La recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 16077 del 26 giugno 2013 è intervenuta sancendo un importante principio riguardante la cd. agevolazione prima casa in tema di imposta di registro.
La fattispecie posta all’attenzione dei giudici di legittimità riguardava un contribuente che aveva ricevuto per donazione un immobile adibito ad abitazione principale, immobile successivamente rivenduto prima del quinquennio. Entro un anno dall’alienazione, il contribuente aveva tuttavia ricevuto in donazione un altro immobile adibito ad abitazione principale.
Secondo l’Ufficio, il contribuente sarebbe decaduto dall’agevolazione prima casa in quanto avrebbe venduto l’immobile prima del decorso dei 5 anni dall’acquisto senza procedere ad un nuovo riacquisto entro l’anno dall’alienazione. Secondo l’Agenzia delle Entrate, in particolare, per atto di “riacquisto” è da intendere necessariamente atto a titolo oneroso. La donazione ricevuta dal contribuente non potrebbe, dunque, impedire la revoca dell’agevolazione fruita in relazione al primo acquisto.
La tesi esposta in giudizio dall’Ufficio trova conforto in alcuni atti di prassi dell’Amministrazione finanziaria e in particolare la circolare n. 6 del 26 gennaio 2001e larisoluzione n. 125 del 3 aprile 2008.
Ebbene, il quesito posto all’esame della Suprema Corte dal parte del contribuente-ricorrente era il seguente: “se l’art. 1 della Tariffa Parte I allegata al dpr 26.04.1986, n. 131 e la relativa nota II-bis, comma 4, concernente la perdita dell’agevolazione per l’acquisto della ‘prima casa’ consenta di ritenere che l’acquisto effettuato entro l’anno dall’alienazione dell’immobile acquistato per atto di donazione con i benefici ‘prima casa’ debba necessariamente avvenire a titolo oneroso ovvero se possa assumere valore esimente anche l’acquisizione a titolo gratuito”. 
La Corte di Cassazione, nella sentenza, rileva come l’art. 1, Nota II-bis, punto n. 4, primo periodo, della Tariffa Parte I allegata al DPR n. 131/1986, quando si riferisce all’alienazione realizzata prima del decorso dei 5 anni dall’acquisto, richiama espressamente sia gli atti a titolo oneroso sia gli atti a titolo gratuito. Ed infatti la disposizione recita: “In caso di dichiarazione mendace, o di trasferimento per atto a tiolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine dei cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte”.
Ora, quando lo stesso articolo, all’ultimo periodo, ai fini del mantenimento dell’agevolazione, si riferisce all’atto di riacquisto avvenuto entro 1 anno dall’alienazione di cui supra, non vuole riferirsi ad un atto avente necessariamente titolo oneroso. Ciò in quanto, afferma la Corte, il termine “acquisto” sta ad indicare sia atti a titolo oneroso sia atti a titolo gratuito. Il predetto termine, infatti, nulla dice in merito alla onerosità del contratto stipulato, facendo solo riferimento agli effetti reali del contratto.
Ad ulteriore conforto di quanto affermato dalla Corte di Cassazione, vi è da aggiungere un altro argomento ricavabile da una lettura congiunta del primo e dell’ultimo periodo del punto n. 4 della Nota II-bis. L’ultimo periodo, infatti, stabilisce che l’agevolazione viene mantenuta “nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”.
Ebbene, il termine “alienazione” non può che fare riferimento al “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili” di cui al primo periodo del punto n. 4 della Nota II-bis. Si tratta cioè dello stesso atto che, per una mera scelta di stile, nel primo periodo, viene definito “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili”, mentre nell’ultimo periodo viene definito “alienazione”.
Se è così, il termine “acquisto”, utilizzato dal legislatore per indicare l’atto di riacquisto ai fini del mantenimento del beneficio prima casa, non può che essere interpretato secondo gli stessi canoni utilizzati per il termine “alienazione”. Infatti, i due termini “alienazione” ed “acquisto” sono speculari. Pertanto, anche il termine “acquisto”, al pari di quello “alienazione”, sta ad indicare sia atti a titolo oneroso sia atti a titolo gratuito.
Non si vede, infatti, perché il termine “alienazione” debba riferirsi sia agli atti a titolo oneroso sia agli atti a titolo gratuito, mentre il termine “acquisto”, che è uguale e contrario, debba essere limitato ai soli negozi onerosi. 
Sulla scorta di quanto detto, vi è da dire che se il legislatore avesse voluto interpretare il termine “acquisto” come acquisto a titolo oneroso lo avrebbe detto in maniera espressa. Dello stesso avviso è lo studio del Consiglio Nazionale del Notariato, «Commissione Studi Tributari», Studio 18 marzo 2005, n. 30/2005/T, par. 3.3, secondo il quale “altro problema è se il riacquisto possa essere a titolo didonazione. La lettera della legge non sembra escluderlo, perché parla di ‘acquisto di altro immobile’ senza ulteriore specificazione”.
L’ulteriore argomentazione della Corte di Cassazione si fonda sulla norma di cui all’art. 7 della legge n. 488/1998, la quale stabilisce che “Ai contribuenti che provvedono ad acquisire, a qualsiasi titolo, entro un anno dall’alienazione dell’immobile per il quale si è fruito dell’aliquota agevolata, prevista ai fini dell’imposta e di registro e del’imposta sul valore aggiunto per la prima casa, un’altra casa di abitazione non di lusso, in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, è attribuito un credito d’imposta fino a concorrenza dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato”.
