«7. Superate le questioni preliminari, osserva la Sezione che – come dedotto nell’atto di appello - l’impugnata ordinanza del TAR ha erroneamente ricostruito il quadro normativo venutosi a creare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità, per eccesso di delega, dell’art. 43 del testo unico sugli espropri. 7.1. Come più volte evidenziato da questo Consiglio (cfr. Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), il medesimo art. 43 era stato emanato dal legislatore delegato per consentire una ‘legale via di uscita’ per i moltissimi casi in cui una pubblica amministrazione (ovvero un soggetto privato da essa immesso nel possesso, in esecuzione di una ordinanza di occupazione d’urgenza) avesse occupato senza titolo un’area di proprietà altrui, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio. 7.2. In precedenza, la prassi giudiziaria nazionale – innovando dal 1983 rispetto alla precedente ultrasecondare giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato che avevano costantemente ammesso la immanente titolarità di un potere di esproprio in sanatoria - si era consolidata nel senso dell’acquisto dell’area da parte dell’amministrazione (per analogia iuris), nel caso di irreversibile destinazione di un’area, per la quale fosse stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera da realizzare Poiché tale prassi era stata qualificata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo come ‘sistematica violazione’ delle disposizioni della Convenzione del 1950, sulla tutela del diritto di proprietà, l’art. 43 aveva dunque consentito che – in presenza di un effettivo interesse pubblico, rilevato nell’atto ablatorio – l’amministrazione avrebbe potuto adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, risarcendo integralmente il danno cagionato al proprietario ed esercitando il potere di acquisizione dell’area detenuta senza titolo. 7.3. Contrariamente a quanto ritenuto nella pronuncia ora gravata, con la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del testo unico, non era divenuto applicabile l’istituto della accessione. Tale istituto era stato sempre escluso dalla pacifica giurisprudenza sin dalla seconda metà dell’Ottocento. Infatti, la realizzazione di un’opera pubblica o di interesse pubblico, quando avvenga legittimamente, in esecuzione di atti di natura ablatoria solo successivamente annullati in sede di giustizia amministrativa, ha la propria peculiarità nella avvenuta realizzazione di opere nell’interesse della collettività(e in esecuzione di provvedimenti) e comporta il verificarsi di situazioni irriducibili a quelle disciplinate dal codice civile, le cui disposizioni dunque non si applicano. Neppure si poteva innovativamente ammettere l’applicabilità dell’art. 938 del codice civile, e ciò non tanto perché esso presuppone la sussistenza della buona fede dell’occupante (di un fondo attiguo a quello proprio, con una estenzione “orizzontale” di un diritto di proprietà) e la spettanza del doppio del valore dell’area a favore di chi perda il suo diritto reale (regola che il legislatore, nella consapevolezza dei notevoli riflessi per i bilanci pubblici, avrebbe potuto estendere – ma che non ha esteso - anche per i casi in cui manchi la buona fede), ma soprattutto perché le conseguenze derivanti da un giudicato di annullamento del giudice amministrativo non possono considerarsi disciplinate dagli istituti civilistici ( e irrilevanti nella specie, perché sorti per situazioni assolutamente diverse). In altri termini, il diritto civile non ha preso in considerazione i casi in cui vi sia la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, in esecuzione di provvedimenti autoritativi poi annullati dal giudice amministrativo. 7.4. La sentenza della Corte n. 293 del 2010 aveva in realtà comportato il ritorno alla attualità del sistema normativo, risalente al 1865, sulla sussistenza del potere di esproprio in sanatoria, sistema sul quale si era consolidata la giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato (superata a partire dal 1983 dalla prassi nazionale postasi in contrasto con la CEDU). Infatti, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di natura ablatoria, la richiamata plurisecolare giurisprudenza riconosceva il proprietario dell’area ancora come tale: ciò va ribadito, alla luce della pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Mentre però la giurisprudenza civile (allora avente giurisdizione) riteneva che la tutela restitutoria spettante al proprietario fosse preclusa da un atto tacito di destinazione dell’area al pubblico servizio e dunque dall’art. 4 dell’allegato E della legge del 1865 (sulla abolizione del contenzioso amministrativo), tale preclusione si è posta in contrasto con i principi dello Stato di diritto, in quanto “l’atto di destinazione” non era preso in considerazione dalla legge. In occasione della redazione del testo unico, questo Conssiglio di Stato aveva redatto l’art. 43, poi trasfuso nel testo unico sugli espropri, proprio per prevedere una legale via d’uscita, per dare una soluzione legislativa – con l’attribuzione di un potere discrezionale all’Amministrazione - ai casi che oramai stavano comportando la sistematica condanna della Repubblica Italiana innanzi alla CEDU, nei giudizi posti in essere dai proprietari che lamentavano di aver perso il loro diritto di proprietà, sulla base di sentenze pronunciate ex post e senza fondamento normativo, e non sulla base di atti amministrativi la cui emanazione fosse consentita dalla legge. La sentenza della Corte Costituzionale – nel rilevare un eccesso di delega e nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 43 – ha dunque fatto tornare l’ordinamento ad una peculiare situazione, in cui di certo da un lato non poteva disconoscersi il perdurante diritto di proprietà del titolare, malgrado la avvenuta costruzione dell’opera pubblica o di interesse pubblico, e dall’altro non poteva negarsi l’immanente potere di disporre l’esproprio in sanatoria, per evitare la demolizione di quanto costruito a spese della collettività e che, se del caso, ancora risultava conforme alle esigenze di questa. L’art. 42 bis del decreto legge n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 2011, ha dunque reintrodotto il potere discrezionale già disciplinato dall’art. 43: l’amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto – può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito). L’art. 42 bis prevede, al comma 1, che l’Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni “trovano altresì applicazione ai fatti anteriori”, sicché esso si applica senza alcun dubbio anche nella fattispecie in esame. 