LA COSCIENZA DELLA LEGGE
di Luigi Ferrara
Nocera Inf. 15 giugno 2018

La coscienza della legge nella intuizione di Sant Alfonso M. De Liguori.
I diritti civili oggi per una vita buona o per una buona vita?
                                                   
                                                    Atti degli Apostoli 4.13.21.
“È giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.
 
1. PREMESSA.
La condotta umana può suscitare un giudizio morale ingenerando la convinzione che quella persona ha condotto una vita buona, ma se prescindiamo dalla morale, saremo propensi a pensare, che la stessa persona ha condotto una buona vita.
L’esempio riportato è di natura scolastica, e sta a significare che la vita buona è quella ispirata ai valori, mentre una buona vita è quella vissuta nella materialità, nel benessere economico, priva di difficoltà, dove tutto è possibile e permesso ma al tempo stesso carente di principi.
Nella moderna società civile molteplici associazioni politiche si battono da anni per affermare i “diritti umani e civili” ad es. dei malati per permettere loro di vivere “dicono” liberi fino alla fine. Su tale presupposto sono state intraprese battaglie per la fecondazione assistita per il “diritto” ad una maternità libera e responsabile; per la libertà di ricerca a difesa del metodo scientifico; per la libertà di cura a tutela del “diritto” ad una morte dolce.
L’intento di queste ideologie è quello di creare una società civile davvero libera, laica, senza pregiudizi.
L’idea spinge a chiederci, ma cosa è buono o cosa è cattivo per raggiungere la tanto decantata libertà?
La libertà è qualcosa di assoluto o non deve avere dei contenuti?
La risposta non può non sfociare nell’aggettivo morale o non-morale con la conseguente formula relativista oggi sempre più incalzante, ovvero, della fluida teoria di razionalizzante riflessione - che, dei molti odierni locutori (ed interlocutori) ritenere che le leggi siano relative all'uomo che le emana.
È sempre più di moda contestualizzare l’idea sofistica, trasfusa dai secoli scorsi nelle odierne idee liberistiche, che le leggi debbano essere private dell'aura di assoluto e di universalità per il buon vivere civile.
Già Socrate, nell’ingaggiare battaglia al detto relativismo etico dei sofisti-eristi, dediti, al discorso basato sulla pura convenzionalità del linguaggio senza alcuna preoccupazione per il suo contenuto di verità, indicava che vi erano in natura elementi alquanto assorbenti e rappresentativi di ordine morale tali da rendere l'uomo migliore, elementi rappresentati dal riflesso dell'ordine del cosmo.
Famosa dunque la maieutica socratica, rivolta all'interpretazione della natura umana, denotava il fatto che vi sono uomini per natura più intuitivi di altri portati ad avvertire l’esistenza di leggi naturali.
I termini che ci interessano, e fin qui emersi, non possono che essere quelli di riferimento al “contenuto della verità”, verità che immancabilmente conduce al parallelo concetto di “giustizia in se” di socratiana ottica universale, vicina allo stoicismo che intuiva in primitiva età quello che, come prima accennato, oggi non è ancora chiaro a molti uomini.
Dottrine di avanzata intuizione, ove l’etica consiste nel conformarsi alle leggi della natura, che per l'uomo, si traducono nel vivere secondo ragione; da ciò, si è sostenuto che il cosmo è retto da un ordine razionale e l'uomo può entrare a far parte di questo ordine tramite le virtù dell'autocontrollo.
Insomma, queste le dottrine che hanno condotto a sostenere il giusnaturalismo - ricerca fondamentalmente di una legge dell'agire umano sia come valenza conoscitiva dell'etica e sia come legge dell'agire umano, ossia, prescrizione (o valenza regolativa).
Il pensiero è basato sul presupposto che il diritto abbia un fondamento oggettivo insito nella natura stessa.
Un diritto, quindi, che ha fondamento nella costituzione naturale dell'uomo.
Questa costruzione fa emergere, inevitabilmente, la differenza con le tesi razionalistiche che appaiono prive di valori in quanto produttive di disposizioni modificabili a piacimento dagli uomini secondo il sentimento e la cultura del tempo che le produce.
A sostegno, la strabiliante intuizione giusnaturalista, fu confermata, successivamente, da un uomo speciale, Gesù di Nazzaret, personaggio storico, così tanto avversato, da nuovi e vecchi relativisti che hanno sempre sostenuto che le leggi sono relative solo ai bisogni dell’uomo.
Un significato questo, sostenuto attualmente da molti che non si accorgono di orientare l’emanazione di leggi prive di contenuto etico.
Su tali assunti, va fatta una riflessione?
Osservando le leggi di natura troveremo una molteplicità di cose create dalla stessa al fine di potersi rigenerare, produrre cose a servizio di altri esseri. In questo, ciclo della vita vi è già di natura una legge scritta ad es. per la virtù di procreazione, la virtù di preoccuparsi di concedere i mezzi di sostentamento a ciò che si è generato (ad es. le foglie producono ossigeno, i mari la pioggia, gli alberi i frutti e potremmo proseguire), nonché la virtù di poter avere quanto serve per ripararsi dalle avversità affinché ciò che si è creato non possa facilmente perire e si aggiunga che molte creature sono date dalla natura al solo fine di poter essere idonee per donare semplicemente un aspetto gradevole di bellezza per altri esseri viventi (ad es. il profumo dei fiori e la loro bellezza).
Tranne che per sconvolgimenti climatici, anche le creature che sono considerate sgradevoli o dannose producono una utilità per altre. Insomma, potremmo dire che in natura vi sono solo virtù che in filosofia già si indicano come: utilitarismo del tratto ovvero: le virtù tratti di carattere che maggiormente promuovono il bene generale di una collettività (la virtù cardinale è quindi la benevolenza).
L’uomo dovrebbe prendere queste leggi di benevolenza e fonderne tali valori alle proprie leggi.
