«9.1. Per quanto riguarda la zonizzazione occorre premettere che i comuni dispongono in proposito di ampia discrezionalità. Non si tratta di un potere privo di limiti e condizionamenti, ma certamente vi sono comprese le valutazioni circa le destinazioni che meglio possono valorizzare le caratteristiche del territorio e le esigenze dei residenti e delle attività insediate. Tali valutazioni possono variare nel tempo senza che questo fatto costituisca per sé un sintomo dell’uso distorto del potere. 9.2. Un limite intrinseco è costituito dalla vocazione naturale delle singole aree. Non corrisponderebbe infatti ai moderni canoni urbanistici (per una codificazione v. ora l’art. 8 comma 2 della LR 11 marzo 2005 n. 12) impedire a un’area di sviluppare le potenzialità che ha acquisito in conseguenza della trasformazione del contesto, e d’altro canto non sarebbe ragionevole insediare in un contesto ormai caratterizzato da una propria identità destinazioni incongrue e dissonanti. 9.3. Il terreno della ricorrente si colloca tra la zona residenziale e il Parco delle Colline. Potrebbe quindi in astratto essere aggregato all’uno o all’altro di tali contesti, o anche venire ripartito tra gli stessi. In effetti il Comune aveva inizialmente optato per l’espansione della zona residenziale (attraverso il PEEP presente nella pianificazione urbanistica fino al 1982) ma in seguito ha preferito una soluzione di minore impatto per il versante collinare, e nella più recente pianificazione si è orientato verso forme di tutela ancora più severe. 9.4. L’utilità di preservare, ove possibile, i versanti dall’edificazione intensiva è auto-evidente, se si considera la particolare fragilità di queste componenti del territorio. Le motivazioni espresse dal Comune nelle controdeduzioni all’osservazione presentata dalla ricorrente il 3 marzo 1999, pur essendo estremamente sintetiche, colgono dunque un aspetto significativo dello stato dei luoghi, senza peraltro trasformarsi in un improprio giudizio di compatibilità paesistica rispetto a un vincolo inesistente. In realtà il continuum naturalistico e la breve distanza tra il terreno della ricorrente e il Parco delle Colline (dove la disciplina vincolistica esiste ed è rigorosa) autorizzano l’uso di riferimenti di tipo paesistico anche all’esterno del Parco. Del resto in sede di pianificazione occorre necessariamente osservare il territorio in una prospettiva ampia, per macro-aree, valutando le conseguenze probabili della giustapposizione delle diverse destinazioni. 9.5. Anche sotto il profilo della quantificazione degli standard urbanistici la disciplina oggetto del presente ricorso appare giustificabile. La relazione allegata alla deliberazione consiliare n. 20/1999 (doc. 8 del Comune) dimostra infatti che, utilizzando come termine di confronto i parametri dell’art. 22 della LR 51/1975, non vi è stato sovradimensionamento nella stima degli standard residenziali. 9.6. La scelta di non rendere edificabile a scopi residenziali il terreno della ricorrente e di insediare invece attrezzature pubbliche di interesse comunale ha creato sull’area un vincolo sostanzialmente espropriativo. Tale situazione caratterizza la fase intermedia della pianificazione comunale (1982-2007), quella oggetto del presente giudizio. La previsione dell’asservimento di alcune aree private alla realizzazione di strutture pubbliche di cui potrà beneficiare il resto della popolazione, e in particolare i residenti più vicini, equivale a un vincolo espropriativo. La limitazione incidente sulle facoltà edificatorie non presenta infatti in questo caso il carattere della generalità: alcune aree subiscono la riduzione di una parte significativa del patrimonio giuridico incorporato, mentre altre all’opposto vedono accresciuto il loro patrimonio perché la creazione di strutture di servizio nelle vicinanze ne aumenta la fruibilità e il valore commerciale. In altri termini la localizzazione di strutture di interesse pubblico che costituiscono anche standard urbanistici crea un collegamento diretto tra la perdita subita dal proprietario dell’area incisa e il vantaggio conseguito dall’amministrazione e dai proprietari delle aree vicine. Per produrre questo effetto non è necessaria la progettazione di una specifica opera: il vincolo espropriativo si forma già a livello della pianificazione come conseguenza dell’individuazione degli standard urbanistici insediabili. Nei vincoli conformativi la limitazione subita dal proprietario è invece un mero riflesso della zonizzazione e dell’equilibrio raggiunto tra i vari interessi pubblici, e di conseguenza non viene immediatamente in rilievo la subordinazione di alcuni immobili alla maggiore utilità di altri. Nello specifico solo a partire dalla variante approvata il 2 febbraio 2007 il vincolo è divenuto conformativo, in quanto sono stati focalizzati e tutelati principalmente i valori paesistici presenti nell’area, in continuità con il vicino Parco delle Colline. 