Deve essere risarcito anche il marito nel caso in cui la moglie, in seguito ad un incidente, non possa più avere rapporti sessuali. È quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 16 giugno 2011, n. 13179. La categoria del danno qualificato come "morale" peraltro, prima del 1996, veniva spesso utilizzata per riferirsi non soltanto all'aspetto del danno non patrimoniale corrispondente ai c.d. "patema o turbamento d'animo" (vale a dire alla sofferenza soggettiva risarcibile, di norma, in quanto causata da reato, ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p.), ma per ricomprendere in essa altri tipi di pregiudizi non patrimoniali, ritenuti comunque risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c. Pertanto, per utilizzare le parole dei giudici della Terza Sezione Civile, così come si è reputata non erronea la decisione che abbia liquidato agli aventi diritto una somma unitaria definita "danno morale" quando il giudicante abbia tenuto conto non solo della sofferenza interiore, ma di tutte le conseguenze non patrimoniali derivate dal fatto illecito, analogamente la domanda di risarcimento di "danno morale da liquidarsi in via equitativa" è suscettibile di essere interpretata come riferita anche a tipi di pregiudizio non patrimoniale diversi dalla mera sofferenza interiore, quando dal contesto dell'atto risulti evidente che l'istante non abbia inteso riferirsi esclusivamente a quest'ultima. Secondo il giudice nomofilattico "il fatto illecito, al quale è conseguita la lesione del diritto alla salute dell'attrice, sì da impedire normali rapporti sessuali, è altresì lesivo del diritto del marito a intrattenere rapporti sessuali con la moglie. La lesione di tale diritto, che inerisce a un aspetto fondamentale della persona, comporta conseguenze dannose risarcibili ai sensi dell'articolo 2059 c.c.". Inoltre, superando la definizione di danno "riflesso", ed alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, va affermata la risarcibilità del danno in parola, ex art. 1223 c.c., pur sofferto da soggetto diverso da colei che ha subito le lesioni, poiché conseguenza normale dell'illecito, secondo il criterio della c.d. regolarità causale.