Riferito, quindi, agli uomini troviamo l’egoismo del tratto, ovvero: le virtù che entrano in quelle disposizioni che maggiormente contribuiscono al bene o al benessere personale; (la virtù cardinale è qui il bene personale).
Quando il bene o il benessere personale può superare quello generale?
Può una norma che autorizza un comportamento alquanto contrario alle leggi di natura, perché discussa è la sua approvazione, ritenersi pienamente legittima o amorale?
Per essere considerata appieno giusta, buona e lecita potrà contrariare le tradizioni di una collettività sul bene naturale comune?
Aristotele riteneva che un soggetto è responsabile nel momento in cui la causa dell'atto è interna al soggetto:
- cioè se il soggetto non è costretto ad agire da qualcuno o qualcosa di esterno;
- l'atto non è risultato dall'ignoranza, cioè se il soggetto è anche cosciente dell'azione che compie.
Ciò che preme qui rilevare però è comunque l’esistenza di una legge di natura unica di concezione giusnaturalistica che contiene “amore” unica astrazione che bilancia o blocca il mutare dei valori morali che si originano dalla realtà sociale e politica, che si riferiscono all'organizzazione economica e giuridica, si rifanno alle tradizioni di una collettività e quindi mutano nel loro percorso storico.
Dunque, venendo più vicino ai nostri tempi, questo problema è sempre un problema di contenuto della morale, contenitore di questi valori appena enunciati ed ove a dire con le parole di S. Alfonso M. De Liguori: “la morale è un caos che non finisce mai lo all’incontro sempre leggo, e sempre trovo cose nuove. Questa scienza non è così facile, come alcuni la credono: ella è molto difficile, ed è molto vasta per ragione delle innumerabili circostanze che possono occorrere in ogni caso di coscienza, e perciò collo studiare sempre s’imparano cose nuove”, norma universale, dunque, è la certezza morale per Alfonso.
Non sono mancati autori nei secoli dei lumi che ponevano contrasti a tali accezioni chiedendosi quali fossero i caratteri morali che una norma deve contenere.
Già Scheler obiettava a Kant che non occorre confondere beni e valori, poiché i valori sono qualità assiologiche, mentre i beni sono le singole cose concrete mediante le quali vengono veicolati i valori (poneva come esempio: “l'amicizia è un valore; l'amico è un bene”). E mentre i valori possono diventare universali, i beni sono contingenti: se infatti l'amicizia è e resta tale, l'amico può tradire.
La legge dunque, sosteneva, deve sempre contenere dei valori:

  1. i sentimenti sensibili compresi nella gamma tra gradevole e sgradevole;
  2. i sentimenti corporei, legati allo stato del corpo, correlati ai valori del nobile e del volgare, dell'utile e del dannoso, su cui si fonda anche la vita associata, e i sentimenti vitali, legati alle funzioni del corpo, ai quali sono correlati i valori vitali come la generosità, il coraggio e così via;
  3. i sentimenti legati all'anima o all'io, a cui sono correlati i valori spirituali e conoscitivi del vero e del falso, del bello e del brutto, del giusto e dell'ingiusto;
  4. i sentimenti propri della persona ai quali sono correlati i valori religiosi del sacro. Questi sono i valori più alti e sono colti ad es. dagli atti dell'amare e odiare.

La gerarchia dei valori di Scheler è disposta secondo strati che vanno dal livello corporeo a quello spiritualmente più puro della persona. La vita morale sosteneva, consiste, invece, nella piena realizzazione della persona umana e, quindi, include costitutivamente sentimenti ed emozioni, in particolare la simpatia e l'amore, il concetto di persona dev'essere distinto da quello di anima, la quale implicava il dualismo anima/corpo: la persona è una “unità bio-psichica” di anima e corpo.
Questa costruzione, potrebbe apparire esaustiva ma per evitare che un disvalore possa entrare nella norma ad emanarsi occorre aggiungere sempre (a dire con S. Alfonso), il coniugio tra norma è coscienza! 
Una norma che non contiene questi valori non è etica e non conduce ad una libertà che può essere considerata coscientemente morale.
Ma cosa deve contenere la coscienza per essere considerata conforme alla morale?
È sovente nella società attuale riscontrare la totale mancanza di riconoscimento di tale certezza, ad es. non mancano associazioni che, per il solo fatto di rappresentare un contenuto di voti per alcuni politici, riescono ad ottenere la norma richiesta anche contraria a tali contenuti.
La scusante è sempre quella di volere una società civile davvero libera, laica, senza pregiudizi.
Allora occorre fare degli esempi: etico sicuramente è il valore del rispetto della vita, morale il modo in cui essa viene rispettata-tutelata e ciò a prescindere dalla sua qualità che potrebbe essere pessima ma per questo non posso decidere di sopprimerla.
Costruire una norma che permetta il suicidio a chi non vuole più vivere per la pessima qualità di vita costretto a condurre, conduce all’epurazione del suo valore etico e morale visto che la società attuale per la maggioranza tollera semplicemente ma senza condividere l’emanazione anche di norme come quelle sul fine vita. All’ora l’esigenza della legge, la quale giustamente non deve punire l’intenzione di non voler più vivere, bensì il fatto, che è il prodotto della libera scelta dell’agente terzo di prestare aiuto al suicida (atto con contenuto di coscienza dubbio).
Potremmo proseguire per la norma che introduce l’aborto, si autorizza a praticare la distruzione della nascente vita (atto con contenuto di coscienza dubbio), non perché questo atto sia intrinsecamente giusto ma perché la norma promana da una fonte giuridica legittimata ad approvarla ma il cui contenuto non coincide con obbligo morale; ancora pensiamo al caso Alfie cui si è vietato di attraversare i confini dello Stato per sperimentare altre cure, anche qui si è imposto un obbligo giuridico di per se vincolante, non perché intrinsecamente giusto, ma perché emesso da fonti autorizzate a creare obblighi giuridici ma che non coincidono con obblighi morali.
Un diritto, dunque, slegato da un contenuto di coscienza non può essere morale, e può autorizzare lo Stato anche a legalizzare una norma ingiusta, questo è quello che maggiormente ha un’aurea di inquietante.
