Chiamata a giudicare il ricorso contro la sentenza della Corte D'Appello di Brescia, che aveva ribaltato la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale nei confronti dell’acquirente di un falso orologio Rolex, imputato del reato di ricettazione previsto e punito dall'art. 648 c.p., la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto necessario un intervento delle Sezioni Unite, al fine di stabilire se l’acquirente finale di un prodotto che si sia in condizione di ritenere contraffatto, per la qualità del venditore e per le condizioni di vendita, debba rispondere dell’ipotesi delittuosa di ricettazione, oppure dell'illecito amministrativo previsto dall’art. 1, comma 7, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni con L. 14 maggio 2005, n. 80.

Ai sensi dell'art. art. 1, comma 7, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, è infatti punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 100,00 fino a € 7.000,00 l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale.

Le modifiche apportate alla norma dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, hanno eliminato l'inciso originariamente inserito “salvo che il fatto costituisca reato”, per cui si è posta la questione del rapporto fra la nuova fattispecie amministrativa ed i reati di ricettazione, di cui all'art. 648 c.p., e di acquisto di cose di sospetta provenienza, di cui all'art. 712 c.p.

In forza del principio di specialità di cui all'art. 9 della legge n. 689/1981, infatti, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, trova applicazione la disposizione di legge speciale e non il concorso fra violazione penale e sanzione amministrativa.

In materia di acquisto di prodotti contraffatti, secondo un primo orientamento l'illecito amministrativo sarebbe speciale rispetto alla contravvenzione di cui all'art. 712 c.p., ma non anche rispetto alla ricettazione.

Soltanto l'elemento soggettivo della contravvenzione, essendo incentrato sull'acquisto o ricezione di cose di cui si abbia motivo di sospettare la provenienza da reato in ragione della loro qualità, della condizione di chi le offre o del prezzo, sarebbe specificamente sovrapponile con l'ultima versione legislativa dell'illecito amministrativo, mentre altrettanto non può dirsi del delitto di cui all'art. 648 c.p., che si sostanzia nell'acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto a fini di profitto, con la consapevolezza del falso.

Secondo altro orientamento, invece, deve trovare sempre applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria, dovendosi l'illecito amministrativo considerare speciale non soltanto rispetto all'incauto acquisto, ma anche in relazione alla ricettazione.

Tale tesi si fonda, in primo luogo, sull'interpretazione della volontà del legislatore, compatibile con l'applicazione di sanzioni amministrative e non penali per l'acquirente finale di beni con marchi contraffatti; in secondo luogo, sull'esigenza di evitare che la sanzione amministrativa resti priva di applicazione, non essendo ragionevolmente credibile che l'acquirente finale di un prodotto con segni falsi - si pensi al caso dell'acquisto da venditori ambulanti - non sia consapevole che l'oggetto acquistato sia provento della violazione dell'art. 474 c.p.; in terzo luogo, sulla considerazione per cui l'illecito amministrativo non è maggiormente compatibile con la struttura dell'art. 712 c.p., in quanto in esso si impiega l'espressione "inducano a ritenere", mentre nella contravvenzione la lettera della norma usa le parole "abbia motivo di sospettare", dal che si evince che l'illecito amministrativo può comprendere sia le situazioni di mero sospetto che quelle di piena consapevolezza della provenienza del bene oggetto di transazione commerciale.

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto, hanno quindi deciso sulla scorta delle riflessioni già svolte in precedenti pronunce sul concorso di norme fra fattispecie penali ed illeciti amministrativi, ribadendo che il rapporto di specialità debba essere verificato tramite il raffronto strutturale fra le fattispecie astratte (cfr. Cass. pen., S.U., 28 ottobre 2010, n. 1963; Cass. pen., S.U., 28 ottobre 2010, n. 1235).

Con la sentenza del 28 ottobre 2010, n. 1963, in tema di rapporti tra l'art. 334 c.p., e l'art. 213 C.d.S., comma 4, si è infatti precisato che "rilevante è, nel testo dell'art. 9, la differenza rispetto all'art. 15 c.p., laddove, invece di parlare di stessa materia, si fa riferimento allo stesso fatto. Non è, però, da ritenere che con questa formula il legislatore abbia inteso fare riferimento alla specialità in concreto, dovendosi al contrario ritenere che il richiamo sia fatto alla fattispecie tipica prevista dalle norme che vengono in considerazione, evitando quella genericità che caratterizza l'art. 15 c.p., con il riferimento alla materia. Valgono infatti, nel caso di concorso tra fattispecie penali e violazioni di natura amministrativa, le medesime considerazioni (...) sulla necessità che il confronto avvenga tra le fattispecie tipiche astratte e non tra le fattispecie concrete. Il che, del resto, è confermato dal tenore dell'art. 9 che, facendo riferimento al fatto punito, non può che riferirsi a quello astrattamente previsto come illecito dalla norma e non certo al fatto naturalisticamente inteso".

Pertanto, con riferimento ai rapporti fra l'illecito amministrativo previsto dall'art. 1, comma 7, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, ed i reati di ricettazione ed acquisto di cose di sospetta provenienza, se in applicazione dei principi suesposti si procede ad un raffronto strutturale tra le fattispecie astratte, si deve rilevare, in primo luogo, che il soggetto agente dell'illecito amministrativo è costituito dall'"acquirente finale", mentre i reati del codice penale possono essere commessi da "chiunque".

Inoltre, il concetto di "cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale", integra una specificazione di quello di "cose provenienti da un qualsiasi delitto" di cui al l'art. 648 c.p..

Infine, nell'illecito amministrativo la formula relativa alla modalità dell'acquisto che doveva avvenire "senza averne prima accertata la legittima provenienza" è stata eliminata dal legislatore, con la conseguenza che l'illecito amministrativo si può configurare qualunque sia l'atteggiamento psicologico del soggetto agente, poiché la semplice formula "inducano a ritenere" è idonea a comprendere sia il mero sospetto che la piena consapevolezza della provenienza illecita del bene acquistato.

Il rapporto di specialità, pertanto, sussiste sia rispetto al delitto che alla contravvenzione del codice penale, atteso che secondo l'art. 3 della n. 689 del 1981 nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

Alla luce delle considerazioni illustrate, le Sezioni Unite della Cassazione Penale, con sentenza 8 giugno 2012, n. 22225, hanno enunciato il seguente principio di diritto:

"L'acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell'illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.), attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall'avvenuta eliminazione della clausola di riserva "salvo che il fatto non costituisca reato", dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell'oggetto della condotta nonchè dalla rinuncia legislativa alla formula "senza averne accertata la legittima provenienza", il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa".



 

Avv. Elisabetta Doro

Foro di Bologna