Il turista ha diritto al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale ogniqualvolta non si realizzi la "finalità turistica" per la quale si è deciso di partire
Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 20 dicembre 2007, n. 26958
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PREDEN Roberto - Presidente Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Consigliere Dott. FICO Nino - Consigliere Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: BE. RE., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Presidente
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Consigliere
Dott. FICO Nino - Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BE. RE., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEI PARIOLI 76, presso lo studio dell'avvocato LIBERATI MAURIZIO, che lo difende unitamente all'avvocato ANDREA PETRACCIA, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
PI. GR., elettivamente domiciliata in ROMA presso CANCELLERIA CORTE CASSAZIONE, difesa dall'avvocato RIZZO GAETANO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1019/03 del Tribunale di TERAMO, emessa il 5/07/03 depositata il 22/07/03; RG. 386/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/07 dal Consigliere Dott. Giacomo TRAVAGLINO;
udito l'Avvocato MAURIZIO LIBERATI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
IN FATTO
Con atto di citazione in appello del 18 febbraio 2002, Be. Re., nella qualita' di titolare dell'Hotel (OMESSO), impugno' dinanzi al tribunale di Teramo la sentenza con la quale il Giudice di pace di Atri lo aveva condannato al pagamento, in favore di Pi.Gr., della somma di lire 4 milioni e 550 mila.
Espose l'appellante:
- che la Pi. aveva, in primo grado, chiesto e ottenuto dal giudice di pace la declaratoria di risoluzione per impossibilita' sopravvenuta di un contratto di soggiorno per due persone presso l'Hotel (OMESSO), stipulato, tramite l'agenzia napoletana Po. Tr., dal proprio coniuge, De. Lu.Da., deceduto improvvisamente il giorno precedente l'inizio del soggiorno;
- che, per effetto della cosi' dichiarata risoluzione contrattuale, egli era stato condannato a restituire all'attrice quanto gia' ricevuto a titolo di pagamento della convenuta prestazione alberghiera;
- che tale condanna (sia pur detratta da essa il controvalore della prima giornata di soggiorno) era del tutto priva di giuridico fondamento, attesa la propria carenza di legittimazione passiva, da ricondursi piuttosto all'agenzia di viaggi partenopea;
- che la declaratoria di risoluzione, ex articolo 1463 c.c., del contratto di soggiorno era, comunque, giuridicamente infondata poiche', a mente della norma citata, il debitore poteva ritenersi legittimato a dedurre l'impossibilita' della propria, prestazione, onde esimersi dal compierla, ma non (come nella specie) dell'altrui controprestazione;
- che, infine, la statuizione relativa al quantum restitutorio posto a suo carico appariva a sua volta contraddittoria (avendo il giudice di pace ridotto l'importo da restituire alla Pi. in misura pari al corrispettivo di un giorno di permanenza in albergo dacche' la disdetta della prenotazione era avvenuta proprio il giorno di inizio della prenotazione), poiche', traendo le dovute conseguenze dalla declaratoria di risoluzione tout court si come pronunciata in primo grado, ad essa si sarebbe conseguentemente dovuto attribuire efficacia liberatoria piena e non parziale.
