• L'Alternativa - ASSOCIAZIONE FORENSE BRINDISINA La pignorabilità del baco da seta - Lawyers’s Style

    Prima di mettere piede per la prima volta nella facoltà di Giurisprudenza eravamo persone comuni e parlavamo come tutte le altre.
    Prima di quel momento, per noi, la solidarietà era solo un nobile sentimento, la persona offesa metteva il broncio, l’attore recitava nei film, la presunzione era un difetto, l’incompetenza un’offesa, la prescrizione una ricetta medica, l’effetto purgativo era provocato dall’uso di lassativi, la locuzione mutatis mutandi probabilmente qualcosa che aveva a che fare con l’igiene personale. Ma da un certo momento in poi tutto è cambiato. E un nuovo mondo, con un nuovo linguaggio, nuove regole e nuovi valori, si è mostrato ai nostri occhi.
    A partire dalla mia generazione, e di seguito peggiorando, la maggior parte di coloro che si iscrivono alla facoltà di giurisprudenza lo fa con poca convinzione, spesso per scelta residuale. Molti di questi non cambieranno mai e resteranno così, un po’ indolenti ed un po’ apatici, e, infilando un esame dietro l’altro, arriveranno alla laurea, procedendo nell’esercizio della professione di avvocato con le medesime qualità.
    Ma può anche succedere una cosa strana. Può succedere che chi sceglie di essere un uomo di legge lo fa perché è affascinato dal diritto, perché vuole conoscerlo, capirlo e maneggiarlo. Il diritto, almeno quello che si studia sui libri, non delude mai coloro che sono mossi da questo slancio, persone pronte a recepire, ad assorbire e ad assimilare regole che rispondono al fine comune di fare giustizia.
    La giustizia è una valore umano prima ancora che giuridico. E, nonostante abbia mille sfaccettature, qualunque persona di buon senso, di buona fede, di buoni principi è in grado di dare a tale valore una misura oggettivamente valutabile.
    Come ad ogni altro valore umano, anche alla giustizia ci si può credere o meno. Ma se fa parte della propria natura diventa una propensione imprescindibile che, unita allo studio del diritto, produce solitamente il cosciente desiderio, la brama, l’aspirazione di diventare Avvocato. Anzi di essere un Avvocato.
    Gli studenti posseduti ed idealisti, ad un certo punto, iniziano a sognare. E immaginano… Immaginano e sognano, e idealizzano. Recepiscono con estrema facilità principi come la buona fede, la diligenza, la correttezza, perché già li adottano nelle azioni della vita di tutti i giorni. E immaginano, perché purtroppo gli idealisti spesso non brillano in concretezza, che tutti coloro che affrontano quel genere di studi, credono davvero ai principi ispiratori, applicandoli prima di tutto a se stessi.
    La prima volta che ho letto il codice deontologico degli avvocati sono rimasta perplessa: mi sembrava che dicesse cose scontate. La fedeltà, la probità, la rettitudine, la correttezza, il decoro, la lealtà.. mi chiesi, da praticante, perché qualcuno avesse sentito il bisogno di codificare questi valori elevandoli a doveri. Noi siamo gli avvocati, pensai, pratichiamo la giustizia, abbiamo studiato per questo. Non capivo che bisogno ci fosse di dettare agli Avvocati delle regole comportamentali talvolta veramente troppo ovvie per essere destinate ad operatori del diritto. Lo trovavo assurdo, al pari di come avrei travato assurdo un codice che imponesse ad un matematico di sommare due valori per compiere una addizione. Un non senso.
    Invece mi sbagliavo. Perché spesso, chiusi i codici, usciti dagli studi, terminata l’udienza, dismesse le vesti da difensore, dimentichiamo chi siamo e a quale categoria apparteniamo, e assumiamo atteggiamenti discutibili mentre dovremmo tentare di riappropriarci di un tono, un orgoglio, una fierezza che andiamo via via dissipando.
    E mi chiedo, dopo solo dieci anni di professione, perché all’università, anzichè farci perdere intere giornate a disquisire intorno alla pignorabilità del baco da seta, non insegnano quelle regole comportamentali e di stile che ci restituiscono l’onore di essere figli di Papiniano.
