Le origini dell’evoluzione della specie “AVVOCATO”. Ovvero come tutto ebbe inizio.

Se è vero che la specie avvocato ha subito nel corso dei secoli una inquietante evoluzione

(o, per meglio dire, involuzione), è altrettanto vero che la cosa è dipesa in larghissima misura dalla interazione con l’ambiente esterno, nonché con le altre specie con cui è costretta a convivere ed a rapportarsi.

Appare, dunque, rispondente a un doveroso criterio di umana indulgenza richiamare, questa volta, un’altra branca della scienza, l’etologia, al fine di evidenziare che alla detta involuzione ha sì contribuito la componente istintività, ma anche e soprattutto la necessità di rispondere in modo flessibile alle situazioni che nascono dalla necessaria interazione con altre specie, con cui l’avvocato è ontologicamente tenuto a entrare in contatto.

Perché, diciamoci la verità, se gli avvocati del secondo millennio sono diventati quello che sono non è solamente colpa loro, giacchè, come insegna Freud, le modificazioni in pejus degli individui spesso non sono altro che il prodotto di meccanismi di difesa e/o di protezione dalle pressanti ed eccessive sollecitazioni provocate dalle altre gravitanti specie, che, loro malgrado, non sono capaci, o non possono più, di sopportare.

E questo è un dato di fatto.

Orbene, la prima categoria di interesse della moderna etologia forense è costituita dai

MAGISTRATI

che, per esigenze di par condicio e giustizia, distingueremo pure in categorie o gruppi o famiglie.

1.       Il Magistrato propriamente detto

La prima categoria in trattazione è forse l’unica che non ha in alcun modo contribuito a creare il disadattamento dell’avvocato del secondo millennio.

Anzi.

L’avvocato spera, anela, ambisce, sogna, desidera, agogna, brama di avere a che fare con un M.P.D., il quale è, solitamente, persona corretta, preparata, rispettosa e collaborativa e, per l’avvocato avere a che fare con un membro di tale categoria è un vero e proprio piacere, poiché è garanzia di equità, di valida e giusta collaborazione, di seria applicazione della giustizia, se del caso anche sostanziale.

L’avvocato che entra in relazione con un M.P.D. si riconosce subito poiché marcia verso l’aula di udienza con fare ilare e tranquillo e sul volto impressa un vaga espressione di beatitudine e serenità fanciullesca.

 Egli si fida ed accetta ogni decisione, anche quella sfavorevole, con onore, perché in fondo al suo cuore sa che perdere quando si ha torto… ci sta tutto !.

Potremmo, dunque, ragionevolmente affermare che se tutti i magistrati appartenessero a questa categoria probabilmente gli avvocati sarebbero una specie più felice, meno aggressiva e disadattata e, di certo, molto molto più appagata.

2.       Il sacerdote

“Volemose tutti bene” è l’unica e sola norma imperativa applicata  nelle aule governate dal Magistrato Sacerdote, a cui pare sfuggire completamente uno dei concetti cardine del diritto processuale: quello per cui se le parti si trovano al suo cospetto è perché tra di loro è insorta una lite che non hanno la minima intenzione di comporre.

Cercare di far valere le proprie ragioni dinanzi al Magistrato Sacerdote e’ una utopia: l’unica prospettiva in cui ragiona è quella della eterna fratellanza tra i consimili, perciò ogni volta che gli chiederete l’emissione di un provvedimento, quasi certamente  cercherà di dissuadervi, ritenendo tale vostro atteggiamento (che ogni altro operatore del diritto avrebbe definito ragionevole e fondato) inutilmente intransigente, nonchè del tutto contrario ai canoni della collaborazione, della fede e dello Spirito (Santo), che impongono il dovere di una bonaria composizione della controversia anche se la controparte ha demolito di prepotenza l’unica casa di abitazione del vostro assistito, forato le ruote della sua macchina, sequestrato il cane e tentato di dare fuoco a sua suocera.

Quando riesce nel suo intento conciliativo, il Sacerdote pronuncia i suoi beati provvedimenti con la braccia aperte e lo sguardo volto verso il cielo, certo di avere applicato la somma giustizia divina ed aver così salito un gradino in più della scala virtuale verso la gloria eterna.

Alla fine dell’udienza invita le parti a scambiarsi il segno di fratellanza e conclude il suo intervento con la locuzione “la messa è finita: andate in pace”.

