Disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari e delle bevande - Detenzione di animali bovini destinati al consumo alimentati con sostanze anabolizzanti - Trattamento sanzionatorio
Corte di Cassazione Sezione 3 penale, Sentenza 13.09.2005, n. 33303
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
Letto 458 volte dal 15/07/2008
In materia alimentare, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 5 lett. a) della legge 30/4/1962 n. 283 (distribuzione per il consumo di sostanze alimentari trattate in modo da variarne la composizione naturale), in ipotesi di detenzione in azienda di animali bovini destinati alla vendita o al consumo umano trattati con sostanze ad effetto anabolizzante, non occorre la prova che vi sia stata in concreto una alterazione della composizione naturale delle carni, ma è sufficiente
In materia alimentare, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 5 lett. a) della legge 30/4/1962 n. 283 (distribuzione per il consumo di sostanze alimentari trattate in modo da variarne la composizione naturale), in ipotesi di detenzione in azienda di animali bovini destinati alla vendita o al consumo umano trattati con sostanze ad effetto anabolizzante, non occorre la prova che vi sia stata in concreto una alterazione della composizione naturale delle carni, ma è sufficiente la prova che all'animale sia stata somministrata una sostanza ad azione anabolizzante della quale è vietata la somministrazione e che sia idonea a determinare una variazione della composizione naturale della carne.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Amedeo Postiglione - Presidente
Ciro Petti - Consigliere
Mario Gentile - Consigliere
Aldo Fiale - Consigliere
Amedeo Franco - (est.) Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Ez. Al. Fi., nato a Mo. il (...);
avverso la sentenza emessa il 15 dicembre 2003 dal giudice del tribunale di Mondovì;
udita nella pubblica udienza del 10 giugno 2005 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale doti. Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Mondovì dichiarò Ez. Al. Fi. colpevole del reato di cui agli artt. 5, lett. a), e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283 per avere detenuto per venderli a destinazione alimentare due bovini ai quali era stata somministrata la sostanza desametazone e pertanto trattati in modo da variarne la composizione naturale, e Io condannò alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda, oltre pene accessorie.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) nullità del decreto di citazione a giudizio perché la contestazione consiste nella mera ripetizione del dato normativo, integrato con la sola indicazione dei bovini cui sarebbe stata somministrata la sostanza anabolizzante, senza indicare come sarebbe avvenuta e in che sarebbe consistita la pretesa alterazione della composizione naturale delle carni.
b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale perché la sentenza impugnata ha omesso totalmente di esaminare se sussistesse la prova certa (e non una semplice presunzione) di un elemento essenziale per il reato in questione, ossia che dal trattamento delle sostanze alimentari detenute per la vendita sia derivata una variazione della composizione naturale propria delle stesse. Ciò, tra l'altro, si ricava dalla differenza con l'illecito amministrativo di cui all'art. 3 del d. Igs. 4 agosto 1999, n. 336, il quale al contrario non richiede la conseguenza della variazione della composizione naturale, ma solo il trattamento con una delle sostanze vietate. Il giudice a quo ha invece erroneamente ritenuto integrato il reato contestato con la semplice somministrazione di una sostanza anabolizzante, in considerazione della sua astratta attitudine a variare la composizione naturale degli alimenti detenuti da Ez. Al. Fi. Il giudice ha invero inesattamente ritenuto che si tratti di un reato di pericolo presunto, e ciò in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato. La contestazione, infatti, è legittima ed esaustiva perché non si limita alla mera ripetizione del dettato normativo, ma specifica non solo quali furono i bovini destinati alla vendita oggetto dell'illecito trattamento, ma anche che il trattamento idoneo a variarne la composizione naturale era consistito nella somministrazione della sostanza anabolizzante desametazone. La mancata indicazione del "grado di alterazione" della carne degli animali è irrilevante, essendo sufficiente la sola idoneità della sostanza anabolizzante somministrata a determinare la variazione della composizione naturale dell'animale; il nesso di causalità è stato specificamente indicato nella somministrazione della sostanza desametazone; la condotta contestata all'imputato è stata descritta in termini sufficientemente chiari e precisi, essendo stato specificato che essa era consistita nell'aver detenuto per venderli con destinazione alimentare due bovini ai quali era stata somministrata la sostanza desametazone, e quindi trattati in modo da variarne la composizione naturale; non si comprende -né è stato specificato- per quale ragione la contestazione avrebbe potuto ledere il diritto di difesa, che invece ha avuto modo di esplicarsi esaurientemente.
E' infondato anche il secondo motivo. La disposizione di cui all'art. 5, lett. a), della legge 30 aprile 1962, n. 283 vieta, tra l'altro, la detenzione per la vendita di sostanze alimentari "comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale".
Ora, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte è sempre stato pacifico, da un lato, che "nell'ambito della disciplina normativa, ispirata alla tutela della salute del consumatore, il bovino da allevamento deve essere considerato "sostanza alimentare" (fattispecie relativa a ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 5 lett. a), legge 30 aprile 1962, n. 283 per avere l'imputato detenuto per la vendita a destinazione alimentare bovini cui erano state somministrate sostanze ormonali ad azione estrogena) " (Sez. III, 23 settembre 1994, Ballarino, m. 200.383) e, dall'altro lato, che la condotta costituita dalla detenzione in allevamento per la distribuzione al consumo di carni bovine, e precisamente di animali trattati con sostanze ad effetti anabolizzanti, in modo da variarne la composizione naturale, integra pacificamente il reato di cui all'art. 5, lett. a), della legge 30 aprile 1962, n. 283 precisandosi, tra l'altro, che il reato è integrato "dall'uso di anabolizzanti su animali vivi destinati alla vendita... a nulla rilevando la possibilità che gli animali stessi vengano alienati ancor prima che il ciclo sia portato a compimento" (Sez. VI, 1 ottobre 1993, Bellone, m. 196.059 e 196.055).