    Un sabato mattina di luglio, invece di andare al mare alla solita ora, mi sono recata presso uno studio notarile a firmare l’atto costitutivo di una associazione forense. Ammiravo le qualità del promotore, che si avvicina moltissimo all’immagine dell’Avvocato che, da studente, avevo costruito nella mente, mi piacevano gli intenti, e mi piaceva soprattutto l’idea di poter sperare in movimento, nel senso dinamico del termine, ossia di un qualcosa che smuove, stimola e risveglia.
    Vorrei fare qualcosa. Vorrei contribuire, ma non parlando di diritto nel senso stretto del termine. C’è chi lo saprebbe fare molto meglio di me. Vorrei fare qualcosa a mio modo, perché credo che ci siano tanti modi diversi per raggiungere uno stesso scopo. Mi piacerebbe, attraverso racconti, aneddoti, favolette, parafrasi, fumetti, poter denunciare, poter raccontare tra il serio e il faceto, tra il sarcastico e l’ironico, tra l’amaro, l’acido ed il comico, l’amarezza che spesso noi giovani Avvocati proviamo nell’assistere a tutto ciò che questa professione ci offre.
    Niente pettegolezzi, niente chiacchiere da bar come fine dell’iniziativa, ma solo un estremo bisogno di affermare, sottolineare e ricordare che siamo dei professionisti rispettabili e che intendiamo ribellarci ad un malcostume dilagante, ad una mediocrità infettiva che sta rovinando l’Avvocatura e, nello stesso tempo, riappropriarci dello stile e del decoro che ha contraddistinto la nostra categoria dai tempi dei romani fino a qualche decennio addietro.

  • °°° GLI AVVOCATI DEL SECONDO MILLENNIO.  
  • Come sono gli avvocati del secondo millennio? A quali caratteristiche corrispondono?? Domanda interessante… Mi sono seduta, virtualmente, su una di quelle terribili e scomodissime sedie posizionate nei corridoi del Tribunale di Brindisi e li ho osservati per lungo tempo. Perché quello che mi interessava era non tanto il momento specifico dell’esercizio della professione, quanto il riuscire a coglierli nell’esercizio della vita sociale.
    E ho avuto modo di constatare che il comportamento sociale degli avvocati consente facilmente di ricondurli alla loro famiglia di appartenenza, nel senso scientifico del termine, perché come accade in ogni altra comunità sociale, anche per gli Avvocati opera ineluttabile la legge di Darwin.
    In riferimento alla competizione tra individui, Darwin descrisse il concetto di "lotta per l’esistenza", che si basava sull’osservazione che gli organismi, moltiplicandosi con un ritmo troppo elevato, producono una progenie quantitativamente superiore a quella che le limitate risorse naturali possono sostenere, e di conseguenza sono costretti a una dura competizione per raggiungere lo stato adulto e riprodursi.
    Gli individui di una stessa specie si differenziano l'uno dall'altro per caratteristiche genetiche, morfologiche e funzionali, frutto dell'interazione del genotipo con l'ambiente. La teoria della selezione naturale prevede che all'interno di tale variabilità, derivante da mutazioni genetiche casuali, nel corso delle generazioni successive al manifestarsi della mutazione, vengano favorite quelle mutazioni che portano gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose in date condizioni ambientali, determinandone, cioè, un vantaggio adattativo (migliore adattamento) in termini di sopravvivenza e riproduzione.
    Gli individui meglio adattati ad un certo habitat si procureranno più facilmente il cibo e si accoppieranno più facilmente degli altri individui della stessa specie che non presentano tali caratteristiche.
    E’ dunque l'ambiente a selezionare le mutazioni secondo il criterio di vantaggiosità sopra descritto.
    Applicando questi principi al mondo degli avvocati, è facile rilevare come la teoria evolutiva abbia avuto come effetto la creazione di tre famiglie ben distinte: i penalisti, i civilisti e gli amministrativisti.

    I PENALISTI.
