COVID-19: Perché la Calabria non può riaprire il servizio ai tavoli dei bar, accolta la richiesta di annullamento dell'ordinanza del Presidente della Regione
Tribunale Amministrativo per la Calabria Sentenza 841/2020 del 09.05.2020
Avv. Michele Corbosiero
di roma
Letto 76 volte dal 10/05/2020
il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione.
In proposito il TAR osserva che l’articolo 41 della Costituzione riconosce libertà di iniziativa economica e prevede che questa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana senza previsione di una espressa riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre allo scopo di assicurare l’assenza di pregiudizio per la salute pubblica.
Ciò, significando che eventuali prescrizioni limitative possano essere imposte anche con un atto di natura amministrativa, non creerebbe alcun contrasto tra la norma costituzionale e l’eventuale disposizione legislativa che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus COVID-19.
Non vi può essere dubbio - continua il TAR - che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto contenente le limitazioni nell’art. 117, comma 2, lett. q) della Costituzione, che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale» così come anche nel terzo comma del medesimo articolo 117, che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile».
Sarebbe la legge stessa a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo (quale il Decreto emesso da Presidente del Consiglio dei ministri) la commisurazione dell’estensione di tale limitazione.
Il potere attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri di individuare in concreto le misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’articolo 118, comma 1 della Costituzione, in quel principio di sussidiarietà che impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo in maniera unitaria.
Una volta accertato che l’individuazione nel Presidente del Consiglio dei ministri dell’Autorità che deve individuare le specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è conforme al principio di sussidiarietà di cui al citato articolo 118, deve altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile». La Corte costituzionale ha già ritenuto che “… l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa …”.
Tutto ciò escluderebbe che si possa affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione ma che vi sia stata l’avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa.
Spetta quindi al Presidente del Consiglio dei ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie, il TAR ritiene non siano stati integrati.
Superata la prima eccezione mossa all’impugnazione, il TAR ritiene fondato anche il secondo motivo di ricorso. L’ordinanza regionale motiva infatti la deroga alla sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo, “… con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia …” pur essendo “… fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate”
Tale modalità operativa sarebbe coerente con un principio di precauzione dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica e sarebbe dunque “… chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste. 22”
Il Tar infine accoglie anche il terzo motivo di ricorso ricordando come “… la violazione del principio di leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere. Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo. Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione.”.
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