Cambia linea difensiva senza informare i clienti? Avvocato responsabile
Tribunale Verona, sez. III civile, sentenza 04.07.2014
Avv. Arianna Biviglia
di Tarquinia, VT
Letto 288 volte dal 05/08/2014
Se l’avvocato modifica l’originaria domanda giudiziale senza aver previamente informato i propri clienti, sarà responsabile di violazione degli obblighi informativi. Così si è pronunciato il Tribunale di Verona, Sezione III Civile, nella sentenza 4 luglio 2014. Nella vicenda in oggetto, gli attori, revocato il mandato all’originario difensore, lo avevano poi conferito ai due avvocati odierni con
Tribunale di Verona
Sezione III Civile
Sentenza 4 luglio 2014REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Verona
Sezione III Civile
Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccariha pronunciato la seguente
SENTENZAnella causa civile di I Grado iscritta al N. 1437/2012 R.G. promossa da:
P. A. (C.F. OMISSIS), A. R. (c.f. OMISSIS) rappresentati e difesi dall’avv. ALIFUOCO GIANLUCA ed elettivamente domiciliati presso lo studio di questi sito in Vicenza, via Btg. Framarin 46;
ATTORI
contro
R. V. E., (OMISSIS) in proprio elettivamente domiciliato presso il proprio studio sito in ;
CONVENUTO
V. M. (c.f. OMISSIS) in proprio
CONVENUTO
e con la chiamata in causa di GENERALI ITALIA S.P.A. (già INA ASSITALIA SPA) (p.I.V.A. 00885351007) in persona del procuratore generale alle liti avv. PASETTO EMANUELA (c.f.
PSTMNL57R66L781H), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima sito in Verona
TERZA CHIAMATA
ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A. (00079760328) in persona del procuratore generale alle liti avv. PASETTO EMANUELA (c.f. PSTMNL57R66L781H),
elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima sito in Verona via Santa Felicita
TERZA CHIAMATA
Dichiarati estinti i rapporti processuali tra gli attori e il convenuto V. e tra questi e la terza chiamata Assicurazioni Generali all’udienza del 6 giugno 2013
CONCLUSIONI
PARTE ATTRICE
Come da atto di citazione nei confronti del solo avv. R.
PARTE CONVENUTA
Nel merito:.come da comparsa di costituzione e risposta.
In rito: insiste per la trasmissione del fascicolo alla locale Procura della Repubblica.
PARTE TERZA CHIAMATA GENERALI ITALIA S.P.A
Come da verbale di udienza del 6 febbraio 2014
MOTIVI DELLA DECISIONE
P. A. e A. R. hanno convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale gli avv.ti V. E. R. e M. V. per sentirli condannare al pagamento in proprio favore della somma di euro 41.226,36 a titolo di risarcimento danni che gli attori hanno assunto di aver subito a seguito dell’inadempimento da parte dei due legali al contratto di prestazione d’opera intellettuale che era intercorso con loro nelle circostanze di seguito meglio descritte.