9.7. La natura espropriativa del vincolo non viene meno per il fatto che i proprietari possano realizzare direttamente (e poi gestire) le strutture di interesse pubblico previste dallo strumento urbanistico. Per ritenere cancellato il vincolo espropriativo è necessario che vi sia convergenza di interessi tra l’amministrazione e il proprietario a proposito della struttura da realizzare. Pertanto la perdita del carattere espropriativo si avrà solo dopo la stipula di una convenzione che definisca un equilibrio economico (conveniente sia per la parte pubblica sia per quella privata) tra le limitazioni subite dalla proprietà e la realizzazione (e successiva gestione) dell’opera. Diversamente per escludere il diritto all’indennizzo basterebbe una clausola di stile che riconosca ai privati la facoltà di sostituirsi all’amministrazione, il che determinerebbe un potenziale conflitto con la tutela della proprietà privata offerta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (v. riferimenti in TAR Brescia Sez. I 8 luglio 2009 n. 1461). 9.8. La mancata previsione dell’indennizzo per la reiterazione di un vincolo espropriativo non costituisce causa di illegittimità dello strumento urbanistico (v. CS Sez. IV 6 maggio 2010 n. 2627) ma consente unicamente una pronuncia che accerti la natura espropriativa del vincolo e il diritto del proprietario all’indennizzo. Qui passa il confine della giurisdizione amministrativa: una volta ottenuto l’accertamento sul vincolo da parte del giudice amministrativo, la concreta quantificazione economica dell’indennizzo è poi rimessa al giudice ordinario ai sensi dell’art. 39 comma 4 e dell’art. 53 comma 2 del DPR 8 giugno 2001 n. 327 (v. CS Sez. IV 3 marzo 2009 n. 1214). Poiché non è necessario ai fini della legittimità della variante urbanistica che sia previsto e quantificato l’indennizzo, cadono anche le censure relative al difetto di istruttoria per la mancata valutazione del costo globale della reiterazione del vincolo espropriativo: sul piano processuale l’interesse del privato si concentra sulla natura del vincolo in vista dell’indennizzo individuale e non può quindi svolgere alcuna funzione a sostegno dell’impugnazione della scelta urbanistica. 9.9. Nel caso specifico il vincolo espropriativo a cui occorre fare riferimento è quello finalizzato alla realizzazione di standard urbanistici, presente a partire dal 1982, mentre la precedente destinazione a PEEP non deve essere considerata espropriativa, in quanto sostanzialmente analoga all’utilizzazione del terreno proposta dalla ricorrente nella propria osservazione del 3 marzo 1999. Poiché la ricorrente con tale osservazione ha dimostrato di essere pronta a realizzare una lottizzazione residenziale, non si può ritenere che nei suoi confronti una previsione urbanistica finalizzata a un risultato simile (anche se non identico) possa costituire vincolo espropriativo, nonostante il fatto che per l’attuazione dei PEEP l’art. 11 della legge 18 aprile 1962 n. 167 preveda anche lo strumento dell’espropriazione. 9.10. Occorre poi sottolineare che nel caso in esame l’indennizzo per la reiterazione del vincolo espropriativo spetta solo fino alla data del 2 febbraio 2007, quando in seguito all’approvazione di una nuova variante urbanistica il vincolo ha assunto natura conformativa. Non appartiene alla materia del presente giudizio stabilire se questa evoluzione della disciplina urbanistica sia legittima o meno, e pertanto la mutazione nella natura del vincolo è qui assunta come un elemento di fatto che concorre a definire e limitare il diritto all’indennizzo. 9.11. La possibilità di ottenere la quantificazione e la liquidazione dell’indennizzo davanti al giudice ordinario non lascia spazio per una condanna di tipo risarcitorio, in quanto il danno che viene in rilievo è quello che costituisce la base di calcolo dell’indennizzo ai sensi dell’art. 39 comma 1 del DPR 327/2001. Certo non si può escludere in astratto che dalla reiterazione di un vincolo espropriativo possano derivare anche danni ulteriori (estranei all’indennizzo), la cui trattazione spetterebbe in effetti al giudice amministrativo per consequenzialità rispetto all’accertamento dell’illegittimo esercizio dei poteri di pianificazione urbanistica (v. TAR Brescia Sez. I 27 agosto 2010 n. 3238). Tuttavia nel caso in esame non vi sono elementi che consentano di rappresentare e misurare una diminuzione del patrimonio della ricorrente sotto questo profilo. 10. Il ricorso deve quindi essere accolto parzialmente, nel senso che viene accertato il carattere espropriativo del vincolo reiterato e il conseguente diritto all’indennizzo, con le precisazioni esposte ai punti precedenti. Per il resto il ricorso si deve considerare respinto, compresa la domanda risarcitoria». Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma Fonte:www.giustizia-amministrativa.it