8. Anche nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. Essa o deve restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore. 9.Nel caso di specie la rilevanza dell’art. 42 bis cit. appare indubbia, poiché sull’area occupata senza titolo (in base agli atti annullati in sede di giustizia amministrativa) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, in quanto prese in considerazione nella originaria delibera del CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001 e funzionali alla connessione con la viabilità esterna dell’Interporto Marcianise-Maddaloni. Ritiene la Sezione che, in assenza di atti di natura ablatoria ex art. 42 bis o di contratti di acquisto delle relative aree, sussiste il suo potere-dovere di avvalersi (anche per il tramite del commissario ad acta) del Genio civile e del Prefetto di Caserta e di disporre – con le necessarie cautele per la pubblica incolumità – la materiale rimozione, anche con l’esplosivo, delle opere che attualmente risultano senza titolo. Tuttavia, ritiene anche la Sezione che – nel presente giudizio di ottemperanza ed in questa fase – essa debba avvalersi dei propri poteri tipici della giurisdizione di merito e dunque che debba tenere in debito conto le esigenze di interesse pubblico che militano – in attesa delle determinazioni da fare assumere ai sensi dell’art. 42 bis - nel senso del provvisorio mantenimento del nodo stradale ormai completato e da tempo aperto al pubblico transito (in quanto consente la prosecuzione di attività industriali e commerciali, nell’ambito delle quali svolgono il loro lavoro centinaia di addetti, che non potrebbero altrimenti più lavorare). 10. La Sezione ritiene che la competenza sulla gestione della vicenda (con l’alternativa tra l’emanazione dell’atto di acquisizione e la materiale demolizione dell’opera ad opera del Genio Civile) sia del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Infatti, le opere pubbliche e quelle di interesse pubblico connesse alla realizzazione dell’Interporto di Marcianise-Maddaloni rientrano, come risulta dalla originaria sentenza di annullamento del 2005 su cui si è formato il giudicato, nel campo di applicazione della legge n. 443 del 2001 (in conformità a quanto disposto dal CIPE), sicché tale Amministrazione centrale risulta anche titolare del potere previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri. La Sezione dunque dispone che: a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla previa notifica della presente sentenza), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, anche mediante il commissario ad acta già nominato dal Ministro in data 16 giugno 2011 nella persona dell’ing. Giovanni Gugliemi (ovvero con altro funzionario incaricato), trasmetta ai proprietari – per il tramite del loro difensore costituito nel presente giudizio – l’avviso di avvio del procedimento previsto dall’art. 42 bis del testo unico degli espropri, consentendo loro, entro un termine non inferiore a sette giorni, di rappresentare il loro punto di vista sia sulla complessiva vicenda e sulla sussistenza o meno di un interesse pubblico, tale da giustificare l’emanazione dell’atto di acquisizione, sia sul valore dell’area in questione (specificando il suo ipotizzato valore complessivo ovvero computandolo a metro quadrato); b) decorsi i medesimi termini, entro i successivi sessanta giorni, il commissario: b1) debba emanare il formale provvedimento di acquisizione dell’area, ai sensi dell’art. 42 bis, disponendo l’onere a carico della società Interporto Sud Europa, che sarebbe risultata beneficiaria nel caso di emanazione del decreto di esproprio (salva la sua facoltà di proporre opposizione al giudice civile, come previsto dal testo unico sugli espropri); b2) in alternativa, debba emettere un atto formale (di cui assumerà tutte le responsabilità), in cui dichiari che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non ritiene sussistenti i presupposti di emanazione dell’atto di acquisizione previsto dall’art. 42 bis, contestualmente dandone notizia al Genio Civile (affinché tale organo – senza indugio – con l’assistenza del Prefetto di Caserta si rechi sul posto e nel minore tempo possibile disponga la materiale demolizione del tracciato stradale), nonché alla procura competente della Corte dei Conti, affinché essa sia informata delle vicende che hanno condotto allo sperpero del denaro pubblico. Il commissario, non appena avrà emanato uno dei due provvedimenti da emanare in alternativa come previsto dalle precedenti lettere b1) e b2), invierà una articolata e documentata relazione alla Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato. Ove tale termine trascorra inutilmente, senza atti formali, della vicenda sarà data notizia alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. 11. La Sezione è consapevole della delicatezza degli interessi coinvolti e della nettezza delle misure sopra statuite, ma non può che evidenziare che nello Stato di diritto – anche in base agli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – le decisioni di giustizia, divenute irrevocabili, devono essere eseguite. E nella specie l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto può avere luogo – come sopra rilevato - o nella riduzione in pristino del terreno in favore dei proprietari (con la spettanza anche del risarcimento del danno derivante dal ritardo della consegna) o nella emanazione del provvedimento di acquisizione (con la spettanza dell’indennizzo di cui all’art. 42 bis)». Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma Fonte:www.giustizia-amministrativa.it