverso atti esecutivi dallo stesso anteriormente adottati (v. Cass. n. 5510 /2003).
Tali temi sono stati anche più recentemente riconsiderati dalla Suprema Corte, la quale ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 51 n. 4 c.p.c., richiamando i principi sovra esposti, in ipotesi in cui il medesimo giudice, assegnatario del giudizio e chiamato alla decisione conclusiva in sede ordinaria, abbia già conosciuto del contenzioso, nel medesimo grado, adottando provvedimenti a cognizione sommaria o cautelare (v. SS.UU. Cass. n. 1783/2011, Cass. n. 18047/2008).
Quadro giurisprudenziale di riferimento che trova indiretto conforto, come evidenziato nelle citate ordinanze del tribunale di Milano 19 giugno 2013 e 11 luglio 2013, là dove si evidenzia che consapevolmente il legislatore quando ha voluto introdurre, nell’ambito del medesimo grado di giudizio, un’ipotesi di incompatibilità lo ha espressamente previsto (v. art. 186 bis disp. att. cpc., introdotto dalla L.n. 69/2009), trovando, in difetto, applicazione il principio della persistenza del medesimo giudice durante il procedimento di primo grado, ancorchè articolato in possibili momenti processuali, scanditi dall’adozione di provvedimenti di natura decisoria.
3. Ed invero, la proposta ricusazione muove da una ricostruzione del sistema processuale civile che, implicitamente, sembra mutuare principi ad esso non riconducibili e elaborati nell’ambito degli istituti propri del processo penale, in rapporto alle regole pretesamente desumibili dagli artt. 24 e 111 Cost..
Infatti, nell’ordinamento processuale penalistico - tendenzialmente secondo l’attuale sistema - il giudice che decide deve arrivare al dibattimento senza conoscere il materiale istruttorio e la vicenda che ha coinvolto i soggetti che giudicherà, deve essere stato estraneo agli atti antecedenti del procedimento: meccanismo che esclude di per sé che il giudice possa avere una qualche pre-cognizione , anche nel medesimo grado di giudizio, del thema decidendum.
L’impostazione di un tale sistema processuale muove da scelte che appaiono incompatibili con il processo civile, nella forma moderna conosciuta da tutti i sistemi al nostro assimilabili. Infatti, nella procedura civile la costante cognizione – nel medesimo grado di giudizio – da parte dello stesso giudice dei vari profili in cui può atteggiarsi la vicenda processuale, anche se comportano, in corso di causa, l’adozione di provvedimenti cautelari, sommari o anticipatori , è addirittura un valore perseguito ( cfr. art. 174 c.p.c.) . Valore che rappresenta, anche sotto il profilo funzionale, la condizione affinchè possa operativamente esistere una giurisdizione civile rispondente proprio ai precetti costituzionali di cui agli artt. 97 e 111 Cost., avuto riguardo alla necessità di una ragionevole durata del processo.
Inoltre, un processo in cui il giudice che ha emesso un provvedimento non meramente ordinatorio o a cognizione sommaria, diventa automaticamente “parziale” e deve quindi astenersi dalla trattazione della causa, con la conseguente sua sostituzione con altro giudice, sarebbe pressoche impossibile. Infatti una tale opzione comporterebbe - in considerazione della serie di provvedimenti di natura decisoria e anticipatoria che è chiamato ad adottare il giudice del lavoro e, più in generale, il giudice civile ( dalla concessione della provvisoria esecuzione, all’adozione di provvedimenti di urgenza e cautelari ante causam o in corso di causa, alla definizione della rilevanza e ammissibilità dei mezzi istruttori, all’emissione dei provvedimenti ex artt. 186 bis e segg. ecc.) - un processo che va da giudice a giudice per l’adozione di qualsiasi provvedimento non ordinatario, una impossibilità gestionale dei ruoli e dell’Ufficio, sino al concreto pericolo dell’impossibilità dell’ effettivo esercizio della giurisdizione.
4. Né tale conclusione può essere disattesa sul rilievo di una specificità del giudizio giuslavoristico, attraverso una estensione dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 387/1999 in tema di applicazione dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori. Infatti in quel caso la Corte ha esaminato un’ ipotesi articolata su un reclamo che si atteggia come vera e propria impugnazione “con contenuto sostanziale di revisio prioris Instantiae”, ponendosi, quindi, nel concreto l’esigenza – espressamente evidenziata dalla Corte - di garantire l’alterità del giudice dell’impugnazione, essendo allo stesso demandato, con piena e identica cognizione , la valutazione del provvedimento reclamato (orientamento espresso dalla Corte Costituzionale anche in sentenza n. 460/2005, sempre in tema di fase processuale avente un contenuto tipicamente impugnatorio, quale il reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento).
Ipotesi , all’evidenza, affatto diversa rispetto a quella introdotta dall’art. 1 commi 48 e segg. L.cit..
Infatti è prevista una fase sostanzialmente a cognizione sommaria, anche sotto il profilo istruttorio ( il giudice “procede….agli atti di istruzione indispensabili…”), cui segue un’ eventuale fase oppositiva che non si struttura quale impugnazione dell’ordinanza emessa ex art. 1 comma 49, ma determina l’instaurazione di un giudizio ordinario di cognizione in materia di lavoro.
La disposizione è inequivoca in tal senso “…può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c.” (comma 51) introducendosi, quindi, una cognizione più ampia e piena, che può abbracciare domande nuove , sia pur fondate sui medesimi fatti costitutivi, ovvero domande nei confronti di eventuali litisconsorti o garanti ovvero la proposizione di domande riconvenzionali, con istruttoria piena non vincolata alle mere acquisizioni “indispensabili” acquisite in via d’urgenza e sommaria.