L’attuale tendenza a creare obblighi giuridici che non coincidono con obblighi morali affligge la società contemporanea dove l’individuo moderno, prigioniero di nuove tecnologie che lo costringono ad isolarsi dai contatti tradizionali e già vivendo numerosi disagi per le difficili relazione con altre persone, egli credere spesso di essere unico spingendosi sempre più a sentire una coscienza personalizzata o un individualismo forzato che però non trova appigli, se non nei fenomeni della pseudo-morale che la società borghese contemporanea gli offre, fuoriuscendo dalla ricerca della virtus incarnando modelli culturali vuoti, e così molteplici associazioni vivono nell’illusione di inseguire le libertà assolute, quando invece la società contemporanea li ha incatenati al sistema economico mondiale.
Eppure, fin dall’antichità si guardava al rispetto dei valori etici che andavano ben oltre la morale. Nell’antica Roma la legge era la cosa più alta, in opposizione alla quale neppure lo stesso Giove, il dio massimo, potesse andare: ciò perché Giove è la legge e questa non può andare contro se stessa, altrimenti se le leggi della fisica andassero contro se stesse l’universo sarebbe già collassato.
Questo è ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, ovvero, l’aumento di nuove preoccupazioni del materialismo, dell’indifferentismo religioso e l'incredulità a riconoscere nuove forme di dittatura differenti da quelle classiche dell’unico despota.
Questi esempi ci dicono che il contenuto della morale può comunque variare secondo il periodo storico e dunque cosa può rendere immutabile il valore cosciente della morale?
 
2. RIFLESSIONI SUL CONTENUTO DELLA COSCIENZA INTESA A SUPERARE I NUOVI PARADIGMI.
La sorprendente attualità delle riflessioni del Santo A. M. De Liguori.
Come prima accennato, in questo lavoro, l’ago della bilancia, per una norma che sia conforme alla coscienza morale, è il valore amore!
L’amore è quella virtù umana che rappresenta la gentilezza e la compassione, la vicinanza disinteressata, la fedeltà e la preoccupazione benevola nei confronti di altri esseri viventi, ma anche il desiderare il bene di altre persone, un sentimento che guarda alla purezza della virtù disposizione d'animo volta al bene; di essere virtuoso come "modo perfetto d'essere" nel rispettare ogni precetto di natura.
L’esistenza di un “amore” blocca il mutare dei valori, perché l’amore è contenuto in un precetto di Dio “Gv. 15, 9-17. Amatevi gli uni con gli altri, come io vi ho amato …”.
S. Alfonso, contrariamente ai giansenisti [il sistema teologico sull'idea che l'essere umano nasca ormai essenzialmente corrotto, e quindi inevitabilmente destinato a fare il male: senza la grazia divina, La Chiesa cattolico-romana condannò la dottrina teologica giansenista come eretica e vicina al protestantesimo, per il fatto che il giansenismo annullava quasi del tutto il libero arbitrio dell'essere umano di fronte alla grazia divina, favorendo l'idea di una salvezza predestinata.] e ai rigoristi, insiste molto sul ruolo della ragione nella morale: L’uomo non deve rimettersi alla grazia per vincere l’ignoranza dei precetti naturali. Questa dev’essere vinta dalla ricerca personale rimettendo il tutto alla coscienza: “Così io mi son regolato, secondo meglio mi ha paruto, secondo coscienza”.
L’amore, aggiungo, è coscienza di amare è pace per la coscienza interiore! 
Quando si segue questa coscienza non è dato sbagliare mai “Medjugorje - Io sono la Regina della Pace”, la coscienza deve dunque contenere l’amore-pace.
Un esempio possiamo trovarlo in Gv. 20:19-23, ove leggiamo: “… 19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»”.
In disparte il saluto di pace, il dono che Gesù fa dello Spirito Santo equivale ad un atto di amore per condurli alla giustizia.
Un atto di amore che servirà per giudicare secondo giustizia a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” questo perché attraverso l’insegnamento di Cristo: “presentazione di mani e costato=sacrificio di amore per combattere l’ingiustizia; pace a voi=amore cosciente di amarsi come modello di comportamento per superare ogni ingiustizia; ricevete lo Spirito Santo=concessione gratuita per atto di amore come memoria illuminante della ragione per opporsi ad ogni azione praticata senza amore=ingiustizia” anche gli uomini sono mandati ad insegnare (… anche io mando voi; a chi rimetterete…), perché rimettere i peccati, sta a significare che si è saputo capire l’azione ingiusta di un uomo compiuta con coscienza colma di malizia, ovvero secondo un comportamento contrario al precetto naturale. Così con tale gesta il Cristo ha dato le indicazioni di come giudicare con vera giustizia!
Ma la ingiustizia presuppone una malizia, ovvero, la violazione di una legge e se c’è una legge questa limita la libertà di ogni uomo!
La Genesi 18,20-33, infatti dice: 20 Il Signore disse: “Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave, 21 io scenderò e vedrò se hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così non è, lo saprò». 22 Quegli uomini partirono di là e si avviarono verso Sodoma; ma Abraamo rimase ancora davanti al Signore. 23 Abraamo gli si avvicinò e disse: «Farai dunque perire il giusto insieme con l'empio? 24 Forse ci sono cinquanta giusti nella città; davvero farai perire anche quelli? Non perdonerai a quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono? 25 Non sia mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l'empio, in modo che il giusto sia trattato come l'empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?» 26 Il Signore disse: «Se trovo nella città di Sodoma cinquanta giusti, perdonerò a tutto il luogo per amor di loro … 32 Abraamo disse: «Non si adiri il Signore, e io parlerò ancora questa volta soltanto. Forse, se ne troveranno dieci». E il Signore: «Non la distruggerò per amore dei dieci». 33 Quando il Signore ebbe finito di parlare ad Abraamo, se ne andò. E Abraamo ritornò alla sua abitazione”.
