Cass. civ, sez. I, ord., 14 novembre 2023, n. 31635 Presidente Antonio – Relatore Pazzi

Presidente Antonio – Relatore Pazzi

Rilevato

che:

1. Il Tribunale di Messina, con sentenza del 14 giugno 2018, pronunciava la separazione personale dei coniugi S.I. e B.M., rigettando, tra l'altro, la domanda proposta dalla S. per ricevere un assegno di mantenimento.

2. La Corte di appello di Messina respingeva tanto l'appello principale di S.I., quanto il gravame incidentale di B.M.

Disattendeva, in particolare, il motivo di impugnazione con cui B. aveva lamentato la mancata pronuncia, da parte del primo giudice, sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte in ottemperanza al provvedimento con il quale, in via provvisoria, era stato disposto che egli provvedesse al mantenimento della moglie.

Riteneva, inoltre, infondato il mezzo di gravame con cui l'appellante incidentale si era doluto della compensazione delle spese del giudizio di primo grado.

3. B.M. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 20 maggio 2020, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso S.I.

La sesta sezione di questa Corte, inizialmente investita della decisione della controversia, ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa dell'esame, da parte delle Sezioni Unite, della questione relativa all'irripetibilità degli assegni erogati in dipendenza delle situazioni di crisi matrimoniale.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.

Considerato

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 156 e 2033 c.c., e art. 96 c.p.c., in relazione al capo della sentenza che ha dichiarato l'irripetibilità delle somme corrisposte dal ricorrente alla moglie a titolo di mantenimento.

Una simile statuizione è errata - in tesi di parte ricorrente - perché le somme erogate dal ricorrente alla controparte non avevano funzione alimentare, dato che S.I., secondo gli accertamenti del tribunale, lavorava da anni "in nero" presso lo studio del padre ed era risultata proprietaria di beni immobili.

Inoltre, la stessa controricorrente non aveva adempiuto all'ordine di esibizione avente ad oggetto la propria documentazione reddituale e andava "censurata ex art. 96 c.p.c., la malafede e il dolo processuale palesemente conclamati negli atti del giudizio e nella sentenza di prime cure".

5. Il motivo è fondato, nei termini che si vanno a illustrare.

La Corte distrettuale ha ravvisato l'infondatezza del motivo di appello con cui il B. si doleva della mancata pronuncia, da parte del primo giudice, sulla richiesta di restituzione delle somme corrisposte alla S. a titolo di mantenimento facendo applicazione del principio di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento.

Le Sezioni Unite di questa Corte, a questo proposito, hanno ritenuto che nel caso in cui si accerti nel corso del giudizio (all'interno della sentenza di primo o secondo grado) l'insussistenza ab origine, in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento dell'assegno di mantenimento separativo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della condictio indebiti (cfr. Cass., Sez. U., 32914/2022, dove, al punto 8.3, si precisa che "ove con la sentenza venga escluso in radice e "ab origine" (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno "stato di bisogno" del soggetto richiedente (inteso, nell'accezione più propria dell'assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati).... non vi sono ragioni per escludere l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità)").

Nel caso di specie la stessa Corte d'appello ha registrato (a pag. 7) che il primo giudice aveva rilevato che "la S. non (aveva) fornito prova sufficiente della esistenza dei presupposti richiesti per avere diritto all'assegno in questione".

Il riconoscimento dell'originaria insussistenza dei presupposti per il versamento del contributo di mantenimento già riconosciuto in sede presidenziale determinava, quindi, la piena ripetibilità delle somme versate a tale titolo, a prescindere dal fatto che la richiedente avesse agito con mala fede o colpa grave.

6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 88 c.p.c., in relazione all'art. 96 c.p.c., commi 2 e 3: il comportamento tenuto dalla S. - a dire del ricorrente - integrava una violazione del dovere, per le parti e i difensori, di comportarsi in giudizio con lealtà e probità e avrebbe dovuto comportare la condanna della medesima ai sensi dell'art. 96 c.p.c., comma 3.

7. Il motivo non è fondato.

Il disposto dell'art. 96 c.p.c., comma 3, prevede che il giudice, "quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91", può condannare "la parte soccombente" al pagamento di una somma equitativamente determinata.

Il tenore letterale della norma, che integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, evidenzia come uno dei presupposti per la sua applicazione sia costituito dal fatto che il destinatario della condanna sia integralmente soccombente, cosicché non può farsi luogo alla sua applicazione in caso di soccombenza reciproca (Cass. 24158/2017). Nel caso di specie la Corte distrettuale ha ritenuto, con statuizione non impugnata, che la condizione di soccombenza reciproca fra le parti caratterizzasse anche il giudizio di appello, come già era avvenuto in primo grado.

Nessuna condanna poteva perciò essere pronunciata in applicazione dell'art. 96 c.p.c., comma 3.

8. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.