Il Giudice di appello respinse il gravame, osservando, per quanto ancora di rilievo nel presente giudizio di legittimita':
- quanto al preteso difetto di legittimazione passiva dell'appellante-albergatore, da un canto, che la documentazione acquisita agli atti deponeva univocamente nel senso che la prenotazione alberghiera era stata effettuata dalla societa' Po. Tr. in forza di mandato con rappresentanza ricevuto dal cliente, essendo stata inserita, nel relativo documento, la frase "la presente prenotazione viene effettuata dalla Po. Tr. nella qualita' di ufficio viaggi presentatore, in nome e per conto dello scrivente, che dichiara di essere pienamente d'accordo"; dall'altro, che la spendita del nome del rappresentato non aveva mai formato oggetto di contestazione in primo grado da parte dell'appellante, che si era piuttosto limitato, in sede di note difensive, a richiamare la giurisprudenza di legittimita' pronunciatasi, in argomento, a favore della configurabilita' di un mandato senza rappresentanza come contratto normalmente ravvisabile nelle vicende negoziali aventi ad oggetto prenotazioni alberghiere effettuate tramite agenzie di viaggi;
- quanto alla pretesa inapplicabilita', nella specie, del rimedio della risoluzione contrattuale per impossibilita' sopravvenuta della, prestazione (azionabile, ad avviso dell'appellante, solo allorquando il debitore deduca l'impossibilita' della propria prestazione - nel caso concreto gia' eseguita - e non gia' quella della controprestazione), che l'interpretazione dell'articolo 1463 c.c., cosi' evocata non poteva essere condivisa, "alla luce della dizione letterale della norma in parola, tale da concedere l'azione di risoluzione come rimedio esperibile nei confronti della parte liberata dalla propria obbligazione per impossibilita' sopravvenuta della prestazione al fine di ripristinare l'equilibrio patrimoniale alterato per il venir meno della causa solvendi. Giusta quanto chiarito dalla stessa S.C. con giurisprudenza ormai risalente (Cass. 23.8.1949, n. 2394), ai fini della risoluzione non ha rilievo che l'impossibilita' riguardi la prestazione di una sola parte o di entrambe. La contraria interpretazione condurrebbe alla conseguenza del doversi negare la legittimazione ad esperire l'azione di risoluzione per impossibilita' sopravvenuta alla parte che, avendo adempiuto la propria prestazione (rimasta, quindi, possibile), ha, ai sensi dell'articolo 1463 c.c., il diritto alla restituzione della prestazione stessa. La sussistenza dell'impossibilita' della prestazione dovuta dall'Hotel (OMESSO) e', poi, incontestabile, ove si consideri che il titolare dell'impresa alberghiera era obbligato, in forza del contratto concluso con il De. Lu., ad assicurare al cliente i servizi di alloggio e pensione completa per due persone, fra le quali lo stesso cliente, la cui sopravvenuta malattia mortale integra indubbiamente una causa d'impossibilita' per l'Hotel (OMESSO) di eseguire la prestazione promessa a partire dalla data del ricovero in ospedale del cliente" (cosi', testualmente, la motivazione della sentenza oggi impugnata a folli 8 e 9);
- quanto, infine, all'ultima doglianza dell'appellante - affermativa di una pretesa contraddittorieta' della motivazione della sentenza del giudice di pace che, affermata in limine la risolubilita' tout court del contratto di soggiorno, aveva poi pronunciato condanna al rimborso soltanto parziale della somma originariamente ricevuta - essa si rivelava inammissibile per carenza d'interesse, essendosi l'error iuris cosi' realizzato in realta' risolto in un accoglimento, sia pur parziale, delle ragioni e delle istanze dell'appellante medesimo.
Avverso tale sentenza, Be.Re. propone ricorso per cassazione, sostenuto da 3 motivi di gravame.
Resiste con controricorso Pi.Gr..
IN DIRITTO
il ricorso e' infondato e va, pertanto rigettato, sia pur con le precisazioni che seguiranno, funzionali, ex articolo 384 vecchio testo c.p.c., comma 2, (comma 4 nella nuova formulazione della norma) alla correzione della motivazione della sentenza impugnata (il cui dispositivo risulta, peraltro, conforme a diritto).
Il ricorso ripropone a questa Corte, nella sostanza, i medesimi temi svolti, in sede di appello, dinanzi al tribunale di Teramo.
Con il primo motivo, si duole, difatti, il ricorrente del difetto di motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, della sentenza impugnata sul punto della, ritenuta, legittimazione delle parti.
Il motivo non ha pregio.
Con motivazione esaustiva e scevra da vizi logico-giuridici, il giudice dell'appello ha ritenuto di ricostruire il rapporto tra l'agenzia e l'odierno ricorrente in termini di mandato con rappresentanza, ritenendo conseguentemente predicabile (del tutto legittimamente) l'esistenza di una indiscutibile legittimazione passiva in capo al mandante/rappresentante. Rilevato, in limine, come la doglianza mossa al folio 4 del ricorso - ove si legge che "il dedotto mandato con rappresentanza non e' stato mai comunicato all'attuale deducente" - sia in realta' nuova (non essendo mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio) e come tale inammissibile, nessuna delle censure mosse alla sentenza coglie nel segno, essendo, tutte, destinate ad infrangersi contro il corretto e condivisibile accertamento compiuto dai giudici di merito con riferimento al contenuto della scheda negoziale in contestazione, ed alla conseguente, ritenuta sussistenza della legittimazione a contraddire tra le parti: alla luce di una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice va in questa sede ribadito che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimita' non puo' investire il risultato interpretativo in se', che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al Giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicita' della motivazione addotta (tra le tante, di recente, Cass. n. 2074/2002) : l'indagine ermeneutica, e', in fatto, riservata esclusivamente al Giudice di merito, e puo' essere censurata in sede di legittimita' solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volonta' negoziale operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversamente anelata valutazione degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.