Per meglio dar conto delle ragioni della loro domanda gli attori hanno dedotto che:
- in data 15 novembre 2004, tramite altro difensore, avevano promosso davanti alla Sezione distaccata di Soave del Tribunale di Verona un giudizio nei confronti del Consorzio le Valli (d’ora innanzi per brevità solo il Consorzio) e di Alcatel s.p.A per ottenere la condanna di tali società al pagamento in proprio favore del corrispettivo per l’indebito utilizzo di un fondo, di loro proprietà, sito nel comune di San Bonifacio;
- a sostegno delle suddette domande gli attori avevano esposto che il 9 marzo 2001 avevano stipulato con il predetto Consorzio un contratto preliminare di cessione del predetto fondo al quale non era seguito la stipula del definitivo;
- poiché nelle more il Consorzio aveva concesso in locazione alla Alcatel il fondo per consentire a tale società di installarvi una antenna, avevano chiesto la condanna del primo a pagare i canoni ricevuti dalla conduttrice nel periodo tra il marzo 2001 e l’aprile 2002;
- gli attori avevano anche chiesto la condanna di Alcatel al pagamento dei predetti canoni, oltre che di quelli tra il maggio e il dicembre 2002, che la stessa non aveva versato al Consorzio;
- in via subordinata avevano chiesto la condanna dei convenuti a pagare i canoni da marzo 2001 ad aprile 2002 a titolo di arricchimento senza causa il Consorzio e di pagamento del canone la Alcatel;
- nel corso del giudizio gli attori avevano revocato il mancato all’originario difensore e lo avevano conferito all’avv. R. e all’allora procuratore V. i quali, con memoria ai sensi dell’art. 183 comma 5 c.p.c., avevano mutato le conclusioni precedentemente rassegnate;
- in particolare la nuova difesa aveva stravolto l’impostazione originaria e reinterpretato il contenuto del contratto preliminare del 9 marzo 2001, sostenendo che il Consorzio era divenuto proprietario del terreno in forza di esso e aveva omesso di corrispondere agli attori il prezzo di vendita;
- in tal modo la domanda originaria, avente ad oggetto l’accertamento dell’indebito arricchimento del Consorzio, era stata sostituita in quella avente ad oggetto l’esatto adempimento dell’obbligazione assunta dallo stesso con il suddetto contratto;
- il Giudice, trattenuta la causa in decisione, avendo rilevato che la domanda come precisata con la memoria suddetta era del tutto nuova, l’aveva dichiarata inammissibile, in accoglimento della corrispondente eccezione delle altre parti del giudizio.
Gli attori hanno anche lamentato di non essere stati informati della intenzione dei loro difensori di mutare linea difensiva né tantomeno dei possibili effetti negativi che tale scelta avrebbe potuto comportare perché se ne fossero stati edotti non avrebbero dato il loro assenso ad essa.
A detta degli attori poi il comportamento dei convenuti aveva loro precluso la possibilità di riproporre la domanda poiché qualora lo avessero fatto le loro controparti avrebbero riproposto gli originari argomenti e avrebbero evidenziato la contraddittorietà degli assunti delle loro difese quale era emersa nel corso del primo grado di giudizio.
Infine gli attori hanno spiegato che della somma oggetto della domanda di condanna euro 12.633,92 era quella che avevano corrisposto a titolo di spese legali alle loro controparti nel succitato giudizio, euro 18.592,44 era quella che avevano richiesto nel corso di esso a titolo di canoni Iva compresa ed euro 10.000,00 era il ristoro del danno patito per la compromissione della loro possibilità di vincere il secondo grado di giudizio.
Entrambi i convenuti si sono costituiti in giudizio resistendo alla domanda avversaria e assumendone la infondatezza e in via preliminare hanno chiesto l’autorizzazione a convenire in giudizio le rispettive compagnie assicuratrici della responsabilità professionale (rispettivamente la Assicurazioni Generali Spa l’avv.
R. e la Ina Assitalia l’avv. V.) per essere da loro manlevate in caso di accoglimento della domanda attorea.
Le predette compagnie si sono costituite in giudizio associandosi alle difese e alle domande dei convenuti nei confronti degli attori e chiedendo, con riguardo alla domanda di garanzia avanzata dai convenuti, che fosse accertato che essa era obbligata nei limiti tutti della polizza.
Successivamente gli attori hanno rinunciato alla domanda nei confronti del V., che ha accettato tale rinuncia e a sua volta ha rinunciato alla domanda nei confronti di Ina Assitalia. e il giudice ha dichiarato estinti i rapporti processuali tra tali parti.
La causa è stata istruita mediante l’escussione dei testi indicati dalle parti sui capitoli di prova ammessi.
Ciò detto con riguardo alle prospettazioni delle parti e all’iter del giudizio, la domanda è fondata ne limiti che seguono e pertanto merita di essere accolta per quanto di ragione.
Occorre innanzitutto chiarire che oggetto della doglianza degli attori è solo la condotta processuale che fu tenuta, nell’ambito del predetto giudizio, nei confronti del Consorzio e non anche quella tenuta nei confronti dell’altra convenuta, ossia Alcatel, sebbene anche la domanda nei confronti di questa parte fosse stata rigettata dal giudice, con contestuale condanna degli attori alla rifusione delle spese del giudizio in favore di tale soggetto.