 Chi ritiene, in virtù dei predetti atteggiamenti, che il Magistrato Sacerdote sia uno spirito puro che detesta l’ostilità, provi a contraddirlo o a costringerlo a pronunciarsi secondo principi di giustizia più o meno terrena, poichè è in quell’esatto istante che il Sacerdote, dimenticando miracolosamente i principi ecumenici che ha tanto cercato di applicare, si  leverà imponente e, puntando il dito contro colui che ha osato avanzare una simile eretica istanza, diverrà un implacabile punitore e farà pentire amaramente il malcapitato per averlo obbligato a fare applicazione della legge terrena.

O, forse, chi lo sa, per averlo costretto a studiare la causa…

Amen.

3.       Il competitivo/paranoico

Il Competitivo/paranoico soffre in maniera patologica il rapporto con gli avvocati.

Gli studiosi non hanno ancora scoperto se tale atteggiamento sia l’effetto di violenti attacchi di megalomania e snobbismo, oppure se, al contrario, sia una reazione di rigurgito verso la propria dipendenza ministeriale.

Fatto sta che il risultato è a dir poco inquietante.

Il competitivo/paranoico, infatti, denigra evidentemente il lavoro dei poveri professionisti e, quando può, li tratta come scolaretti.

E’ spesso nervoso e scostante, è sempre sulla difensiva e prende ogni obiezione sollevata come un affronto personale.

Ovviamente così non è quasi mai,  solo che, come direbbero gli psicologi, egli “proietta” e, in conseguenza di tale proiezione, reagisce, offendendosi!

Altra caratteristica peculiare del competitivo/paranoico è la tendenza a regolare l'attività di udienza secondo formalità inutilmente rigide, tese ad inchiodare tutti gli avvocati nella propria aula a tempo indeterminato, affinchè egli possa percepirli quasi come valvassini alla propria corte, mentre è solo in presenza di vassalli, ossia di avvocati più blasonati, che il Competitivo/paranoico dimostra una parvenza di mansuetudine…. Ma, badate ben, solo parvenza.

Egli esprime la massima soddisfazione al momento della stesura della sentenza e, precisamente, del capo relativo alla liquidazione degli onorari spettanti ai difensori, allorquando, anche a fronte di controversie ultradecennali, accorda imbarazzanti e simboliche cifre che paiono più che altro espresse in sesterzi, senza conversione in euro  ed al netto di rivalutazione ed interessi.

Tutto ciò non è altro che la rappresentazione allegorica della sua filosofia relazionale, che si esprime efficacemente con la più nota espressione del Marchese del Grillo “io so io, e voi non siete un ………….. (omissis)”. 

Intimamente, il suo sogno più ricorrente è quello di poter, un giorno o l’altro, avere il coraggio di stendere un provvedimento di tal fatta: “liquidO (perché trattasi per l'appunto di soddisfazione personale) gli onorari spettanti al difensore della parte vittoriosa nella seguente misura:  una forma di caciocavallo, 3 kg di patate  ed un cappone . Ma vivo (che fa pure compagnia)”.

L’avvocato non reagisce mai bene alla lettura di simili provvedimenti : in un primo momento, macina una vasta gamma di irripetibili considerazioni dirette all’autore, dopo di ché si mette in discussione e vaglia l’ipotesi di cambiare mestiere (questo succede praticamente sempre).

Infine, attingendo alla sua (residua) dignità, decide di non raccogliere la provocazione e conclude con un perentorio “Ringrazio il Dottore, rifiuto l’offerta e vado avanti”.

Davanti alla Corte d’Appello, incrociando, comunque, le dita…

4.       Il pragmatico

Il pragmatico si interessa delle norme giuridiche e, soprattutto, processuali, solo nella misura in cui la loro applicazione porta ad agire con profitto e velocità.

Egli, infatti, usa tralasciare inezie formali e procedurali a vantaggio della pratica utilità.

Il pragmatico garantisce una prestazione avente un termine finale essenziale prestabilito e su questo elemento di partenza costruisce a ritroso l’iter procedimentale da adottare, sfoltendo le cadenze processuali e, bisogna dirlo, a volte tutti i torti non li ha.

Di fronte al pragmatico, gli avvocati sono continuamente sottoposti all’ansia ed al trauma dell’effetto sorpresa, non potendo ripararsi nel caldo, comodo e rassicurante procedimento codificato.

Non se ne parla nemmeno.

Perchè tutte quelle regole che sono stati costretti a studiare ai tempi dell’università (diversamente chiamate diritto processuale civile) di colpo PUFFFF ! ... non valgono più.

O quantomeno non valgono sempre. O comunque non valgono come pensavano che valessero.

Insomma ci siamo capiti.

Gli avvocati non sempre prendono male queste iniziative.

Diciamo che la reazione dipende da chi se ne giova.