Con il secondo motivo, lamenta ancora il ricorrente la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1463 c.c.; il difetto di motivazione sulla ritenuta ammissibilita' della, risoluzione contrattuale.
Oggetto della censura (non diversamente da quanto gia' lamentato in grado di appello) e' la ricostruzione del significato semantico, prima ancora che giuridico, della norma in contestazione, significato che, a detta della difesa del Be., non potrebbe che articolarsi secondo la seguente scansione logico-lessicale:
- la "prestazione dovuta" e' quella divenuta impossibile;
- l'impossibilita' della prestazione deve essere "sopravvenuta" al contratto;
- la "controprestazione" e' quella possibile;
- la "parte liberata" e' quella che non puo' piu' adempiere.
Conseguentemente, "solo la parte obbligata alla prestazione divenuta impossibile avrebbe interesse, ex articolo 100 c.p.c., a pretendere la propria liberazione dall'obbligazione, essendo concettualmente assurdo che tale domanda possa essere proposta dalla controparte che ha interesse all'adempimento della prestazione impossibile (semmai la controparte, a fronte dell'altrui inadempienza, avrebbe interesse a pretendere la declaratoria di risoluzione per inadempimento ex articolo 1453) ". Cosi' rettalmente ricondotta la questione di diritto sottoposta al collegio al suo nucleo essenziale, essa andrebbe avviata a corretta soluzione sol che l'affermazione del tribunale - essere, cioe', divenuta impossibile la prestazione dell'albergatore - fosse sottoposta al necessario vaglio critico, onde concludere che l'obbligazione stessa, consistente nel "mettere a disposizione la struttura alberghiera secondo quanto contrattualmente concordato" non sarebbe mai stata, ne' sarebbe mai divenuta, "tecnicamente impossibile" a causa della morte del cliente. L'errore di diritto in cui sarebbero caduti i giudici di merito si sarebbe pertanto ingenerato, perpetuandosi, all'esito dell'evidente confusione concettuale tra "prestazione" e (altrui) "godimento della prestazione", poiche' a divenire impossibile sarebbe stata, in realta', "la sola fruizione, da parte dell'avente diritto, della prestazione dell'albergatore per fatto imputabile allo stesso avente diritto, laddove tale circostanza rimane del tutto irrilevante e incapace di incidere sul sinallagma contrattuale". (Il motivo contiene un ulteriore sub-motivo - esposto al folio 11 del ricorso -, con il quale si lamenta ulteriormente una " frettolosita' del Giudice di merito" concretatasi nel non aver quegli adeguatamente considerato che la prestazione alberghiera era riferibile a due persone, sicche' mai si sarebbe potuto dichiarare la risoluzione ex articolo 1463 c.c., anche con riguardo al contratto relativo alla seconda persona, essendo deceduto il solo contraente De. Lu. : della rilevanza, della astratta fondatezza e della inaccoglibilita' sul piano processuale di tale doglianza si dira' all'esito dell'esame della prima parte del motivo in esame).
La censura dianzi riportata, benche' suggestivamente esposta, non merita accoglimento, ma, sul punto, e' necessario, come accennato in premessa, una integrazione in diritto del contenuto della motivazione della sentenza di appello oggi impugnata.
La prima e preliminare questione di diritto sottoposta all'esame di questo collegio e', dunque, quella dell'impossibilita' sopravvenuta della prestazione con riferimento al soggetto legittimato a rilevarla ed invocarla.