Pertanto occorre innanzitutto stabilire se quella scelta fu corretta o meno.
A giustificazione del proprio comportamento il convenuto in comparsa di costituzione e risposta ha sostenuto che:
- la causa era stata impostata in modo errato, atteso che il contratto che gli attori avevano concluso con il Consorzio non aveva avuto natura di preliminare, come aveva sostenuto il primo difensore, ma di contratto definitivo sottoposto a condizione sospensiva;
- gli attori, quando erano stati interpellati dal convenuto sul punto, non avevano fornito elementi a supporto della tesi predetta, con la conseguenza che l’unica alternativa che era rimasta al nuovo difensore era stata quella di precisare la domanda nei limiti consentiti dal disposto dell’art. 183, 5° comma,c.p.c., e di siffatta conclusione gli attori erano stati ampiamente informati e vi avevano anche aderito.
E’ evidente che tale prospettazione postula che le conclusioni rassegnate nella memoria ai sensi dell’art. 183, 5° comma,c.p.c. fos se ammissibile in quanto integrante quella che, con termine latino, viene definita una emendatio libelli.
Orbene il giudice della sezione distaccata di soave ritenne invece che gli attori, tramite l’avv. R., avessero modificato la domanda poiché a fondamento di essa avevano dedotto non solo un fatto storico ma anche una causa petendi diversi da quelli che era stati addotti a sostegno della domanda originaria.
Tale conclusione è stata chiaramente espressa nel passo (pag.6) della sentenza (doc. 7 del convenuto V.) che qui si riporta:
“Premesso che le domande degli attori concernono diritti eterodeterminati, occorre rilevare che in atto di citazione che in atto di citazione ponevano a fondamento della domanda di condanna del Consorzio e di Alcatel Spa sia di quella principale che di quella subordinata la loro titolarità del fondo.
Nella memoria ex art. 183 quinto comma c.p.c. gli attori avevano allegato, quale fonte del proprio diritto di credito, il comportamento inadempiente del consorzio il quale aveva goduto del loro fondo senza pagare il corrispettivo della cessione del terreno e comportandosi in mala fede. Riconoscendo il consorzio, quale proprietario del fondo in quel periodo parte attrice ha in definitiva posto a fondamento della propria domanda, qualificata in quella memoria come di indebito arricchimento, l’inadempimento del consorzio al contratto di compravendita”.
Il convenuto si è limitato ad asserire che questa parte della decisione era errata, con la conseguenza che, con elevata probabilità, avrebbe potuto essere riformata in sede di gravame,senza minimamente motivare tale affermazione.
Egli infatti si è limitato a richiamare le argomentazioni che aveva svolto nel giudizio a quo a sostegno della tesi che le domande svolte nella memoria ai sensi dell’art. 183, comma 5, c.p.c. (norma applicabile rationetemporis) integravano una precisazione e non già una modificazione delle domande originarie, senza spiegare quale fosse stato l’errore logico o giuridico che aveva commesso il giudice a quo.
L’avv. R., a propria discolpa, ha anche ribadito di essersi limitato a fornire una diversa qualificazione giuridica dei fatti di causa, in tal modo alludendo al fatto che aveva espressamente definito la (nuova) domanda nei confronti del Consorzio come di arricchimento senza causa ma un simile escamotage, di ordine meramente formale, non poteva valere a definire la reale natura della scelta processuale compiuta.
Nemmeno può condividersi l’affermazione del convenuto, evidentemente funzionale alla prospettiva di veder applicato il criterio di cui all’art.2236 c.c.,secondo cui è arduo stabilire quando si versi in una ipotesi di mutatio e quando in una di emendatio libelli.
In realtà è assolutamente consolidato l’orientamento della Suprema Corte secondo cui “Si ha mutatio libelli quando si propone una domanda obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su differenti situazioni giuridiche; si ha invece una semplice emendatio, quando si incida sulla causa petendi, risultando modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto soddisfacimento della pretesa fatta valere.” (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 marzo – 7 giugno 2012, n. 9236).