Come si nota, amore, libertà, legge e giustizia si abbracciano.
Se vi è il precetto non uccidere e vi è un uomo che lo viola allora quest’uomo non ha libero amore, non è libero dall’ingiustizia, viola la legge ed è ingiusto perché ha creduto prima di tutto di poter sostituirsi a Dio ritenendo coscientemente di poter non applicare o modificare il precetto di non uccidere.
Con dei precetti così chiari e certi nessun uomo può mitigare la rigidità di tali concetti se non la sola misericordia di Dio o benignità del Cristo a dirlo con le parole di Sant Alfonso.
Le caratteristiche della norma citata sono chiare, certe e coscientemente giuste perché chi uccide produce vendetta e ingiustizia, l’uomo può intenderne da subito il valore.
Nell’attuale società, al contrario, assistiamo ad una crescita smisurata di leggi che guardano più all’aspetto economico che a quello umano e dunque sempre meno coscienti di valori con contenuti incerti e che il più delle volte si sovrappongono ad altre leggi di contenuto analogo, un es. ne sono gli innumerevoli correttivi che si producono addirittura in modo non organico ma nelle diverse leggi finanziarie annuali.
Inutile dire della difficoltà degli operatori del diritto a stare aggiornati mentre per i cittadini comuni imperversa solo l’incertezza e la difficoltà di coglierne il valore.
Il nostro periodo sembra essere ritornato proprio al 1700.
Il Santo Alfonso (si riporta qui in pieno la ricerca dei padri redentoristi, in: http://www.santalfonsoedintorni.it/s-alfonso-dalla-vita-e-per-la-vita.html; dagli scritti di Sabatino Majorano e Mario Colavita, si veda ivi anche al paragrafo terzo), nelle sue ricerche notava l’amara constatazione che la legge incerta non può indurre un’obbligazione certa e in una dissertazione del 1749 si legge: «In seguito, nel corso del lavoro missionario, abbiamo scoperto che la sentenza benigna è comunemente sostenuta da numerosissimi uomini di grande onestà e sapienza… ne abbiamo perciò ponderato accuratamente le ragioni e ci siamo accorti che la sentenza rigida non solo ha pochi patroni e seguaci - e questi dediti forse più alle speculazioni che all’ascolto delle confessioni -, ma è anche poco probabile, se si vagliano i principi, e per di più circondata da ogni parte da difficoltà, angustie e pericoli. Al contrario abbiamo scoperto che la sentenza benigna è accettata comunemente, è molto più probabile dell’opposta, anzi è probabilissima e, secondo alcuni, non senza un fondamento molto grave, moralmente certa» (Dissertatio scholastico-moralis pro usu moderato opinionis prababilis in concursu probabilioris, in Dissertationes quatuor, Monza 1832, p. 77-78).
È utile qui notare il collegamento che si fa nel titolo di questo lavoro in riferimento ai diritti civili oggi invocati da correnti liberalistiche, ove, già Alfonso censurava in questo modo l’inseguire l’illusione delle libertà c.d. “civili”, ovvero, nella Theologia moralis aggiunge con una punta di ironia: «Come potevano convincermi vedendo che essi generalmente si sforzano di appoggiare le loro sentenze più con invettive e derisioni che con la forza delle ragioni? Come avrei potuto aderire in tutto a coloro che il più delle volte proclamano le loro opinioni come più vere e più conformi al Vangelo solo perché sono più rigide e sovente si fanno scherno di quelle contrarie, come false e opposte al vangelo, solo perché favorevoli alla libertà?» (Lib. III, tract. V, cap. II, dub. I, n. 547, ed. GAUDÉ, II, Roma 1907, p. 53). 
Il punto di arrivo del cammino di conversione è una proposta morale centrata nella esigente benignità del Cristo: una proposta morale cioè che si impegna ad attualizzare, nelle diverse situazioni della vita, la parola del Cristo alla donna sorpresa in adulterio: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Può perciò aprire il cuore di ogni uomo a quella fiducia filiale che fa tendere lealmente alla santità, in generosa risposta all’altra decisa affermazione del Cristo: «Siate voi perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» e «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Mt 5,48 e Le 6,36), questo perché, secondo quanto sostenuto da me prima in riferimento a se c’è una legge questa limita la libertà di ogni uomo, oggi infatti si tende a legiferare norme come aperture di libertà (eutanasia, aborto, procreazione con scambio di embrioni, blocco delle cure e di trasferimenti in altre sedi per i casi malattia incurabile secondo la scienza medica attuale ecc.), solo perché favorevoli ad una libertà dal Vangelo ritenuto roba da religione ed ove in nome del laicismo possono essere emanate in forma contrarie ai precetti evangelici.
L’incertezza di queste norme però, come si è cercato di spiegare, risiede sempre nella domanda se esse, pur ritenute utili ad inseguire la libertà dell’uomo, corrispondono o meno ad una morale cosciente.
Le certezze di fondo, all’epoca del Santo, ove a differenza di oggi, ci si approcciava appena a quella netta demarcazione tra laicismo e religione, si cercavano di sintetizzare in una meno rigida interpretazione secondo il grado di colpa che poteva essere imputata ad un soggetto e non a dissociarle completamente dalla coscienza morale, giacché logicamente in questo modo si evitava una disaffezione degli uomini alla legge cristiana.
Alfonso infatti avversava il rigorismo e nella Teologia moralis così relazionava: «è certo, o da ritenere come certo… che agli uomini non si devono imporre cose sotto colpa grave, a meno che non lo suggerisca una evidente ragione» (Ivi), cioè una legge incerta non può indurre un obbligo certo; inoltre «considerando la presente fragilità della condizione umana, non è sempre vero che sia più sicuro avviare le anime per la via più stretta, mentre vediamo che la chiesa ha più volte condannato sia l’eccessiva libertà che l’eccessivo rigore» (Ivi). Riportando queste affermazioni, per sottolineare, che Alfonso è stato «il rinnovatore della morale», Giovanni Paolo II aggiunge che si tratta di «mirabili parole» (Spiritus Domini…, p. 1367-1368). Nella prospettiva alfonsiana viene così sottolineato che la proposta morale deve essere autenticamente incentrata ai precetti cristiani che in ogni caso: “conducono salvificamente il bene nella «fragilità» storica dell’uomo, aprendola alla pienezza che Dio ha progettato in Cristo: se «continua» e attualizza l’incarnarsi misericordioso del Redentore”. 