Va in premessa ricordato come comunemente vengano individuati, in dottrina, tre diverse ipotesi di impossibilita', la prima consistente nel perimento della cosa (al quale e' parificato il suo smarrimento), la seconda integrante il caso della sua incommerciabilita', la terza. (che postula, come noto, piu' complesse valutazioni fattuali) predicabile nei casi di obbligazioni di fare, con particolare riguardo a fattispecie di impedimenti di carattere personale: in tali ipotesi, al fine della liberazione del debitore, viene comunemente sottolineato il necessario carattere di assolutezza e di obiettivita' della impossibilita' stessa, concetto che, come sovente evidenziato ancora in dottrina, pare certamente applicabile (salvo poi valutare le cause della stessa impossibilita') ai casi di perdita delle facolta' fisiche necessarie per l'adempimento. A tali requisiti, si suole poi aggiungere, alternativamente, quelli dell'infungibilita' della prestazione divenuta impossibile e della riconducibilita' del concetto di impossibilita' alla prestazione e non alla persona del debitore.
Un primo dato appare dunque certo, quello, cioe', per il quale ha carattere sicuramente liberatorio l'impossibilita' fisica materiale, e per questo assoluta, del debitore.
L'analisi si sposta, cosi', sul piano degli effetti dell'impossibilita' sopravvenuta: mentre la non imputabilita' ad alcuna delle due parti e' senz' altro idonea ad attivare il meccanismo previsto dalla norma ex articolo 1463 c.c., e mentre, pacificamente, di questa disposizione viene esclusa la applicabilita' in caso di impossibilita' imputabile al debitore, fortemente controversa risulta la conseguenza della impossibilita' imputabile al creditore: la dottrina e', in proposito, divisa tra chi ritiene che i relativi effetti sarebbero del pari disciplinati dalla norma in parola, e chi, al contrario, ne opina la riconducibilita' all'articolo 1453, in quanto prodotti dall'inadempimento del creditore agli obblighi di cooperazione con il debitore nell'adempimento della prestazione di quest'ultimo.
Contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, anche in dottrina, oltre che nella risalente giurisprudenza di questa corte di cui a Cass. 23.8.1949 n. 2394 (pubblicata in una nota rivista giuridica l'anno successivo a quello del suo deposito), si ritiene configurabile l'ipotesi di impossibilita' tanto unilaterale (ossia legata ad una sola delle contrapposte obbligazioni), quanto di entrambe le prestazioni dedotte in contratto. Non erra il ricorrente nel sottolineare che il modus operandi del rimedio risolutorio non sia lo stesso per tutte le fattispecie previste dal codice, considerando che, nel caso di risoluzione per inadempimento, l'azione e' rimessa alla facolta' dell'altro contraente (il non inadempiente), mentre, nel caso di impossibilita' sopravvenuta, l'effetto risolutorio opera in modo automatico, con la liberazione del contraente obbligato alla prestazione divenuta impossibile: ma e' altrettanto innegabile che (il dato e' testuale nella norma di cui all'articolo 1463 c.c.), nel caso in cui sia riscontrata l'impossibilita' assoluta di effettuare la propria prestazione, la parte liberata non puo' chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia gia' ricevuto secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Cio' comporta, quale definitivo approdo dell'esegesi del testo normativo, che la risoluzione de qua possa legittimamente essere invocata da entrambe le parti: da quella, cioe', la cui prestazione rimane possibile, cosi' come da colui la cui prestazione sia divenuta impossibile (in tali sensi, in passato, Cass. 18.9.1956 n. 3222) : non avrebbe altrimenti senso prevedere un rimedio restitutorio da indebito se non sulla premessa per cui la parte che abbia eseguito la propria prestazione (prestazione della quale, dunque, non avrebbe piu' senso discutere in termini di possibilita'/impossibilita') puo' del tutto legittimamente richiedere alla controparte la restituzione a seguito dell'impossibilita' sopravvenuta della prestazione di controparte stessa.
Non e' pertanto meritevole di accoglimento la doglianza contenuta nel motivo di ricorso in esame nella parte in cui vorrebbe allocare presso il solo obbligato alla prestazione impossibile l'interesse ad agire in giudizio (inconferente, dunque, e' il richiamo all'articolo 100 c.p.c.) per la propria liberazione: lo stesso interesse conserva, specularmente, la parte che, eseguita la propria prestazione - ipso facto possibile proprio perche' (come nella specie) ... gia' eseguita - ne richieda poi la restituzione a fronte della sopravvenuta impossibilita' della prestazione di controparte.