Alla luce di tali criteri avrebbe dovuto essere chiaro per il convenuto che, mutando nei termini predetti la domanda nei confronti del Consorzio,avrebbe posto a fondamento di essa un titolo giuridico diverso da quello originario.
A conforto della correttezza della valutazione espressa dal giudice a quo va anche evidenziato un particolare da quello non rilevato, ossia che, con la memoria ai sensi dell’art. 183, comma 5,c.p.c., l’avv. R. convenuto modificò anche il petitum giacchè avanzò anche la domanda, che prima di allora non aveva svolto, di accertamento della intervenuta risoluzione del contratto preliminare.
Si noti poi che la preventiva considerazione dei predetti aspetti era pienamente esigibile dal convenuto, in quanto rientrante nella diligenza media del professionista legale.
Deve poi convenirsi con gli attori che tale negligenza precluse loro la possibilità di impugnare la decisione del giudice di Soave, avendo determinato una grave contraddizione nella loro linea difensiva.
Sul punto giova evidenziare come il convenuto non abbia spiegato su quali basi avesse potuto formulare una prognosi di accoglimento dell’eventuale appello e, tantomeno, di come avesse pensato di superare lo scontato rilievo delle controparti circa la palese incongruenza della prospettazione degli attori.
Tali considerazioni consentono anche di disattendere decisamente l’assunto dell’avv. R. secondo cui la scelta processuale da lui compiuta era obbligata, poiché presuppone che tale opzione avesse avuto delle possibilità di successo, che, come detto, non risultano essere mai state valutate.
In ogni caso poi non può sottacersi che, mantenendo la impostazione originaria, gli attori avrebbero potuto aspirare perlomeno al conseguimento della somma richiesta a titolo di indennizzo per illecita occupazione del fondo per il periodo dal marzo 2001 all’aprile 2002, poiché tra le domande originarie vi era anche quella di condanna al pagamento di quell’importo. Lo stesso avv. M. V., allorchè è stato sentito come teste, ha dichiarato che una delle soluzioni che erano state prese in considerazione, al momento di in cui lui e il R. erano stati officiati della difesa dagli attori,era stata proprio quella di ridurre la domanda a solo alcuni dei canori richiesti ed allora il convenuto, per vedere accolto il suo rilievo, avrebbe dovuto allegare e dimostrare che questa possibilità era stata rifiutata dagli attori.
A prescindere dalle considerazioni sin qui svolte poi, il convenuto è risultato anche reiteratamente inadempiente all’obbligo contrattuale di informare i propri assistiti del significato e delle conseguenze delle scelte compiute, come dai medesimi dedotto.
Sul punto è opportuno chiarire, sotto il profilo teorico, che l’esigenza dell’attività informativa del professionista nella fase pre - contrattuale è funzionale al conseguimento di un consenso informato da parte del cliente e trova il suo fondamento nei principii di cui all’art. 1175 c.c. nonché, per i rapporti sorti dopo il 2 febbraio 2013, anche nell’art. 13, comma 5, L.247/2012, che prevede tra gli obblighi informativi che il professionista forense deve osservare, prima del formale conferimento dell’incarico, anche quello di comunicare al cliente il grado di complessità dell’incarico e di fornirgli tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili da quel momento fino a quello dell’esaurimento della propria attività.
Una volta che il contratto di prestazione d’opera professionale sia stato concluso, l’obbligo informativo permane per tutto il corso del rapporto perché costituisce l’oggetto primario della prestazione professionale.
A ben vedere queste conclusioni rappresentano l’approdo di un percorso giurisprudenziale che ha avuto inizio con una pronuncia della Cassazione (sez. II, 14 novembre 2002 n.16023) che ben può definirsi fondamentale.
La Suprema Corte in quella occasione chiarì, infatti, che la valutazione sull’eventuale inadempienza dell’avvocato all’obbligazione assunta accettando l’incarico professionale conferitogli non può basarsi, di regola, sul solo mancato raggiungimento del risultato utile ma sulla violazione, soprattutto, del dovere di diligenza, declinato secondo il seguente ampio spettro: “Nell’ambito del dovere di diligenza rientrano a loro volta i doveri di informazione, di sollecitazione e di dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, così all’atto dell’assunzione del suo incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando, anzi tutto, al cliente le questioni di fatto e/o di diritto, rilevabili ad origine o insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttive d’un rischio di conseguenze negative o dannose, invitandolo quindi a comunicargli od a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, infine dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, probabile un esito sfavorevole o dannoso”.
