Si segnala la sentenza in epigrafe in quanto prosegue il filone inaugurato ad inizio anno (Cass. 28 gennaio 2013 n. 1604) ribadendo ormai un principio che possiamo ritenere consolidato, ossia che nel nostro ordinamento non ha spazio il modo di acquisto della proprietà già definito dalla giurisprudenza "occupazione appropriativa", che si perfeziona per la trasformazione irreversibile delle aree occupate con la costruzione su di esse delle opere dichiarate di pubblica utilità. Tale atipica forma di acquisizione della proprietà privata in favore di terzi o di soggetti pubblici, va comunque oltre i limiti della Costituzione e delle norme sopranazionali e comunitarie, con la conseguenza che nelle fattispecie concrete, comunque con rispondenti alla presente causa, dovrebbe applicarsi il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 42 bis aggiunto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 34, comma 1 convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111. Inoltre nella fattispecie sottoposta all'attenzione della Corte, la Cassazione ha anche ricordato, un altro principio che possiamo considerare pacifico, ossia che la domanda di risarcimento danno da illecita occupazione sarebbe stata comunque inammissibile in unico grado dinanzi alla Corte d'Appello, ovviamente incompetente su di essa.