Nella specie, la prestazione del cliente (pagamento di una somma di denaro a titolo di corrispettivo del soggiorno in albergo), possibile e gia' eseguita, non va incontro ad alcuna mutazione, ne' genetica ne' funzionale, a seguito della morte sopravvenuta alla stipula del contratto (nonche' all'adempimento della propria obbligazione) : la morte, difatti (come correttamente rileva, in proposito, il ricorrente), non e' causa di impossibilita' della prestazione del defunto (che l'ha gia' eseguita), bensi' ragione di non fruibilita', da parte sua, della controprestazione offerta dall'albergatore.
L'analisi si sposta, allora, sugli aspetti contenutistici di quest'ultima obbligazione. Sostiene, difatti, il ricorrente, a fronte della (invero non esaustiva) ricostruzione operata in diritto dal Giudice di merito - il quale discorre di impossibilita' della prestazione dell'albergatore senza ulteriori specificazioni al riguardo - che tale prestazione non sarebbe mai stata ne' mai sarebbe divenuta tecnicamente "impossibile" a causa della morte del cliente, pena una inammissibile confusione concettuale tra prestazione, da un canto, e fruizione (da parte del creditore) della prestazione, che, nella specie, consisterebbe (trovandovi al tempo stesso il suo insuperabile limite contenutistico - esecutivo) nel "mettere a disposizione la struttura alberghiera secondo quanto contrattualmente concordato".
L'argomentazione non puo' essere condivisa.
E' innegabile che, cosi' articolata in parte qua. la tesi difensiva, il discorso sia destinato ad orbitare, preliminarmente, sul piano del sinallagma contrattuale, id est della causa negoziale intesa nel suo aspetto funzionale.
Questa corte ha gia' avuto recentemente modo di affermare il principio secondo cui un concetto "di funzione astratta" di causa non puo' piu' ritenersi soddisfacente criterio di ermeneutica contrattuale, dovendosene piu' correttamente procedere, di converso, ad una ricostruzione in termini di "causa concreta". (Cass. n. 10490 del 2006, che adotta tale criterio ricostruttivo dell'elemento causale del negozio con riferimento, peraltro, ad una vicenda nella quale il difetto di causa, emergeva sul piano non funzionale ma genetico, integrando conseguentemente una ipotesi di nullita' contrattuale).
Il concetto di causa concreta non puo', peraltro, non attenere altresi' all'aspetto funzionale del predetto essentiale negotii.
Alla stregua del concetto di "causa negoziale concreta" va allora affermato che non soltanto la totale impossibilita' sopravvenuta della prestazione (id est, della sua esecuzione, tale da costituire un impedimento assoluto ed oggettivo a carattere definitivo) integra una fattispecie di automatica estinzione dell'obbligazione e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi dell'articolo 1463 c.c., e articolo 1256 c.c., comma 1, in ragione del venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione della controparte (Cass., 28/1/1995, n. 1037; Cass., 9/11/1994, n. 9304; Cass., 24/4/1982, n. 548; Cass., 14/10/1970, n. 2018), ma che lo stesso effetto consegue altresi' alla impossibilita' di utilizzazione della prestazione da parte del creditore.
Tale principio di diritto risulta di recente affermato da questa stessa corte con la sentenza n. 16315 del 2007 (la fattispecie concreta di cui quel collegio ha avuto modo di occuparsi riguardava una vicenda relativa ad un soggiorno turistico all'estero dove una epidemia di dengue emorragica aveva indotto il contraente ad invocare la risoluzione del contratto di package).
Nella motivazione della sentenza (che afferma principi di diritto dai quali questo giudice non ha motivi per discostarsi) si rileva, in limine, come, nella specie, non fosse in realta' predicabile l'esistenza di un vero impedimento preclusivo dell'esecuzione dell'obbligazione, precisandosi, peraltro, che il soggiorno o il servizio alberghiero "assumono, al riguardo, rilievo non gia' singolarmente e separatamente considerati, bensi' nella loro unitarieta' funzionale, non potendo prescindersi dalla considerazione dei medesimi alla stregua della finalita' turistica che la prestazione complessa in cui si sostanziano quali elementi costitutivi e' funzionalmente volta a soddisfare. Tale finalita' non costituisce, pertanto, un irrilevante motivo del contratto de quo, e non si sostanzia in specifici interessi che rimangono nella sfera volitiva interna del creditore della prestazione alberghiera costituendo il semplice impulso psichico interiore che lo spinge alla stipulazione del contratto, ma viene (anche implicitamente) ad obbiettivarsi in tale tipo di contratto, divenendo interesse che lo stesso e' funzionalmente volto a soddisfare, cosi' connotandone la sua causa sul piano concreto" (in argomento, adde Cass. 12235/07 oltre alla gia' citata Cass. 10490/06).