Come stabilito dalla Suprema Corte, il credito di imposta previsto dalla norma supra riportata non avrebbe senso nell’ipotesi in cui il successivo atto di riacquisto fosse solo a titolo oneroso. La norma, infatti, concede il credito d’imposta in relazione all’imposta di registro pagata su atti di acquisto, avvenuti entro un anno dall’alienazione dell’immobile, “a qualsiasi titolo”. 
Ora, accedendo alla tesi dell’Agenzia delle Entrate, il riferimento agli atti “a qualsiasi titolo”, inserito nell’art. 7, non avrebbe senso in quanto nello stesso articolo il legislatore specifica che l’acquisto dell’immobile, poi alienato, deve avere fruito dell’ “aliquota agevolata”. Inoltre, il credito d’imposta è concesso “fino a concorrenza dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato”. Ancora, nel secondo comma, viene detto che “il credito d’imposta di cui al comma 1 può essere portato in diminuzione dell’imposta di registro dovuta sull’atto di acquisto agevolato che lo determina”. 
Sulla base del descritto dato normativo, aderendo alla tesi dell’Agenzia delle Entrate si avrebbe il paradosso per cui l’immobile prima casa ricevuto in donazione non potrebbe mai fruire del credito di imposta in quanto l’immobile precedentemente acquistato perderebbe l’agevolazione. Ma tale tesi si porrebbe in contrasto insanabile con la lettera dell’art. 7 che parla chiaramente di atti di riacquisto “a qualsiasi titolo”. 
La stessa Amministrazione finanziaria, peraltro, si pone in contraddizione con sé stessa nel momento in cui, nella circolare n. 19 dell’1/03/2001, par. 1.2, afferma: “il credito di imposta non compete a coloro che:
-         acquisiscano un immobile non avente le caratteristiche richieste dall’art. 1 della tariffa, parte prima, del testo unico dell’imposta di registro e in assenza delle condizioni enunciate dalla nota II-bis allo stesso art. 1; quindi, coloro che nell’acquisto dell’immobile non usufruiscono ovvero decadono dal beneficio della aliquota agevolata”.
E’ da aggiungere che la tesi dell’Ufficio, come visto respinta con argomentazioni corrette da parte della Corte di Cassazione, si fonda su un ulteriore argomento, non analizzato tuttavia dalla sentenza in commento. Infatti, nella circolare n. 6 del 26 gennaio 2001 l’Amministrazione finanziaria così si esprime: “si ritiene che il mancato riacquisto a titolo oneroso dell'immobile da parte del contribuente configura l'ipotesi di decadenza dalla agevolazione prevista dal richiamato comma 4 della Nota II-bis all'art. 1 della Tariffa, Parte I, del Testo Unico dell'imposta di registro, in quanto, ai fini della disposizione sopra richiamata, la causa di esclusione dalla decadenza trova giustificazione nell'investimento necessario per acquistare un nuovo immobile prima casa da adibire a propria abitazione principale”.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, dunque, solo gli atti a titolo oneroso sono idonei a mantenere l’agevolazione fruita in relazione al precente acquisto in quanto solo con riferimento a tali atti vi sarebbe un esborso da parte del contribuente. Esborso che il legislatore vorrebbe agevolare attraverso il mantenimento del beneficio fruito per il “vecchio” acquisto.
Detta argomentazione è da stigmatizzare. Infatti, in nessun punto della norma si parla di “investimento” con riferimento all’atto di riacquisto. Si è già detto, infatti,. che l’unico termine utilizzato dalla norma è “acquisto”, termine che può riferirsi tanto agli atti a titolo oneroso quanto agli atti a titolo gratuito.
Inoltre, la finalità di rendere più agevole l’ “investimento” non avrebbe senso nell’ipotesi in cui l’atto di alienazione infraquinquennale avesse portato ad un arricchimento patrimoniale per il contribuente. Si pensi al caso in cui il contribuente ha acquistato un immobile da adibire ad abitazione principale pari a € 100.000,00. Detto immobile, dopo due anni, viene venduto ad € 135.000,00. E’ evidente che la predetta situazione è diversa rispetto a quella di un contribuente che, per ipotesi, avesse venduto lo stesso immobile realizzando invece una perdita (ad es. avesse venduto l’immobile a € 85.000,00).
Se, poi, come fa Consiglio Nazionale del Notariato, «Commissione Studi Tributari», Studio 18 marzo 2005, n. 30/2005/T, par. 3.3, si interpreta il termine investimento utilizzato dall’Agenzia delle Entrate non come generico esborso bensì come reinvestimento delle stesse somme incassate con l’atto di alienazione, si avrebbe un vero e proprio paradosso. Infatti, l’atto di alienazione, per espressa previsione normativa, può essere sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito (art. 1, Nota II-bis, punto n. 4, primo periodo, della Tariffa Parte I allegata al DPR n. 131/1986). In quest’ultimo caso, tuttavia, mancherebbe un “reinvestimento” in quanto non vi sarebbe alcun corrispettivo da destinare ad un nuovo investimento.
 
Lecce, 15 luglio 2013                                                         Studio Legale Tributario Leo