Ancora una volta, si noti ed aggiungo io, l’ago della bilancia è l’amore!
Tornando allora alla domanda quale contenuto di verità morale o quale coscienza deve avere la legge, il Santo afferma che: “in realtà la proposta morale è sempre alla ricerca del difficile equilibrio tra l’assolutezza dei valori e le possibilità della vita quotidiana. Alcuni optano per i primi in maniera tale da dimenticare le seconde, rischiando non solo di rendere incomprensibili gli stessi valori ma di precludere anche il cammino verso di essi; altri si lasciano talmente assorbire dalla concretezza e dalla complessità della vita da legittimare ogni cosa, rimandando l’imperatività dei valori à un domani sempre lontano.
Benché difficile, occorre trovare un equilibrio costruttivo tra queste due istanze. Solo così è possibile evitare da una parte formalismi e rigorismi e d’altra parte relativismi e lassismi di ogni tipo”. La vita e la storia non possono essere ridotte solo a «luogo» dell’applicazione della norma morale: sono cariche di appelli che la coscienza di ognuno è chiamata a riconoscere e accogliere.
Se questo vale per ogni proposta morale, in quella cristiana si arricchisce di ulteriore profondità e urgenza. Non possiamo dimenticare infatti che il nostro Dio si è incarnato nella storia: è una Presenza che ci interpella chiamandoci ad essere collaboratori con lui della salvezza. 
Convertito alla benignità dall’esperienza pastorale, sant’Alfonso insiste sempre sulla necessità di misurarsi con i fatti, senza alcuno pregiudizio. Non si tratta di legittimazione semplicistica dei fatti: non è possibile che il «così si fa», anche nel caso che è la maggioranza ad agire in quella maniera, diventi automaticamente «è bene fare così».
Si tratta invece di arricchire di coscienza concreta tutta la proposta morale.
Da ciò rivolgendosi agli avvocati ne trae un decalogo così composto:
1. - Non bisogna accettare mai cause ingiuste, perché sono perniciose per la coscienza e pel decoro.
2. - Non bisogna difendere una causa con mezzi illeciti e ingiusti.
3. - Non si deve aggravare il cliente di spese indoverose, altrimenti resta all’avvocato l’obbligo della restituzione.
4. - Le cause dei clienti si devono trattare con quell’impegno con cui si trattano le cause proprie.
5. - E’ necessario lo studio dei processi per dedurne gli argomenti validi alla difesa della causa.
6. - La dilazione e la trascuratezza negli avvocati spesso dannifica i clienti, e si devono rifare i danni, altrimenti si pecca contro la giustizia.
7. - L’avvocato deve implorare da Dio l’aiuto nella difesa, perché Iddio è il primo protettore della giustizia.
8. - Non è lodevole un avvocato che accetta molte cause superiori ai suoi talenti, alle sue forze, e al tempo, che spesso gli mancherà per prepararsi alla difesa.
9. - La giustizia e l’onestà non devono mai separarsi dagli avvocati cattolici, anzi si devono sempre custodire come la pupilla degli occhi.
10. - Un avvocato che perde una causa per sua negligenza, si carica dell’obbligazione di rifar tutti i danni al suo cliente.
11. - Nel difender le cause bisogna essere veridico, sincero, rispettoso e ragionato.
12. - I requisiti di un avvocato sono la scienza, la diligenza, la verità, la fedeltà e la giustizia.
La tecnica della coscienza e della morale usata da queste norme è anche il paradigma da usare non solo dalla comunità cristiana in quanto tale, ma da chiunque nella storia voglia utilizzare gli elementi indispensabili della vita morale.
Ecco dunque la modernità di Alfonso, la sua «praticità» spinge a porsi con decisione e fiducia in questa prospettiva.
 
3. Giustizia e amore, per la coscienza che le NUOVE GENERAZIONI DI GIURISTI vorranno trovare.
Eccessi, rumori, indifferenza, la moda da inseguire per seguire la corrente, esclusione delle verità morali, corsa a fare ciò che vogliamo per essere pienamente liberi.
Ma essere liberi, ottenendo il diritto di poter esercitare un’azione che altrimenti è impedita dallo Stato, significa che esiste un diritto precedentemente considerato non esercitabile in maniera libera perché, ritenuto, in un determinato momento storico, ingiusto, illecito, moralmente non esercitabile. D’altra parte non tutti possiamo liberamente esercitare ciò che vogliamo altrimenti sarebbe possibile anche l’omicidio, neppure possiamo dire che si tratta di democrazia assoluta perché anche dieci cannibali, democraticamente, potrebbero votare ed ottenere una maggioranza di nove per mangiare il decimo cannibale.
Dunque per esercitare una libertà occorre che la stessa sia una libertà giusta! 
Per conoscere di questa idea si riporta un breve quanto ellittico riepilogo di varie teorie formulate da uomini che hanno provato a cercare da dove derivasse la giustizia e quale fossero i principi di verità per le leggi.
Molti risultati sono stati ottenuti da feconde teorie del XIX secolo che hanno avuto il pregio di sviluppare le idee di libertà donandoci quelle attuali del buon convivere sociale senza oppressioni. Ci si riferisce alle idee liberali di natura giusnaturalistica che trovarono i fondamenti dell’attuale stato di diritto che da una parte ci hanno donato l’attuale scienza e conoscenza ma che dall’altro hanno seminato molte esclusioni morali dalle norme che disciplinano le varie libertà lasciandole senza una vera coscienza del giusto sull’idea contrattualistica del patto sociale.