In realtà, la condotta costituita dalla detenzione in allevamento per la distribuzione al consumo di animali trattati con sostanze ad effetti anabolizzanti idonee a variarne la composizione naturale, è stata oggetto di diversi interventi legislativi. Come si è ricordato, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, tale condotta integrava pacificamente il reato di cui all'art. 5, lett. a), della legge 30 aprile 1962, n. 283 che concorreva con la violazione dell'art. 3, secondo comma, del d. Igs. 27 gennaio 1992, n. 118, il quale sanzionava, come illecito amministrativo, la somministrazione ad animali da azienda sotto qualunque forma di sostanze ad effetto anabolizzante.
Successivamente è intervenuto il d. Igs. 4 agosto 1999, n. 336, il quale, con l'art. 34, ha abrogato il d. Igs. 27 gennaio 1992, n. 118 (ad eccezione dell'art. 15), mentre con l'art. 3, primo comma, lett. a), ha vietato, tra l'altro, la somministrazione, mediante qualsiasi metodo, ad un animale d'azienda di qualsiasi sostanza ad effetto anabolizzante, e con la successiva lett. b) del medesimo primo comma dell'alt. 3 ha vietato, tra l'altro, la detenzione in azienda di animali trattati con le dette sostanze. Ai sensi del successivo art. 32, primo comma, del medesimo d. Igs. 336/1999 entrambe le dette condotte erano considerate come reato e punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.
Si era quindi ritenuto che la condotta dianzi indicata dovesse essere punita ai sensi degli artt. 3, primo comma, lett. b), e 32, primo comma, del detto d. Igs. 4 agosto 1999, n. 336, e non più ai sensi dell'art. 5, lett. a), della legge 30 aprile 1962, n. 283. Dopo pochi mesi, è però intervenuto il d. Igs. 30 dicembre 1999, n. 507, il quale con l'art. 1 e con il n. 38 del relativo allegato ha disposto l'abrogazione del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 336 e la trasformazione in illeciti amministrativi, soggetti alle sanzioni di cui ai successivi artt. 2 e 3, delle violazioni previste come reato dall'abrogato d. Igs. 336/1999.
Orbene, dopo quest'ultimo intervento legislativo, la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte, ha ribadito che "la condotta costituita nel detenere in azienda animali bovini destinati alla vendita o al consumo umano trattati con sostanze ad effetto anabolizzante è prevista e punita come reato ai sensi dell'art. 5, lett. a) della legge 30 aprile 1962 n. 283 (distribuzione per il consumo di sostanze alimentari trattate in modo da variarne la composizione naturale), atteso che nei rapporti tra il reato disposto dal citato art. 5 e quello contemplato dall'art. 3, comma primo lett. b), del decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 336 (che vietava la detenzione in azienda di animali trattati con sostanze ad effetto anabolizzante), successivamente depenalizzato dal decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507 non si è realizzato un fenomeno abrogativo, stante il carattere di norma generale della previsione della legge n. 283 rispetto a quella successiva del decreto n. 336, avente natura di norma speciale, in tale ipotesi successoria la norma generale è stata derogata dalla norma speciale successiva, con la conseguenza che, venuta meno la norma speciale derogatoria, l'efficacia della norma generale si è automaticamente riespansa anche con riferimento a quelle fattispecie "medio tempore" previste dalla disciplina caducata" (Sez. IlI, 16 gennaio 2002, Lerda, m. 221.560; conf. Sez. III, 30 gennaio 2003, Operti, m. 223.759; Sez. III, 12 febbraio 2003, Basso, m. 223.761; Sez. III, 28 gennaio 2003, Dotta, m. 224.345).
Va anche considerato che la citata sent. Lerda non affermò affatto, come sostiene il ricorrente, che per integrare il reato di cui all'art. 5, lett. a), della legge 30 aprile 1962, n. 283 occorra la prova che vi sia stata in concreto un'alterazione della composizione naturale delle carni destinate all'alimentazione, ma al contrario, nel rigettare il primo motivo di ricorso, ritenne sufficiente la prova che all'animale sia stata somministrata una sostanza ad azione anabolizzante di cui è vietata la somministrazione ed idonea a determinare una variazione della composizione naturale delle carni, specificando inoltre che si tratta di un accertamento in fatto demandato al giudice del merito. Nel caso di specie il giudice del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha appunto ritenuto che la sostanza anabolizzante desametazone rinvenuta nelle carni dell'animale aveva tale idoneità e quindi costituiva una sostanza tale che la sua somministrazione aveva necessariamente determinato l'alterazione della composizione naturale della carne del bovino, che era destinato alla macellazione ed all'alimentazione umana, sicché esattamente ha di conseguenza ritenuto integrato il reato contestato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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