In materia di retrocessione del bene espropriato
T.A.R. Campania, sez. V, n. 3887/2012
Avv. Giuseppe Spanò
di Parma, PR
Letto 958 volte dal 26/10/2012
La sentenza in epigrafe è quantomai rilevante in quanto ricorda alcuni principi fondamentali in materia di retrocessione del bene espropriato. In particolare il T.A.R. Campania rileva come la diversa posizione assunta dall'amministrazione in merito alla possibilità della retrocessione, e quindi ad una diversa ponderazione degli interessi mirata alla miglior cura della propria funzione, rende dovuta la conclusione esplicita del provvedimento.
Pertanto, poiché la previsione del piano urbanistico è vincolante per la stessa pubblica amministrazione, che non può approvare un progetto diverso da quello consentito dal vincolo preordinato all'esproprio, sussiste il principio per il quale occorre una variante allo strumento urbanistico, per realizzare l'opera originariamente non prevista ed, approvata in tal modo la variante, è apposto un ulteriore vincolo preordinato all'esproprio, avente una durata di cinque anni.
In sede applicativa si è affermato in giurisprudenza che: « In sede di retrocessione, qualora venga richiesto il decreto di inservibilità del bene espropriato non utilizzato, non possono essere considerati interessi pubblici che porterebbero ad utilizzare il bene per interessi pubblici diversi dalla prevista destinazione, salvo accertare elementi nuovi, non in vista della realizzazione di una differente opera pubblica, ma per valutare se il bene stesso non abbia o non possa avere una funzione di pertinenza dell'opera originaria, cioè per una migliore utilizzazione sia funzionale che ornamentale» (T.A.R. Lazio, sez. I, 9 aprile 1990, n. 386).
Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), all'art. 47 ("La retrocessione parziale") prevede che: «1. Quando è stata realizzata l'opera pubblica o di pubblica utilità, l'espropriato può chiedere la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata. In tal caso, il soggetto beneficiario della espropriazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa al proprietario ed al Comune nel cui territorio si trova il bene, indica i beni che non servono all'esecuzione dell'opera pubblica o di pubblica utilità e che possono essere ritrasferiti, nonché il relativo corrispettivo (......).
Se non vi è l'indicazione dei beni l'espropriato può chiedere all'autorità che ha emesso il decreto di esproprio di determinare la parte del bene espropriato che non serve più per la realizzazione dell'opera pubblica o di pubblica utilità».
La procedura delineata dal T.U., pertanto, vale a configurare la c.d. dichiarazione di inservibilità, come atto conseguente all'iniziativa dell'espropriato e prodromico alla restituzione dei beni, nel senso che il diritto alla retrocessione, anche parziale, dei beni che, compresi nell'originario provvedimento espropriativo, non siano stati effettivamente utilizzati dall'Amministrazione, è da inquadrare tra i diritti condizionati all'accertamento del presupposto costituito dalla dichiarazione da parte del beneficiario dell'espropriazione o dell'Autorità espropriante, della sopravvenuta inutilizzabilità, ed ha natura di diritto potestativo, il cui esercizio non risolve la precedente espropriazione, ma pone soltanto le condizioni di un nuovo trasferimento con effetto ex nunc (Cfr. C. di S., 7.9.2000, n. 4703).
Il T.A.R. Campania, alla luce delle argomentazioni sopraesposte conclude che nel dare seguito amministrativo alla propria sentenza n. 3887 l'Amministrazione comunale dovrà emettere apposito provvedimento avente ad oggetto la dichiarazione di inservibilità, con l'avvertenza che una eventuale dichiarazione di "servibilità" dei beni relitti non potrà essere motivata facendo riferimento ad un pubblica utilità implicita in un provvedimento diverso da quello in attuazione del quale è stato adottato il decreto di espropriazione.
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