Partiamo dal liberalismo, considerato democrazia moderna, in filiazione con l'Illuminismo. L’ispirazione produsse ciò che viviamo anche ai nostri giorni, ovvero, ideali di tolleranza, libertà ed eguaglianza propri del movimento che allora contestava i privilegi dell'aristocrazia e del clero e l'origine divina del potere del sovrano, contestazione che oggi, caduti i vecchi regimi, si rivolge contro ogni commistione tra religione e norme per la laicità dello Stato.
Vero è che il liberalismo politico di Locke, nel suo trattato sul “governo civile”,  regalò al mondo la teorizzazione dei tre principi "nuovi": ragione, eguaglianza, libertà, ma è anche vero che al concetto di libertà, da allora, non si pose più freno, anzi nel recente passato Friederich Hayek è stato uno dei pochi ad osservare che il liberalismo è anche una teoria della limitazione del potere (alla difesa dei diritti individuali), perciò anche l'estensione del potere per via democratica ne è limitato. Per questa ragione, il filosofo Hayek propose il termine "demarchia", in cui l'etimologia kratos (dominare, comandare) viene sostituita da arcos (gestire, amministrare), più corretto per un sistema di rapporti politici liberalista. Questo dettaglio ha suscitato dibattiti intellettuali sulla compatibilità tra liberalismo e democrazia.
Andando indietro nella storia, si sosteneva, l’uomo possiede dei diritti innati (diritto alla vita; alla libertà; alla proprietà; alla salute) la cui custodia spetta al principe; è il sovrano a dover salvaguardare tali diritti e tra il governante e i governati si deve stipulare un patto sociale che soprattutto deve essere rispettato da ambedue le parti (pacta sunt servanda cit. Grozio). In Locke gli stati attuali troveranno le loro fondamenta il costituzionalismo e il garantismo moderni.
Le funzioni fondamentali dello Stato liberale divengono quindi quelle di tutelare in modo eguale in tutti i cittadini la loro vita, libertà individuale e proprietà privata.
A Locke si contrapponeva Hume, 1711 – 1776, filosofo empirista che non credeva affatto ai diritti umani innati ma solo nella deducibilità dei diritti individuali e dell'unilateralità dei rapporti politici attraverso una logica utilitaristico-evoluzionista, anziché giusnaturalista e contrattualista.
Si potrebbe sostenere che in realtà questa querelle ad oggi non è mai sparita anzi a discapito delle tesi giusnaturaliste si sono avuti maggiori evoluzioni a sostegno della tesi empiristica.
A Conferma di tale alternanza, il tedesco Immanuel Kant espresse il suo credo liberale parlando di "libertà, uguaglianza e indipendenza" come dei principi che devono reggere uno Stato civile, e approfondisce nelle sue rinomate "critiche" l'aspetto epistemologico del pensiero illuminista in senso criticista.
Rimarchevole il contributo di Montesquieu (1689-1755), che nella sua opera Lo Spirito delle Leggi riprende il secondo punto fondamentale della dottrina Lockiana, ovvero la separazione dei poteri. Non fecero eccezione critiche a questi nuovi concetti che comunque cercavano la loro garanzia nella forza del contratto tra pubblico e privato.
Murray Newton Rothbard dal suo canto criticò fortemente la teoria del contratto sociale di Hobbes e dello stesso Jean-Jacques Rousseau; l'interpretazione del diritto naturale da lui data è alla base dell'anarco-capitalismo, teoria che propone la cancellazione di ogni autorità statale a fini liberistici (libertà assoluta), in ossequio al "mito" della capacità autonormativa del mercato, considerato metro di misura dei rapporti sociali e, quasi personalizzandolo, in grado di porre da sé le proprie regole e, quindi, il proprio ordine e, più in assoluto, l'ordine sociale (si pensi che vicino a questa teoria sono attualmente applicate molte scelte europeiste di mercato sulla grande concorrenza, dove, al fine di perseguire la piena attuazione della libera concorrenza di mercato, e contrastare l’elusione delle regole sulla libera concorrenza, sono sorti organi di controllo come l’antitrust, infatti alcuni autori come Smith che anche se si espresse con forza a favore di un commercio privo di dazi, in opposizione al mercantlismo imperante, egli non utilizzò mai questo termine; anzi, pose in evidenza il pericolo dell’emergere di pratiche collusive tra commercianti in un mercato non regolamentato. Lo stesso impianto teorico della concorrenza perfetta, su cui si basa la costruzione dell’equilibrio competitivo, dei teoremi del benessere e la formalizzazione della mano invisibile di Smith, riguarda un mercato ideale ma non privo di regolamentazione, o altri autori, l'economista Premio Nobel del 1974 Friedrich von Hayek definiva il socialismo “la via della servitù”, « Il commercio è un atto sociale. Chi porta avanti la vendita di beni alla collettività va a toccare gli interessi di altre persone e della società in generale; e perciò nel suo operato, in linea di principio, è sottoposto alla giurisdizione della società; le restrizioni del commercio o della produzione destinata al commercio, sono in effetti restrizioni; e in sé una restrizione è un male: ma le restrizioni in questione riguardano solo la parte della condotta umana che la società è competente a limitare, e sono sbagliate solo perché non producono in realtà i risultati che era loro obiettivo ottenere »). Negli stati di common law, si imponeva l'isonomia (eguaglianza di fronte alla legge: principio fondamentale della democrazia fino dalle esperienze politiche degli antichi Greci, nella filosofia epicurea, stato di equilibrio dell'universo in cui tutti gli elementi si rapportano gli uni agli altri secondo una legge di corrispondenza universale) giuridica attraverso quella della sentenze il positivismo giuridico valutava inutile il problema dell'interpretazione normativa.
Molte di queste riflessioni le rielaborava anche il normativismo positivista del (Kelsen) che teorizzò l'indipendenza del diritto positivo dal valore morale della conseguente attività giudiziaria (in favore dell'efficacia della norma), perché il giusnaturalismo liberalista vuole la norma fondamentale prevalere sulla legge ordinaria, e la giustizia morale coincidere col diritto.