    Gli avvocati penalisti si riconoscono subito: sono i più “fighi” del foro e sono consapevoli di esserlo. Essendo continuamente sottoposti al rischio-intervista, essi sono sempre molto curati, ben vestiti, ben pettinati e profumatissimi. Quelli più all’avanguardia indossano perennemente gli occhiali da sole. Quelli appartenenti alla casta eletta li portano sfacciatamente specchiati.
    Sono disinvolti, aperti, socievoli, dotati di una dialettica impressionante e soprattutto, sono uniti da un comune denominatore: il loro cliente è sempre innocente nonché incolpevole vittima di un clamoroso errore giudiziario.
    Inoltre la loro fierezza è dovuta anche alla consapevolezza di essere l’unica manifestazione ancora vivente del classico trinomio, di origine più hollywoodiana che romana, avvocato-oratore-toga, adottato dalla collettività dei non addetti al settore con inquietante inclemenza.
    I penalisti hanno una rapidità di marcia impressionante. Tagliano i corridoi del Tribunale veloci come il vento, con la toga adagiata con fiera disinvoltura sull’avambraccio sinistro, salutando con fare quasi pontificale i fortunati avventori che riescono a coglierne la fugace visione.
    La meta della migrazione sono le aule penali. Anche le aule penali sono “fighe”. Infatti, a differenza di quelle civili, che sono più che altro stanze ad uso foresteria contraddistinte con un banalissimo numero, le aule penali hanno un nome, e non un nome comune di cosa, ma un nome proprio di persona.
    Una volta giunti a destinazione i penalisti si esibiscono in una “superfighissima” attività di udienza. Poiché l’unico soggetto con cui devono contraddire è inchiodato dietro l’apposito banco, essi attendono senza ansia e con ordine che arrivi il loro turno, dopodichè si levano con una certa imponenza al cospetto del Giudice, pure lui di toga-munito, e parlano al microfono mentre tutto intorno è un irreale silenzio.
    Si può in definitiva concludere che l’ allure che caratterizza i componenti della famiglia dei penalisti è dunque del tutto ragionevole e giustificata, anche perché essi possono fondatamente ambire ad essere elevati al rango, di creazione giornalistica, di SUPERPENALISTI, che si pone in netta contrapposizione con quello dei più sfortunati “minuscivilisti”, che la cronaca non trova particolarmente interessante.

    I CIVILISTI
    I civilisti si sono trasformati nel corso degli anni in categoria a forma libera. Si sono divincolati dall’uso della toga, probabilmente perché il pregevolissimo indumento li ostacolava nell’esercizio delle operazioni di trincea che sono consapevoli di dover affrontare nello svolgimento pratico dell’attività di udienza civile, che in compenso ha consentito lo sviluppo di un fiuto e di uno spirito di combattimento e/o resistenza quasi fuori dall’umano.
    Infatti il civilista è conscio, e quindi preparato, allo spettacolo a cui dovrà assistere varcando le porte dell’aula di udienza: file di anonimi banchi sommerse da una quantità indefinibile di fascicoli sparsi senza il minimo criterio logico ed una vasta quanto indistinguibile umanità, costituita da colleghi, parti, testimoni, ctu e spettatori occasionali, mescolati tra loro in maniera talmente abile da rendere impossibile qualunque identificazione a priori. L’unica persona che il civilista è in grado di individuare immediatamente è il giudice, ma solo per una questione di toponomastica: il Giudice sicuramente è quella persona seduta dall’altra parte del banco posto di fronte alle file parallele organizzate per gli avvocati.
    Le condizioni disumane in cui si svolgono le udienze civili hanno contribuito allo sviluppo del celeberrimo fiuto del civilista, fiuto che, contrariamente a quello che si può pensare, consiste nella capacità di reperire in quel mare magnum in tempi ragionevoli, possibilmente preservando una certa eleganza, il proprio fascicolo d’ufficio e la propria controparte. Inizia così una silenziosa attività investigativa e di ricerca, che spesso viene guidata dal puro istinto.
    Poiché spesso tale attività non produce risultati, il civilista che non si perde d’animo pensa bene di mutuare dagli artisti di strada la tecnica della “scultura umana” e resta impietrito ed immobile con il fascicolo in mano in attesa che la controparte venga a sè.