Rispetto a tale ricostruzione è opportuno peraltro chiarire che l’indagine su estensione ed oggetto della attività informativa fornita dal professionista al cliente è superflua nel caso in cui quest’ultimo abbia conseguito, tramite l’opera del primo, un risultato favorevole.
Qualora, invece, il cliente non raggiunga il risultato cui mirava attraverso l’opera del professionista e attribuisca al medesimo la responsabilità dell’insuccesso o quando vi sia contestazione sui limiti dell’incarico conferito, grava sul professionista l’onere di dimostrare i termini dell’accordo raggiunto con il cliente e il prodotto dell’attività consultiva svolta in favore dello stesso, in conformità ai principii affermati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001 in tema di riparto dell’onere probatorio nei giudizio in cui sia prospettato l’inadempimento di obbligazioni contrattuali.
In tale prospettiva risulta evidente come, attraverso l’assolvimento dell’obbligo informativo, il professionista sia chiamato a fornire la prova di aver colto tutti gli aspetti necessari a fornire una corretta ed esaustiva consulenza e, attraverso le informazioni assunte nel corso di essa dal cliente, una piena ed utile assistenza a quest’ultimo.
Orbene, calando tali principii nel caso di specie, si deve evidenziare come il convenuto innanzitutto non abbia assolto all’onere di far comprendere ai propri assistiti il significato e le possibili conseguenze processuali della decisione di procedere ad una precisazione-modificazione della domanda. Se è indubbio che il particolare era molto tecnico, e come tale era difficilmente comprensibile da chi non aveva una approfondita conoscenza giuridica, la rilevanza di esso imponeva al convenuto di renderlo intellegibile agli attori mediante l’utilizzo di concetti ed espressioni che fossero alla loro portata.
L’avv. R. invece, non ha dimostrato di aver tenuto un simile comportamento e nemmeno di aver evitato l’utilizzo dell’espressione latina (emendato libelli) che solitamente viene utilizzata dai giurisperiti per definire l’istituto in esame e che era del tutto incomprensibile agli attori.
Il teste V. sentito sul punto, ha infatti dichiarato di non ricordare se, per spiegare il senso della scelta processuale in esame, l’avv. R. avesse utilizzato o meno brocardi latini.
Ancora, il convenuto non ha allegato, né tantomeno dimostrato, di aver illustrato quali avrebbero potuto essere le conseguenze della decisione di modificare la domanda originaria, ed in particolare che essa, involgendo secondo quanto da lui stesso affermato, questioni opinabili, avrebbe potuto provocare una pronuncia di inammissibilità, come poi verificatosi.
L’avv. R. non ha nemmeno fornito la prova di avere fornito agli attori tutte le altre informazioni che, date le circostanze,erano necessarie a consentire loro una scelta pienamente consapevole, a fronte della possibilità che la causa, così come era stata impostata, potesse avere esito sfavorevole.
Infatti se pur è stato acclarato, sulla base di quanto affermato in proposito dall’avv. V., che il convenuto avesse rappresentato agli attori quel rischio, non può dirsi che egli avesse anche esposto le diverse opzioni alternative a quella poi concretamente seguita.
Innanzitutto non risulta, come si è detto, che gli attori fossero stati contrari al mantenimento della impostazione originaria del giudizio, nella prospettiva di vedere accolta solo una parte della domanda, vale a dire quella relativa ai canoni per il periodo dal marzo 2001 all’aprile 2002.
Nella memoria di replica alla conclusionale avversaria il R. ha sostenuto, invero per la prima volta, che all’atto del conferimento dell’incarico aveva valutato insieme agli attori la possibilità di rinunciare alla causa ma essi l’avevano respinta.
Il profilo è sicuramente rilevante poiché il difensore ha l’obbligo di attivarsi per individuare, e conseguentemente per consigliare ai propri assisti, un esito conciliativo, quando accetti di assumere la difesa in una causa difficile e rischiosa, come ha avuto occasione di precisare anche la corte di Cassazione (Cass. sez. III, 2 luglio 2010 n.15717).