Il concetto di causa concreta appare, cosi', funzionale, da un canto, a qualificare il "tipo" contrattuale - determinando l'essenzialita' di tutte le attivita' e servizi strumentali alla realizzazione della finalita' turistica (e cioe' il benessere psico - fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo e' volto a realizzare) -; dall'altro, assume rilievo quale criterio di adeguamento del rapporto negoziale, considerato nella suo aspetto dinamico-effettuale. Di talche' la causa (come non si e' mancato di osservare da parte della piu' attenta dottrina) finisce per assumere rilievo non meno decisivo in ordine alla sorte della vicenda contrattuale (oltre che con riferimento alla fattispecie negoziale considerata nel suo aspetto genetico), in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo sviluppo del rapporto (inadempimento, impossibilita', aggravio della prestazione, ecc.), eventi negativamente incidenti sull'interesse creditorio (nella specie, turistico), obbiettivato in seno all'elemento causale del contratto, e tali da farlo venire del tutto meno laddove - in base a criteri di normalita' avuto riguardo alle circostanze concrete del caso - si accerti l'impossibilita', della relativa realizzazione.
La sopravvenuta impossibilita' di utilizzazione della prestazione deve dunque distinguersi dalla sopravvenuta impossibilita' della esecuzione della prestazione (in argomento, funditus, cfr. Cass., 2/5/2006, n. 10138) di cui agli articoli 1463 e 1464 c.c., (cfr. ancora Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 28/1/1995, n. 1037 e la gia' citata Cass. 24/07/2007 n. 16315), ma, nella specie, soltanto sul piano concettuale, e non anche su quello degli effetti. Il venire oggettivamente meno dell'interesse creditorio (nella specie, per la morte del soggetto) non puo', difatti, che determinare l'estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto del suo elemento funzionale (articolo 1174 c.c.) : e se, come nella specie, tale rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto, il venir meno del predetto interesse si risolve in una sopravvenuta irrealizzabilita' della causa concreta del contratto stesso, assumendo conseguentemente rilievo quale autonoma causa della relativa estinzione. Il venir meno dell'interesse creditorio (e della causa del contratto che ne costituisce la fonte) puo' essere, dunque, legittimamente determinato anche dalla sopravvenuta impossibilita' di utilizzazione della prestazione, qualora essa si presenti come non imputabile al creditore, nonche' oggettivamente incidente sull'interesse che risulta (anche implicitamente) obbiettivato nel contratto: una impossibilita' tale da vanificare o rendere irrealizzabile la "finalita' turistica" (laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalita' ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto, quali il desiderio di allontanarsi dalla famiglia o dalla cerchia degli amici; l'esigenza di un distacco dall'ambiente di lavoro; la necessita' di riprendersi da un periodo di stress; la ricerca di avventure post-matrimoniali ecc.) in cui si sostanziano, viceversa, i motivi impulsivi sottesi alla stipula del contratto da parte del creditore della prestazione di soggiorno alberghiero. Cosi', pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile, deve ritenersi che il venir meno della possibilita' che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo "scopo di vacanza" in cui si sostanzia la "finalita' turistica"), implica il venir meno dell'interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera giuridico - economico di quest'ultimo. Superando le perplessita' in passato avvertite, in argomento, da questa stessa Corte (Cass., 9/11/1994, n. 9304), e in consonanza con quanto autorevolmente sostenuto in dottrina, va pertanto affermato che l'impossibilita' di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non disciplinata in modo espresso, costituisce - analogamente all'impossibilita' di esecuzione della prestazione - autonoma causa di estinzione dell'obbligazione: essendo la prestazione divenuta inidonea a soddisfare l'interesse creditorio, la conseguente estinzione del rapporto obbligatorio scaturente dal contratto per sopravvenuta irrealizzabilita' della sua causa concreta comporta l'esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni: il debitore non e' piu' tenuto ad eseguirla, il creditore non ha l'onere di accettarla.