E poi … Che questo modus operandi sia condivisibile o meno sotto un profilo sostanziale, la vera domanda che, in quanto avvocati, si pongono è se e quanto sia legittimo.

Un quesito border-line al confine tra l’amletico e l’ovvio …. cui Donnie Brasco, ed io con lui, risponderebbe : “ma che te lo chiedi a fare?”.

5.       Il salomonico anelastico

In netta contrapposizione con il pragmatico è il salomonico anelastico.

Costui applica il diritto alla lettera. Non ci si può sbagliare.

Per lui l’analogia è un anatema.

Una volta reperita la disposizione, sempre che ci riesca, la applica ferocemente.

Voi direte, e che c’è di meglio??? Ed anche questo è vero.

Ma a volte ci vuole un po’ di buon senso, diciamoci la verità.

Richiamerei, a titolo esemplificativo, un singolare provvedimento che ha ordinato (sia pure legittimamente) la demolizione del solo piano terreno di uno stabile composto da due livelli senza nemmeno imporre la realizzazione di un sistema di funi che, a partire dalla volta celeste, sia in grado di sorreggere l’abitazione rimasta sospesa a tre metri da terra.. non si può…

            A meno di non voler applicare il diritto di Houdinì, che non mi pare ci fosse tra le materie di esame…. Ma sicuramente ricordo male…

6.       il Ponziopilato

Il Ponziopilato si caratterizza per la sua avversione epidermica nei confronti del provvedimenti interdittali anticipatori.

Fosse per lui, abrogherebbe tutti quegli antipaticissimi, fastidiosissimi istituti che consentono agli avvocati di chiedere provvedimenti urgenti in corso di causa.

Perché decidere prima quando si può comodamente decidere dopo?? Perché??

Anche quando la richiesta è fondata, anche quando non ci sono ragioni giuridiche di sorta per respingere, anche quando la richiesta è supportata da granitica giurisprudenza, nemmeno in punto di morte il Ponziopilato concede un simile provvedimento.

La sua azione preferita (che poi corrisponde esattamente all’impulso fisiologico che provano gli avvocati a cui viene dato torto anche quando hanno ragione) è RIGETTARE e, per motivare le proprie decisioni, egli si preoccupa di andare a scartabellare tutta la giurisprudenza, da Eneo Domizio Ulpiano in poi, pur di trovare quell’unico, solitario e triste precedente (perché c’è sempre un unico solitario e triste precedente contrario) che gli consenta di motivare il suo rifiuto.

Chissà cosa farebbe il Ponziopilato senza quel precedente … probabilmente sfuggirebbe alla decisione anticipata col classico “Avevo mal di testa e non ho potuto studiare : rigetto lo stesso”.

Tiè!

7.       il saccente inaudita altera parte.

Una delle peggiori disgrazie che possano capitare ad un avvocato è che la trattazione della propria causa venga assegnata ad un Giudice Saccente.

Probabilmente ispirato da oscure divinità, il Saccente forma il proprio convincimento con la sola imposizione delle mani sulla copertina del fascicolo.

Di talchè, egli resta totalmente indifferente rispetto alle argomentazioni offerte e spesso anche agli esiti dell'istruttoria.

Siede fiero sulla propria poltrona, con perenne atteggiamento di assoluta astrazione e di apparente disinteresse  rispetto a tutto ciò che lo circonda.

Quando gli avvocati discutono, egli finge di non ascoltarli e, pertanto, non li guarda.

Di solito, in quel mentre, egli scruta con particolare attenzione il soffitto dell’aula di udienza, scandagliandolo centimetro per centimetro ed evitando accuratamente di incrociare nella traiettoria qualche forma di vita, e quando vuole fare proprio il vago, si accarezza il mento con il pollice e l’indice  della mano destra.

Vi è poi la variante del Saccente, che, invece, volge lo sguardo verso un punto fisso geometricamente riconducibile, che corrisponde alla precisa metà della linea immaginaria che segna la distanza tra i due difensori e, se sono più di due, risolve il problema guardando fissamente il verbale di udienza.

            Nonostante tutto, però, il saccente riesce a creare legittimamente negli avvocati l’aspettativa del contraddittorio. Ed è bravissimo in questo.

 Li lascia parlare, non li interrompe mai ed i poveretti, illudendosi che possa servire, si affannano ad esporre, ad argomentare, ad eccepire liberamente ed illimitatamente.

            Un sogno … che si infrange miseramente allorquando il Saccente, all’esito della accesa discussione, esordisce dicendo “c’è una crepa nel soffitto che ieri non c’era.. E’ inutile. Non ci sono più i Tribunali di una volta…”

8.       Il tronfio

Il tronfio vive la carica in maniera, diciamo così, molto coreografica.