Orbene deve escludersi che nel caso di specie le prospettive conciliative fossero state adeguatamente valutate e raffrontate con le altre.
Infatti sul punto l’avv. V. ha dichiarato che sia lui che l’avv. R. rappresentarono agli attori l’opportunità di valutare una soluzione transattiva ma, aduna più specifica domanda riguardante tale aspetto, ha affermato di non ricordare se la disponibilità conciliativa richiesta dall’avv. R. fosse stata confermata dagli attori o se ebbe qualche seguito.
Tale profilo doveva invece essere pienamente chiarito dal convenuto prima di compiere la scelta, qui censurata, di coltivare il giudizio.
In particolare l’avv. R. avrebbe dovuto verificare che i propri assistiti non erano disponibili a nessuna delle soluzioni conciliative possibili, che comprendevano, oltre a quella menzionata dal convenuto nella memoria di replica (pagg. 2 e 3) alla comparsa conclusionale avversaria,della rinuncia agli atti o alla domanda con un contributo alle spese legali avversarie,anche quella, più vantaggiosa per gli attori, di una rinuncia a spese compensate, alla quale avrebbe potuto accompagnarsi quella di agire nei confronti del difensore originario per ottenere il risarcimento del danno.
E’ evidente, alla luce di quanto fin qui detto, che il professionista pose in essere una serie di condotte che indussero gli attori ad accettare come obbligata la scelta loro proposta dal convenuto, quali l’aver omesso una adeguata informativa sulle diverse alternative praticabili, l’aver taciuto il rischio che comportava la scelta di precisare la domanda, nonchè la rappresentazione di essa come unica praticabile, ed infine l’evidenziazione del rischio di perdere la causa, così come era stata impostata all’origine.
E’ evidente per contro che agli attori se fossero state fornite tutte le informazioni di cui si è detto essi, con elevata probabilità, avrebbe optato per una soluzione diversa da quella di modificare l’originaria domanda.
Infine vale la pena aggiungere che non giova alla posizione del convenuto il contrasto tra le dichiarazioni del teste Davide P. e quelle degli altri testi escussi nel corso dell’istruttoria, sul quale egli ha molto insistito negli atti conclusivi, dal momento che il convenuto, come si è detto, non ha fornito prova di aver adempiuto agli obblighi di perizia e diligenza ai quali era tenuto nei confronti degli attori.
Passando alla quantificazione del danno patito da questi ultimi, esso va determinato nella somma che essi dovettero corrispondere alla consorzio a titolo di spese di lite come quantificata nella sentenza del giudice di Soave (euro 5.583,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 12,50 % e i.v.a, nella percentuale in vigore all’epoca del pagamento), atteso che, come detto, gli attori non hanno addebitato al convenuto anche la responsabilità per la condanna nei confronti della Alcatel.
Non può poi riconoscersi agli attori anche la somma che essi avrebbero potuto percepire dal Consorzio a titoli di canoni di locazione del terreno all’esito di quel giudizio, poichè essi non hanno avanzato istanze istruttorie dirette a comprovare quale fosse stata l’entità di essa né hanno riproposto quelle che avevano avanzate allora.
La terza chiamata Generali Italia Spa va condannata a tenere manlevato il convenuto dell’importo sopra determinato e di quello dallo stesso dovuto a titolo di spese del presente giudizio, nei limiti della copertura prevista dall’art. 15 delle condizioni generali di polizza (scoperto del 10 %).
Venendo alla regolamentazione delle spese giudiziali quelle relative al rapporto tra attori e convenuto vanno poste a carico di quest’ultimo, in applicazione del criterio della soccombenza e alla luce della considerazione che egli, a differenza degli attori, ha rifiutato la proposta conciliativa che questo Giudice aveva formulato all’udienza del 7 maggio 2013.
Nulla va disposto on ordine alle spese relative al rapporto tra convenuto e terza chiamata, atteso che quest’ultima si è associata alle difese del primo, cosicchè non vi è stata soccombenza tra tali parti.