    Diversa e molto più libera è invece la tecnica utilizzata dal civilista per la ricerca dei testimoni, momento in cui è solito mettere per un attimo da parte la classica aplomb, che lo vuole in silenziosa indagine, per mettere in scena il più pittoresco richiamo utilizzato da alcune categorie di venditori ambulanti.
    Spesso costretto a dover cercare contemporaneamente fascicoli, controparti, consulenti, testimoni, il civilista, sottoposto ad uno stress disumano, manifesta ormai ontologicamente tutti i sintomi della sindrome dell’abbandono, lasciandosi andare a manifestazioni di visibile sconforto ogniqualvolta gli succeda malauguratamente di perdere di vista il recuperato senza giustificato motivo.
    Se gli avvocati sono i litigatori per definizione, i civilisti lo sono più degli altri per disgrazia ricevuta dal codice di rito. Essi, infatti, sono costretti a contraddire tra loro, prima ancora che col giudice, e quindi, a colpi di eccezioni, a volte molto fantasiose e non necessariamente codificate, si sfidano faccia a faccia all’ultimo sangue ed hanno sviluppato pertanto uno spirito combattivo a cui a volte ricorrono in prevenzione, non si sa mai…
    L’altra prova significativa, che contribuisce a temprare lo spirito del prode civilista, è costituita dalla cd “fila umana” che è costretto ad affrontare per poter conferire con il Giudice. Mentre in qualunque altro luogo pubblico, persino nei panifici e presso i banchi salumi dei supermercati, ci si è ingegnati per trovare un sistema atto ad evitare la calca disumana e disorganizzata di persone che attendono il proprio turno, ai civilisti non è consentito esimersi: trattasi in realtà di una delle continue verifiche dello stato psicofisico del civilista, il quale procede nella propria vita professionale solo finchè è in grado di sopportare tutte queste insidie ovvero finchè non sarà all’altezza di avere dei praticanti.
    Nonostante l’ambiente ostile in cui è obbligato a vivere, il civilista presenta comunque delle ottime potenzialità di relazione, che coltiva con profitto e dedizione nelle parentesi di tempo tra un round e quello successivo, nonché, alla fine dell’incontro, nei corridoi del tribunale o, meglio ancora, al bar del piano terra.

    L’AMMINISTRATIVISTA.
    A differenza delle altre due, l’amministrativista è una specie solitaria, vive in branchi e socializza solo con i propri simili.
    Quando si aggira per le aule del Tribunale Ordinario lo si riconoscere immediatamente per il fatto che indossa copri scarpe, guanti in lattice e mascherina protettiva. Del resto come dargli torto.. le strategie di prevenzione sono fondamentali al fine di evitare il contagio.
    Poiché il Suo antagonista predestinato è nientemeno che Suaeccellenzalapubblicaamministrazione, egli sa bene che, nella sua vita professionale, molto probabilmente non sarà mai costretto a scendere negli inferi delle umane bassezze.
    Infatti l’amministrativista, più che combattere, tira di scherma. Inchino ad inizio partita e tutto procede, secondo la sua elegantissima visione, a colpi di fioretto tecnicamente perfetti e ritmicamente organizzati.
    Ma le sue regole cortesi non valgono nel Bronx. Infatti, quando è costretto perché proprio non può farne a meno a mettere piede nel Tribunale Ordinario (aggettivo che lo infastidisce epidermicamente), dopo aver tentato un paio di colpi di fioretto, si rende conto di trovarsi su un ring e così, intelligentemente, sventola bandiera bianca su cui, di solito, appone la scritta “ non è che cedo, è che sono un amministrativista”, messaggio di resa solo apparente che maschera invece una impellente necessità di tornare nel mondo dorato dei tiratori di scherma.
    L’amministrativista si esprime appieno solo nel proprio habitat, il TAR, che, sempre per motivi di incolumità e prevenzione, si trova collocato a debita distanza da quello degli appartenenti alle altre due famiglie.
    Per i comuni mortali il TAR è una specie di Walhalla, una leggenda metropolitana.. tutti sanno che esiste, ma ben pochi possono dire di averlo visto davvero.