Ama stare lì, seduto ed adorato, si piace al punto che, potendo, riempirebbe l’aula di specchi per potersi rimirare, ascolta, annuisce e ogni tanto interviene.

Solo quando non può più evitare di entrare in contatto con la realtà (lavorativa) inizia a sentire il peso del suo ruolo e così, si impegna, si concentra, e pensa, pensa, pensa...pensa, pensa, pensa… ed alla fine SI RISERVA!

A questo punto, è doverosa una partizione all’interno della categoria tra :

 - il “tronfio a ragion veduta” e

 - il “tronfio vacante o soffiato”.

Il “tronfio a ragion veduta” suole interrompere il proprio autocompiacimento con brevi, ma intensi, momenti di presenza, nel corso dei quali egli tende a focalizzare il nocciolo della questione e vi riesce.

Lo si riconosce facilmente anche dalla dimestichezza con cui consulta il fascicolo e, in particolare, dalla attitudine naturale ad individuare solamente i documenti e gli atti cruciali, che gli consentono di inquadrare velocemente l’oggetto della controversia.

 Quando dirige l'udienza dando la parola agli avvocati è capace di captare con bravura quasi metafisica le poche parole chiave che gli consentono di acquisire le informazioni rilevanti con il minimo sforzo.

(In caso di uso della toga i movimenti saranno quelli di ristemazione frequente della spallina attraverso la classica botta di scapola).

Il tronfio a ragion veduta usa l'istituto della riserva per approfondire lo studio della causa e per partorire, solitamente, provvedimenti molto articolati ed esaustivi.

In conclusione, si può affermare che il tronfio a ragion veduta è sì tronfio, ma, in fondo, poco poco se lo può permettere. La verità.

Il “tronfio soffiato o vacante” solitamente parla ad altissima voce e ama elargire perle di diritto lapalissiane e spesso del tutto disancorate dalla quaestio iuris sottopostagli.

Tale atteggiamento si fa più ricorrente in presenza delle parti o, meglio ancora, se tra i presenti in aula  scorge avventori occasionali, solitamente sensibili e facilmente impressionabili.

In questi casi, il tronfio soffiato, per reazione allo sguardo attonito degli avvocati all’ascolto, ama farli passare per inetti davanti alle parti, pronunciando il classico “Lei, avvocato, dovrebbe saperlo”, solitamente con il dito indice che compie movimenti circolari costanti.

(In caso di uso della toga, il tronfio soffiato tende a plasmarla su di sè, avvolgendola a mò di doppiopetto).

Se la singolarità della specie fosse solo di natura, diciamo così, espressiva, o per meglio dire rappresentativa, ci si potrebbe limitare a coglierne semplicemente l’aspetto goliardico, che fa pure simpatia.

In realtà così non è, perché accade spesso che, per non tradire la coerenza rispetto ai famosi principi tuonati in presenza delle parti, il tronfio (vacante o soffiato che sia) si trovi costretto ad assumere eretici provvedimenti mannaia, solitamente non codificati, né in alcun modo codificabili e quindi, a riservarsi al fine di reperire - ex post - le argomentazioni giuridiche che supportino le summenzionate “perle” con cui si è già compromesso in pubblica udienza.

Chiaramente non sempre il metodo induttivo utilizzato dal tronfio consente di raggiungere risultati intellegibili… ahimè…

°°°

           

Tutto ciò, e molto altro, è costretto a sopportare quotidianamente il sensibile Avvocato, che magari fa finta di niente, ma tutto vede e tutto capisce, il che non è sempre un bene.

E’ un mondo difficile il suo, è inutile dire di no.

Ed è anche piuttosto normale che ne venga fuori leggermente traumatizzato…

            Soprattutto se si pensa che, una volta arrivato a studio, ha a che fare con I CLIENTI…..

            Segue….

            Mai come questa volta mi auguro che tutto ciò venga letto con lo spirito giusto… e comunque, cautelativamente, chiamo in correità le mie muse ispiratrici Maria Rosaria Mazzeo e Maria Grazia Fasanella (partecipante attivissima nel reato associativo), nonchè  Gianluca Attolini, coautore de “il Tronfio”. Angela Petrosillo www.associazioneforenselalternativa.it
(N.B. la riproduzione e diffusione del presente scritto sono consentite purchè ciò avvenga unitamente al nome dell'autrice, l'indicazione della sua qualità di socio fondatore de L'Alternativa e l'url del sito web dell'associazione. In difetto di tali indicazioni, la diffusione e/o riproduzione sono da considerarsi vietate.)