Espropri illegittimi, difetto di giurisdizione ed altro
T.A.R. Catanzaro, sez. II, 11.9.2013, n. 901
Avv. Giuseppe Spanò
di Parma, PR
Letto 347 volte dal 04/12/2013
La sentenza in commento risulta particolarmente significativa in quanto esaminando diversi aspetti relativi ad una procedura illegittima di esproprio, riporta gli orientamenti giurisprudenziali più recenti che riguardano la materia soffermandosi su alcune questioni controverse.
Il Collegio, aderendo al prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa (ex multis T.A.R. Bari Puglia, sez. III, 11 maggio 2011, n. 701) ritiene che il termine di adozione del decreto di esproprio sia perentorio e la mancata conclusione del procedimento entro tale perentorio termine finale comporti l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, determini una fattispecie di cattivo uso del potere con la conseguente illegittimità degli atti emanati nel corso della procedura.
La prospettiva del superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva è stata fatta propria anche dalla Corte di cassazione, cui è dovuta, in massima parte, l'elaborazione giurisprudenziale dello stesso istituto, che nella recente sentenza 28 gennaio 2013 n. 1804 ha richiamato le pronunce con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (C.E.D.U.) ha censurato le forme di "espropriazione indiretta" elaborate nell'ordinamento italiano, configurandole come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell'uomo, garantito dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e sottolineando che giammai l'acquisizione del diritto di proprietà possa conseguire a un illecito, nessuna rilevanza potendo assumere il dato fattuale dell'intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno interessato (sentenze Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007).
La Suprema Corte, ha ritenuto che non è più predicabile il principio "...secondo cui occupazione appropriativa per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina, comunque, l'acquisto della proprietà, in capo alla P.A., dell'area occupata per effetto della realizzazione dell'opera pubblica..." e che "...ciò è confermato dalla presenza, nel sistema del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), di una norma, l'art. 42-bis, aggiunto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 34, comma 1, conv., con mod., dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, il quale, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di una utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile - con l'esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto - pervenire ad una acquisizione, non retroattiva, della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo".
Da qui la conclusione per la quale "Il trasferimento della proprietà privata in favore dell'Amministrazione può avvenire, oltre che a mezzo dello strumento negoziale o per usucapione, soltanto mediante il procedimento espropriativo ordinario o quello "espropriativo semplificato" previsto dall'art. 42 bis in via eccezionale" (Cass., sez. I, 28 gennaio 2013, n. 1804 cit.).
Consegue a quanto sopra che la radicale trasformazione del suolo a seguito dell'occupazione di esso e della realizzazione dell'opera pubblica non determina l'estinzione del diritto del proprietario né, correlativamente, l'acquisto della proprietà in capo all'Amministrazione o al beneficiario dell'espropriazione.
Il Collegio (c.f.r. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, n. 678/2013) condivide pienamente la tesi per la quale l'acquisto della proprietà in capo all'Amministrazione può avvenire, oltre che per via negoziale, solo a seguito di procedimento espropriativo ovvero in virtù dello strumento di cui all'art. 42 bis del T.U. delle espropriazioni per pubblica utilità.
Con riferimento alla domanda di corresponsione dell'indennità da occupazione, occorre distinguere tra occupazione legittima e illegittima.
In ordine alla domanda di corresponsione dell'indennità da occupazione legittima, il T.A.R. Catanzaro ha già avuto modo di precisare (sez. II, 1 febbraio 2012, n. 132; sez. I, 13 aprile 2011, n. 513) che ogni domanda tesa ad ottenere il riconoscimento degli indennizzi per il periodo di occupazione legittima spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, giusta il disposto di cui all'art. 53, comma 2, del D.P.R. n. 327/2001 e all'art. 133, comma 1, lett. g) del CPA (in tal senso, tra le molte, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 16 aprile 2013, n. 1985; T.A.R. Basilicata, sez. I, 13 marzo 2013, n. 132; T.A.R. Toscana, sez. I, 7 marzo 2013, n. 372; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 1 marzo 2013, n. 1187; id 14 giugno 2012, n. 2831). Giova, anche, precisare che, secondo la più recente giurisprudenza che il Collegio ritiene di condividere, l'eventuale connessione tra questa domanda e la domanda di risarcimento del danno non può giustificare l'attribuzione di entrambe allo stesso Giudice, in deroga alle norme regolanti la giurisdizione (T.A.R. Toscana, sez. I, 28 gennaio 2013, n. 134). Pertanto, limitatamente alla domanda tesa ad ottenere la corresponsione dell'indennità di occupazione legittima, il gravame deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.
Il T.A.R. Catanzaro nella sua sentenza esamina anche la domanda relativa al pagamento dell'indennità per occupazione illegittima, da qualificarsi come domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'illecito comportamento dell'Amministrazione che ha continuato ad occupare il bene con riferimento al periodo successivo alla scadenza dei termini di occupazione legittima.
Il danno risarcibile è quello sofferto dalla parte ricorrente per l'illecita, prolungata occupazione dei terreni in questione, che, a partire dalla data indicata, sono stati sottratti alla disponibilità dei legittimi proprietari, che, per ciò solo, non potendo trarre le utilità connesse al godimento del bene, ne hanno sofferto pregiudizio sul piano patrimoniale.
Si tratta di un illecito permanente, che perdura fino e per tutto il tempo in cui si protrae l'occupazione illegittima, vale a dire fino al momento in cui l'Amministrazione non porrà fine alla situazione di illiceità o non attiverà gli strumenti previsti dall'ordinamento al fine di rendere la situazione stessa conforme a diritto con l'acquisizione del consenso di controparte, mediante contratto, ovvero con l'adozione del provvedimento autoritativo di cui all'art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001.
Il danno da illecita occupazione va determinato, con valutazione equitativa, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., facendo riferimento all'interesse nella misura del 5% annuo calcolato sul valore venale del bene, a far data dal giorno, sopra ricordato, in cui l'occupazione è divenuta illegittima, fino a al giorno di deposito della sentenza (da tale data, infatti, parte ricorrente ha consapevolezza che può richiedere la restituzione del fondo e, quindi, in applicazione dell'art. 1227 c.c., ogni ulteriore inerzia importerà un aggravio del danno evitabile con l'ordinaria diligenza).
Alla stregua di quanto esposto, il Collegio ritiene deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario in ordine alla domanda di indennizzo per occupazione legittima; deve essere accolta la domanda di indennizzo per occupazione illegittima.
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