    La vita sociale degli amministrativisti si svolge in larga parte nei luoghi comuni del Regno, ossia le sale d’attesa, ove aspettano educati, raffinati ed eleganti, orgogliosi di essere convocati al cospetto del collegio degli Eccelsi.
    Gli amministrativisti usano discorrere tra di loro amabilmente ed educatamente, e poiché il loro cervello è tarato esclusivamente soprasoglia, essi sono programmati solo per comprendere discorsi da un certo livello in su. E’ dunque inutile cercare di socializzare con un amministrativista raccontando una storiella o una banale barzelletta: trattasi, infatti, di informazioni sottosoglia, non capiranno.
    L’educato, quasi musicale, brusio costituito dal chiacchiericcio prodotto dagli amministrativisti in conversazione viene, di tanto in tanto, interrotto dall’ingresso in sala dei capobranco, solitamente attorniati da uno stuolo di amministrativistini che li inseguono estasiati. Tale ingresso, come ogni altro avvenimento degno di nota, merita un minuto di rispettosissimo raccoglimento.
    L’aula di udienza degli amministrativisti è caratterizzata da una autorevolissima cupezza. Immersa in un silenzio quasi claustrale, si svolge lunga, buia, con una navata centrale e due laterali che terminano con le file dei banchi dietro cui gli amministrativisti hanno facoltà di parola e in fondo, molto in fondo, ma proprio molto molto in fondo, più in alto, molto in alto, ma tanto tanto in alto, siedono i Supremi, Eccellentissimi, Superbi GIUDICI AMMINISTRATIVI.
    I GIUDICI AMMINISTRATIVI sono perfetti. Sono la perfetta incarnazione di come ogni giudice dovrebbe essere. Hanno la faccia da giudice, il tono della voce da giudice, il modo di gesticolare da giudice, anche il cognome da giudice.. cognomi importanti e altisonanti, a partire da Serbelloni Mazzanti Viendalmare in poi…
    Stare al loro cospetto è un onore riservato a pochi. Essi promanano potenza ed la loro imponenza produce, come effetto inconsapevole, un timore riverenziale che si diffonde per via aerea.
    Personalmente li ho anche sognati di notte..
    Forse è per questo che gli amministrativisti sono così seri e pacati. Gli studiosi sostengono che, in realtà gli amministrativisti abbiano adottato l’isolamento come arma di difesa, non riuscendo a superare il trauma causato dal fatto che tutti ridono delle barzellette e loro no. Poiché però è scientificamente dimostrato che l’isolamento porta all’estinzione della specie, è in fase di sperimentazione una sistema per tentare di far sorridere gli amministrativisti, sistema basato su disegni e segnalazioni luminose.
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    Esiste infine la categoria trasversale degli Avvocati che l’istinto di sopravvivenza ha portato ad essere tuttologhi. A sentir loro, sono esperti in tutto… Leggono il codice civile mentre bevono il caffè a colazione, sfogliano il codice penale dopo pranzo, subito dopo i quotidiani, e la sera, prima di dormire, danno una ripassata ai codici amministrativi..
    Essi hanno il dono di essere camaleontici, e sono capaci di assumere le caratteristiche peculiari delle specie sopra descritte a seconda della materia che devono trattare nel caso concreto..
    Hanno anticorpi resistentissimi, capaci di sconfiggere ogni virus che ne minacci la riproduzione.
    Sono in corso ricerche scientifiche volte a studiare la genesi della eccezionalità di alcuni cervelli, che tutti gli altri colleghi invidiano visibilmente.
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    ….. tutto questo con spirito e simpatia, solo per sorridere un po’ .
    Spero che nessuno se ne abbia a male.

    Angela Petrosillo.
    Socio fondatore de L’Alternativa – Associazione Forense Brindisina.
    www.associazioneforenselalternativa.it

    (N.B. la riproduzione e diffusione del presente scritto sono consentite purchè ciò avvenga unitamente al nome dell'autrice, l'indicazione della sua qualità di socio fondatore de L'Alternativa e l'url del sito web dell'associazione. In difetto di tali indicazioni, la diffusione e/o riproduzione sono da considerarsi vietate.)