Il viaggio di lavoro con l’amante è causa di addebito della separazione.
Corte di Cassazione, Sentenza n.18175 del 23 Ottobre 2012.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
Letto 477 volte dal 30/10/2012
La pronuncia di addebito, chiariscono i Giudici, non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 del codice civile pone a carico dei coniugi, essendo necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. Ma, proprio quando il tradimento è particolarmente offensivo nei confronti dell’altro coniuge, perché magari si realizza attraverso una relazione extraconiugale stabile, allora, dà luogo ad una violazione particolarmente grave dell’obbligo di fedeltà che, «determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale».
Con la Sentenza n. 18175 del 23 Ottobre 2012 i Giudici di legittimità hanno chiarito il concetto tradimento che può giustificare l’addebito di una separazione.
Nel caso di specie il ricorrente era stato visto da una collega durante un viaggio di lavoro assieme a quella che sarebbe diventata la sua compagna una volta lasciato il tetto coniugale.
Sul punto i Giudici chiariscono che portare in viaggio di lavoro la persona con cui si intrattiene una relazione extraconiugale è, per le modalità offensive del tradimento, un motivo di addebito della separazione.
Le modalità della violazione dell’obbligo di fedeltà, continuano gli ermellini, sono, in questo caso, sfacciate: ed un tradimento di tal fatta è di per sé solo sufficiente a provare il nesso di causalità con la crisi coniugale.
Pertanto, la sfacciata violazione dell’obbligo di fedeltà è fonte di addebito della separazione coniugale. Così hanno statuito i Giudici di legittimità con la Sentenza de quo.
Il caso:
un marito va in viaggio di lavoro con quella che sarebbe diventata la nuova compagna, dopo aver lasciato la moglie. Tale contegno, idoneo ad evidenziare ai terzi l'esistenza della relazione extraconiugale, sebbene non ancora intrattenuta con carattere di stabilità, viene ritenuto offensivo nei confronti della moglie e fondante la pronuncia di addebito della separazione.
Premesso che per la pronuncia di addebito non è sufficiente la violazione dei doveri coniugali sanciti dall’art. 143 c.c., essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, gli Ermellini – richiamando l’orientamento giurisprudenziale costante - ribadiscono tuttavia che la violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché, non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
La Corte accoglie il ricorso del marito sotto il profilo della mancata applicazione, da parte della Corte territoriale, dei criteri che presiedono il riconoscimento di un assegno di mantenimento per il coniuge debole.
Condizione essenziale per il riconoscimento del suddetto assegno in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché, che sussista una disparità economica tra i coniugi.
Indispensabile elemento di riferimento ai fini dell'attribuzione e della valutazione di congruità dell'assegno, è il contesto sociale nel quale i coniugi avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti: fattore che i Giudici territoriali non avevano considerato adeguatamente, così come non avevano ricostruito in modo attendibile il tenore di vita dei coniugi. Debole, a parere della Corte, è la motivazione che il marito possa contare su un reddito sicuro in quanto lavoratore dipendente, a fronte del carattere altalenante del profitto dell’impresa gestita dalla moglie, non essendo dato di comprendere se, all’attualità, i guadagni della donna giustifichino o meno l’assegno, ovvero se esso sia stato riconosciuto per sopperire ad eventuali e future oscillazioni deficitarie del reddito d'impresa.
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