Le spese di lite si liquidano come in dispositivo, facendo riferimento, per la determinazione della somma spettante a titolo di compenso, al d.m,. 55/2014, entrato in vigore il 3 aprile di quest’anno.
In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva va determinato assumendo a riferimento i valori medi di liquidazione previsti dal predetto regolamento per le cause di valore tra euro 5.200,01 ed euro 26.000,00 e aumentandoli dell’80 %, avuto riguardo alla relativa complessità e al numero delle questioni involte nel presente giudizio e al numero delle parti originarie, che ha comportato la necessità di interloquire sulla posizione di ciascuna di esse.
Il valore medio di liquidazione previsto per le fasi istruttoria e decisionale va invece aumentato del 40 % alla luce della considerazione che la prima si è articolata in sei udienze e che nella seconda le parti hanno dovuto dedurre sulle risultanze dell’attività istruttoria svolta.
Il compenso complessivamente spettante per l’intero giudizio pertanto è di euro 7.415,00.
Quanto alla voce rimborso spese generali è opportuno chiarire che la percentuale del 15 % fissata dall’art. 2 comma 2 del regolamento 55/2014 costituisce l’entità massima riconoscibile a tale titolo.
Infatti l’art. 13, comma 10, del legge 247/2012 ha previsto che:“Oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfetarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive” (sottolineatura dello scrivente).
A sua volta l’art. 2, comma 2 del d.m. 55/2014 ha stabilito che all’avvocato “è dovuta — in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale — una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso”.
Nella relazione illustrativa al d.m. 55/2014 si legge che la individuazione nella misura del 15 % del rimborso forfetario è il frutto del recepimento del parere espresso dalla commissione giustizia della camera e che essa, testualmente, “dà attuazione all’art. 13 comma 10 della legge 247/2012 che rimette proprio al d.m.
la determinazione della misura massima del rimborso forfetario”.
Pertanto secondo il regolamento, ma anche secondo la legge, la misura del 15 % è la misura massima. Il che significa che l’entità del rimborso forfetario può variare dall’1 % al 15 %.
A fronte di tali dati normativi, la precisazione da parte dell’art. 2, comma 2, del d.m. 55/2014 che il riconoscimento della percentuale del 15 % deve avvenire “di regola” non vale ad individuare una importo massimo vincolante per il giudice, atteso che la legge non prevede un simile vincolo (si noti peraltro che tale espressione è utilizzata dal regolamento anche con riguardo agli aumenti o alle diminuizioni apportabili ai valori medi di liquidazione dei compensi).
Pertanto, ad avviso di questo Giudice, solo a seguito di istanza adeguatamente motivata è possibile riconoscere alla parte V.sa la percentuale massima prevista a titolo di rimborso spese generali e, in difetto di essa, può riconoscersi solo il valore medio di liquidazione, pari allo 7,50 % della somma liquidata a titolo di compenso.
Agli attori spetta anche il rimborso della somma versata a titolo di contributo unificato e pari ad euro 450,00.P.Q.M.Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa, in parziale accoglimento della domanda attorea così decide:
- condanna il convenuto a corrispondere agli attori la somma di euro 5.583,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 12,50 % e I.V.a, nella percentuale in vigore al momento del pagamento;
- condanna la Ina Assitalia Spa, ora Generali Italia Spa, a tenere il convenuto manlevato della somma che lo stesso dovesse corrispondere agli attori in esecuzione della presente sentenza, anche a titolo di spese di lite, nei limiti previsti dalle condizioni generali di polizza (scoperto del 10 %);
- condanna il convenuto a rifondere agli attori le spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 7.415,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 7,50 % sul predetto importo, Iva, se dovuta, e Cpa e quella di euro 450,00 versata a titolo di contributo unificato;
- nulla sulle spese per quanto riguarda il rapporto tra convenuto e terza chiamata;
- dispone la trasmissione di copia del verbali dell’udienza del 12 novembre 2013 alla Procura della Repubblica presso questo Tribunale per le valutazioni di sua competenza in ordine alle dichiarazioni rilasciate dal teste Davide P..
Verona 4 luglio 2014.
Il Giudice
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