Pertanto è da escludersi la natura impugnatoria del giudizio di opposizione, tale da individuare la cognizione da parte di un giudice necessariamente diverso. Il rapporto tra le due fasi è quella tipica e ricorrente di un momento a cognizione meramente sommaria – introdotta dal legislatore per scopo acceleratorio – con una fase successiva e eventuale a cognizione piena, secondo le caratteristiche, con riguardo ai diversi profili soggettivi, oggettivi e procedimentali, sovra evidenziate.
Efficacemente nell’ordinanza 19 giugno 2013 il Tribunale di Milano sez. IX ha evidenziato che la morfologia strutturale dell’istituto in questione corrisponde integralmente al codice genetico tipico dei procedimenti bifasici in cui l’unico processo di merito è scandito in due fasi: una preliminare e sommaria e una eventuale (se c’è opposizione) di cognizione ulteriore e piena, adottandosi, quindi una forma processuale tipica delle opposizioni o corrispondente ai modelli procedimentali che prevedono provvedimenti interinali a contenuto decisorio ma cedevoli nell’eventuale successivo fase di giudizio ..
5. I ricorrenti, in vero, non criticano specificatamente tale indirizzo giurisprudenziale, ma richiamano la rilevanza che deve attribuirsi a pretesi nuovi indirizzi espressi da giudici degli uffici giudiziari di Milano, richiamando la notazione incidentale contenuta nella sentenza della Corte d’appello di Milano n. 643/2013 e, inoltre , deve presumersi, l’unica diversa pronuncia adottata dal Tribunale di Milano (Ordinanza 11 luglio 2013 Pres est. Riva Crugnola).
Ritiene il collegio di non dover mutare il suo indirizzo, giacchè la diversa conclusione ipotizzata si basa esclusivamente su di una pretesa interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 51 n.4 c.p.c., in correlazione con la disposizione della legge n. 92/2012 , che non sembra trovare condivisibili presupposti di operatività.
Infatti, il diverso orientamento sembra esaurirsi nel richiamare quanto indicato nella citata sentenza della Corte Costituzionale n.387/1999 riguardante un istituto affatto diverso rispetto a quello qui in esame, configurato in relazione a un tipo di risoluzione di contrasto specifico tra sindacato e datore di lavoro, per l’esercizio e la tutela di diritti collettivi. Procedimento, per altro, scandito con forme, tipologie di provvedimenti, termini, individuazione degli interessi in contrasto affatto diversi rispetto a quanto prefigurato nell’art. 1 della legge n. 92/2012, che persegue lo scopo di organizzare un meccanismo acceleratorio della risoluzione della controversia individuale in tema di rapporto di lavoro, con l’utilizzo di una procedura bifasica, che come si è detto, non rappresenta certo una novità nell’ambito della procedura civile, anche avuto riguardo alla possibile “definitività” del provvedimento interinale ( si pensi, ad esempio, al decreto ingiuntivo non opposto, che ha valore di giudicato, ovvero all’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c ).
E, sembra a questo Collegio, il diverso minoritario indirizzo rileva in maniera meramente assertiva l’identità del contenuto decisorio delle due fasi articolate nella diposizione, per affermare la natura di impugnazione che assume il ricorso ex art. 414 c.p.c. di cui all’art. 1 , comma 51 legge cit., che può seguire all’ordinanza interinale. Ma, invero, ciò si risolve in una affermazione che sembra non dare affatto conto, invece, della diversità delle due fasi così come evidenziata sub 4.
Non mette qui conto affrontare il tema generale del perimetro di ammissibilità della c.d. interpretazione costituzionalmente orientata in un sistema costituzionale che attribuisce in via esclusiva alla Corte Costituzionale il potere di pronunce modificative dell’assetto legislativo e alla Corte di cassazione la funzione nomofilattica, ma ritiene il Collegio che non sia agibile, in via interpretativa da parte del Giudice di merito:
a) estendere i rilievi interpretativi espressi in una sentenza della Corte Costituzionale in relazione ad una specifica fattispecie normativa a ipotesi introdotte dal legislatore successivamente e concernenti interessi, esigenze, discipline diverse, limitandosi ad affermare un’asserita coincidenza della ratio degli istituti;
b) formulare un giudizio di unicità di interpretazione conforme a Costituzione di una disposizione, a fronte di una vasta giurisprudenza di segno opposto, che anzi evidenzia il rilievo che deve essere accordato ai principi di cui all’art.97 Cost e ricavabili dall’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo, palesemente lesi là dove in un settore in cui vi è un’accentuata esigenza acceleratoria ( riaffermata e perseguita dal legislatore), in via interpretativa, si determini l’effetto di un processo in sostanziali tre gradi di merito: provvedimento sommario interinale, giudizio impugnatorio contro di esso avanti ad altro giudice; giudizio di appello contro la decisione di quest’ultimo.
All’evidenza, ad avviso di questo collegio, un tale esito può transitare solo attraverso un intervento normativo o una pronuncia a seguito di remissione delle questioni, se ritenute sussistenti, alla Corte costituzionale.
Conclusivamente, quindi, va affermata la non ricorrenza dell’ ipotesi di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c..
Trova applicazione l’art. 54 comma 3° c.p.c..
P.Q.M.
Respinge il ricorso per ricusazione.
Si comunichi alla parte ricusante e al giudice …
Condanna i ricusanti al pagamento della sanzione pecuniaria di € 250,00.
Milano, 11 ottobre 2013
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