Ad ulteriore conforto di tale conclusione va ricordato, ancora, l'orientamento recentemente espresso da questa stessa corte, a sezioni unite, in ordine alla necessita' di un piu' penetrante controllo dell'autonomia privata da parte del Giudice in sede di tutela della parte debole" di un rapporto contrattuale, orientamento puntualmente espresso nella sentenza n. 18128 del 2 005, con la quale le sezioni unite hanno sottolineato - in tema di rilevabilita' d'ufficio della clausola penale - che "l'esegesi tradizionale della norma ex articolo 1384 c.c., non appare piu' adeguata alla luce di una ri-lettura degli istituti costituzionali in senso conformativo ai precetti superiori della Carta fondamentale - individuati nel dovere di solidarieta' nei rapporti intersoggettivi, ex articolo 2 Cost., e nell'esistenza di un principio di inesigibilita' come limite alle pretese creditorie -, integrati con i generali canoni di ermeneutica contrattuale quali quelli della buona fede oggettiva e della correttezza di cui agli articoli 1175, 1337, 1359, 1375 c.c.". La pronuncia evoca, del tutto condivisibilmente, quanto piu' volte affermato dalla stessa Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 19 del 1994, ha a sua volta sottolineato come "con riferimento a rapporti obbligatori disciplinati da norme inerenti all'ordinamento generale dello Stato" vada riconosciuta "l'esistenza di un principio di inesigibilita' come limite superiore alle pretese creditorie", principio a sua volta consacrato dal giudice delle leggi nella precedente sentenza n. 149 del 1992, ove si afferma che "l'interesse del creditore all'adempimento degli obblighi dedotti in obbligazione deve essere inquadrato nell'ambito della gerarchia dei valori comportata dalle norme, di rango costituzionale e ordinario, che regolano la materia in considerazione: e quando, in relazione a un determinato adempimento, l'interesse del creditore entra in conflitto con un interesse del debitore tutelato dall'ordinamento giuridico o, addirittura, dalla Costituzione, come valore preminente o, comunque, superiore a quello sotteso alla pretesa creditoria, allora l'inadempimento, nella misura e nei limiti in cui sia necessariamente collegato all'interesse di valore preminente, risulta giuridicamente giustificato".
Mette ancora conto di analizzare l'aspetto, evidenziato dal ricorrente nel sub-motivo 2, della limitazione al solo cliente deceduto di tale situazione oggettiva di impossibilita' della controprestazione da parte del soggetto che, avendo gia' ricevuto la prestazione in denaro, e' tenuto alla restituzione "secondo le norme relative all'indebito". Della questione (invero assai delicata, dacche' inferente la necessita' di una piu' penetrante analisi del contenuto del contratto in contestazione sotto il profilo della sua esecuzione secondo buona fede e della attuazione di quegli obblighi di protezione accessori gravanti sul creditore) non puo', peraltro, occuparsi la corte, attesane la evidente inammissibilita', essendo la stessa stata sollevata per la prima volta dal ricorrente in questa sede. (Ne' il collegio puo' affrontare la connessa questione della legittimazione attiva della odierna resistente, la questione, cioe', se ella abbia agito o meno, nella specie, nella - necessaria - qualita' di erede del de cuius avente diritto alla restituzione, non avendo mai tale tematica costituito oggetto di dibattito nelle precedenti fasi processuali).
Con il terzo motivo, infine, si duole ancora il ricorrente di un supposto vizio di motivazione sul punto della ritenuta, inammissibilita' per carenza d'interesse dell'eccezione di contraddittorieta' della pronuncia di riduzione della somma ripetibile.
Il motivo e' privo di pregio giuridico sul piano processuale.
Premessa l'astratta condivisibilita' della censura in punto di diritto, del tutto legittimamente la corte di merito, con statuizione affatto immune da vizi logico-giuridici, ne ha poi statuito l'irrilevanza, e la conseguente inammissibilita', per l'attuale ricorrente (al quale non e', allo stato attuale della legislazione, consentita la proposizione di un ricorso nell'interesse della legge ex articolo 363 vecchio e nuovo testo c.p.c.), per avere quest'ultimo, da tale error iuris, tratto l'indubbio beneficio di vedersi (indebitamente) ridurre il quantum restitutorio dovuto alla controparte.
Il ricorso e' pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso. Spese del giudizio di Cassazione compensate.
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