Da qui Camillo Benso conte di Cavour, coniò il termine « Libera Chiesa in libero Stato » giacché si inizia a contraddistinguere un liberalismo religioso che si differenzia dal liberalismo politico. Ciò che contraddistingue il liberalismo economico in ogni epoca storica è la fede nell'esistenza di diritti fondamentali e inviolabili facenti capo all'individuo e l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (eguaglianza formale).
Il punto di vista dell'individuo e il godimento della libertà individuale è considerato il parametro valido per giudicare la bontà di un ordinamento politico/sociale. In quest'ottica i poteri dello Stato devono incontrare limiti ben precisi per non ledere i diritti e le libertà dei cittadini.
Ne può derivare, di volta in volta, il rifiuto dell'assolutismo monarchico, del clericalismo, del totalitarismo e in generale di ogni dottrina che proclama il sacrificio dell'individuo in nome di fini esterni a esso.
Pur combattendosi un’aspra lotta tra capitalismo e socialismo sullo sfruttamento della classe operaia e/o dei lavoratori i teorici fuggono dalla riflessione morale affievolendo i diritti umani o dell’uomo lavoratore rispetto ai diritti economici.
Il risvolto del liberalismo in materia religiosa poi è la laicità e la separazione tra Stato e Chiesa: La dottrina liberale, di conseguenza, è da intendersi laica in quanto chiede allo Stato di non interferire nelle scelte specificamente morali, queste infatti sono attribuite al libero arbitrio del singolo individuo: « Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo. »
Insomma, il liberalismo, diversamente dalle Teorie dello Stato per diritto divino o per diritto di conquista, è una teoria contrattualista, secondo cui il cittadino delega il potere ad uno scopo preciso e vincolato (la difesa dei diritti individuali). Perciò, i rapporti politici possono essere espressi esclusivamente per delega democratica. Non vi è altra modalità compatibile.
Tale contratto è però di tipo univoco, ovvero demandato dal popolo all'autorità, non biunivoco.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, si sviluppano altre teorie politiche che prenderanno il sopravvento nel secolo seguente. Il rigore epistemologico dell'illuminismo viene abbandonato, e viene appassionatamente sostenuta l'alienabilità dei diritti individuali in favore di generici diritti sociali. Il bene (non meglio identificato) della collettività (teorie collettiviste) o della nazione (nazionaliste) diventa l'obiettivo della politica. La necessità di sorvegliare l'autorità pubblica viene dimenticata completamente, perciò le nuove teorie sono tutte massimaliste. Un primo gruppo di critiche proviene dal nascente movimento socialista. Filosofi come Karl Marx ritengono che i diritti dell'uomo sostenuti dai liberali non sarebbero universali ma esprimerebbero le esigenze di una determinata classe sociale (la borghesia) in un determinato momento storico (il passaggio dal feudalesimo al capitalismo). Perciò le classi dominanti non riconoscerebbero a tutti i diritti politici e sarebbero pronte anche a rifiutare la libertà di parola e di espressione a chi va contro i loro interessi. L'eguaglianza formale proclamata dai liberali non sarebbe sufficiente: “la libertà politica senza eguaglianza economica è un inganno”. Marx nutre scarsa fiducia nella possibilità di strappare alla borghesia il potere economico che garantirebbe la piena emancipazione di tutti gli individui.
Il romanticismo, con la sua reazione contro l'illuminismo, critica l'universalismo liberale e mette al centro della politica l'idea di nazione che porterà all'idea della superiorità di un popolo sugli altri (ad esempio nel nazionalismo tedesco con le successive idee razziste).
La visione quasi sacrale dello Stato, inteso come espressione dell'eticità ("Stato etico") di Hegel, verrà usata contro il liberalismo, per dare una nuova giustificazione alla subordinazione dell'individuo al potere politico.
Critiche novecentesche verso il liberalismo, anche se in maniera via via più sfumata, saranno quelle della Chiesa cattolica. Anche quando accettano le regole del sistema liberale i primi partiti cattolici, che nascono all'inizio del XX secolo, si fanno portatori di una visione del mondo molto differente. Essi contrappongono all'individualismo liberale la visione di una società articolata in "corpi intermedi" e rapporti solidaristici. In materia economica, infatti, i suddetti partiti presentano programmi spesso socialmente avanzati, ripresi in parte da quelli socialisti e continuano a opporsi all'estensione delle libertà individuali, soprattutto nella sfera del diritto familiare.
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Questo excursus storico per dire che le norme legislative tendono a limitare, nella loro rilevanza precettiva, il carattere di assolutezza della libertà affinché possa essere una giusta libertà.
Ma quando è giusta?
Esiste una categoria di norme, chiamata “minimo etico”, indispensabile per regolamentare gli interessi individuali e quelli di rango generale. Il diritto inoltre attribuisce allo Stato dei poteri per garantire a tutti la civile convivenza nella pace e nella sicurezza (“minimo del minimo etico”). D'altra parte il concetto di libertà non può essere identificato unicamente con quello di liceità giuridica, fissandone i confini con tutti i comportamenti umani che non siano contra legem. Sarebbe infatti troppo comodo limitarsi a rispettare le leggi per poi fare tutto quello che non è espressamente proibito. Allora il metro per misurare risulta sempre lo stesso quello della coscienza del giusto che la norma deve contenere.    
In mancanza dove sarebbe la libertà? O l'evoluzione del pensiero liberale?
Crediamo invece che oggi si vive solo una distorsione dell’idea liberale, oggi tutte le scelte valgono allo stesso modo ma dove è la giusta verità.
Non c'è libertà (San G. Paolo II), senza cercare verità morali sulla persona umana e sulla comunità umana.
Se si parte dal relativismo le riflessioni sui danni derivati sono sotto gli occhi di tutti. 
Sul piano etico: se, come affermano i sostenitori del relativismo etico, vale il principio di equivalenza di ogni prescrizione morale, ciò non può non avere effetti esiziali sulla società; se infatti non esiste una verità/giustizia assoluta di riferimento in base a cui poter distinguere il bene dal male, allora tutto è lecito.
