A norma dell’art 2051 c.c., ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Detta norma configura, quindi, una ipotesi di responsabilità oggettiva, a carico di colui che si qualifichi quale custode della res, dalla quale è scaturito il danno.
Il nucleo essenziale della fattispecie costituiva di cui alla norma in oggetto è, quindi, rappresentato dalle nozioni di cosa e di custode, essendo i concetti di causalità e di danno comuni a tutte le ipotesi di responsabilità da fatto illecito.
Presupposto dell’ imputazione degli effetti dannosi a norma dell’art. 2051 c.c. è, dunque, innanzitutto che il danno sia stato prodotto “dalla cosa”, e non con la cosa, o perché la medesima sia suscettibile, per la sua intrinseca natura, di produrlo o perché in essa siano insorti agenti dannosi, anche se provocati da elementi provenienti dall’esterno.
In secondo luogo, tra la cosa ed il responsabile deve ovviamente sussistere un rapporto di custodia, che non si identifica con una forma di custodia intesa nel senso contrattuale del termine, bensì in un effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivi danno ad altri (Cass. 18-2-2000, n. 1859).
Ne consegue, pertanto, che custode della cosa può essere non solo il proprietario del bene, ,ma anche il semplice possessore, o addirittura il detentore, interessato o autonomo che sia.
Custode, ad esempio, può essere anche l’imprenditore, rispetto alle cose con cui svolge la sia attività, anche se affidate ai suoi dipendenti. Secondo la giurisprudenza, infatti, deve considerarsi custode sia chi controlla direttamente la cosa, sia chi si avvale di altri per tale controllo.
Come accennato in precedenza, l’art. 2051 c.c. pone a carico del custode della res una presunzione di responsabilità, dalla quale egli può liberarsi esclusivamente provando il caso fortuito, ossia un avvenimento che sia stato idoneo ad interrompere ed escludere il nesso di causalità tra la condotta del soggetto e l’evento dannoso e comprensivo, secondo la giurisprudenza anche del fatto del terzo e della colpa dello stesso danneggiato, cioè di un atto dotato di impulso causale autonomo ed avente carattere di inevitabilità (Cass. 15 – 5 – 97, n. 4196).
Riepilogando, la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia ha , quindi, fondamento:
? nell’essersi il danno verificato nell’ambito del dinamismo connaturato dalla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa;
? nell’esistenza di un effettivo potere sulla cosa fisico del soggetto sulla cosa, al quale inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi.
Qualora sussistano entrambi gli elementi, la norma di cui all’art. 2051 c.c. pone, quindi, a carico del custode una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta soltanto dalla prova che il danno è derivato esclusivamente dal caso fortuito, inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e della colpa del danneggiato (Cass. 25-11-88, n. 6340).
Pertanto, mentre graverà sul danneggiato l’onere di fornire prova il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno – ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione potenzialmente pericolosa del bene- sarà onere del custode indicare e provare la causa del danno estranea alla sua sfera di azione.