Allora, quanto ci prescrive il Cristo fa bene ai cattolici ma anche ai non cattolici perché ancora oggi nessuno riesce a contraddire i suoi valori e i suoi principi che sono il tessuto di innumerevoli disposizioni normative che vanno contro l’egoismo e la vanità/non verità che vanno verso rinunzie, donazioni, sacrifici, perdoni, solo questo può significare “cercare verità morali sulla persona umana e sulla comunità umana”. Sant Alfonso in questo ci aiuta, Alfonso guarda non solo alla coscienza che deve avere una legge ma per la sua applicazione vale anche il ruolo dell'avvocato che è quello di un soggetto chiamato a condurre l'uomo verso un agire responsabile e libero, e ciò, appunto nell’analisi del concetto di coscienza nella sua Theologia Moralis (1748), è sempre compito della norma giuridica stabilire un concreto legame con la morale.
Tale assunto prende il nome di “minimo etico” rilevando che ogni contenuto precettivo ha in sè anche un valore inscindibilmente morale.
Ed in un Europa dominata come oggi dal pluralismo giuridico e sociale è bene avere come punto di riferimento i valori della tradizione non negoziabili, solo guardando a tali valori sarà sempre possibili trovare nelle norme giuridiche non astratte considerazioni di natura scientifica bensì strumenti e fini di costruzione del bene comune.
Nel 1747, nel suo primo scritto teologico-morale, Alfonso, per dare un esempio come si attivasse la coscienza di una norma, si esprimeva in questi termini nei riguardi delle «bestemmie ai morti» considerate da alcuni come peccati mortali: «Le bestemmie son tali, o perché suonano così appresso tutti, o perché così le intende chi le proferisce. Domandate pure a chi bestemmia i morti, se ha inteso maledir le anime sante del purgatorio o del cielo, vi dirà tosto di no. Dunque se cosi la sente chi dice e chi ascolta, la bestemmia dov’è? … Seguendosi l’opinione contraria, si vengono a facilitare le colpe; perché la gente minuta, preoccupata da tal sentimento, crede, come ho trovato, dopo che hanno inteso esser peccato mortale, che sia peccato mortale bestemmiare ai morti, agli animali, alle piogge e venti ecc. I confessori devono impedire i peccati. Seguendo il mio sentimento, se ne impediscono moltissimi; perché essendo sì usuale tal bestemmia, oh quanto si moltiplicherebbero le colpe col pubblicar che sia colpa grave! Dunque, perché non si deve fare e tenere ciò che è si conforme alla ragione?» (Lettere, III, Roma 1890, p. 2). 
Questo ascolto sincero della vita è una componente fondamentale della «praticità» alla quale sant’Alfonso resterà sempre fedele. Essa non significa certamente superficialità o dimenticanza dei principi, ma capacità prudenziale di ascolto e di discernimento. Scrive nel 1765 difendendo il suo «uso moderato» dell’opinione probabile: «Benché la legge sia certa, non però le circostanze diverse che occorrono fanno che la legge ora obblighi ed ora non obblighi; giacché i precetti sono bensì immutabili, ma alle volte non comandano sotto questa o quella circostanza. Quindi… non vale il dire che le leggi son certe, perché, mutandosi le circostanze de’ casi, si rendono dubbie, e come dubbie non obbligano» (Dell’uso moderato dell’opinione probabile…, cap. III, n. 89, p. 199).
Non si stancherà perciò di ricordare ai confessori: «Chi niega che tutti i casi si hanno da risolvere coi principi? Ma qui sta la difficoltà: in applicare ai casi particolari i principi che loro convengono. Ciò non può farsi senza una gran discussione delle ragioni che son dall’una o dall’altra parte; e questo appunto è quel che han fatto i moralisti: han procurato di chiarire con quali principi debbano risolversi molti casi particolari» (Dell’uso moderato dell’opinione probabile…, cap. III, n. 89, p. 199). 
Questa “praticità” alfonsiana può apparire a prima vista lontana nel tempo. Lo è per quello che riguarda il linguaggio casistico di cui si serve. Non lo è invece per ciò che riguarda l’intuizione di fondo, che è profondamente evangelica: non è possibile ridurre la nostra preoccupazione per il bene solo a ciò che è detto dalle norme generali, che pure sono importanti; occorre invece che ci lasciamo costantemente interpellare dai bisogni che affiorano nelle diverse situazioni. Come il samaritano della parabola evangelica: a differenza del sacerdote e del levita, che procedettero oltre con indifferenza quando si imbatterono nell’uomo ferito e derubato dai briganti, egli «passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento lo portò a una locanda e si prese cura di lui» (Le 8,33-34).
Il Concilio Vaticano II ha affermato con forza: «E’dovere permanente della chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto» (Gaudium et spes, n. 4).
La giustizia cristiana non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro per un proprio interesse personale. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del “do perché mi diano”, in cui tutto è commercio. E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore. Questo non ha nulla a che vedere con la fame e la sete di giustizia. Tale giustizia incomincia a realizzarsi per i poveri e i deboli o gli indifesi: «Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,17). «Tutto quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt.7,12).
Il Catechismo ci ricorda che questa legge si deve applicare «in ogni caso» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 1789; cfr 1970.], (lo scritto seguente è ripreso dall’enciclica Gaudete e Exultate di Papa Francesco del 19 marzo 2018), in modo speciale quando qualcuno «talvolta si trova ad affrontare situazioni difficili che rendono incerto il giudizio morale» [Ibid., 1787]. Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto [La V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, secondo il costante magistero della Chiesa, ha insegnato che l’essere umano «è sempre sacro, dal suo concepimento, in tutte le fasi della sua esistenza, fino alla sua morte naturale e dopo la morte», e che la sua vita deve essere protetta «dal concepimento, in tutte le sue fasi, fino alla morte naturale» (Documento di Aparecida, 29 giugno 2007, 388; 464)]
Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente.