Quando un'opera può considerarsi precaria: il parametro di valutazione dev'essere funzionale
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T.A.R. Campania - Napoli - Sentenza 10 Novembre 2017 , n. 5327
La precarietà dell'opera va valutata secondo la componente funzionale, cioè la concreta ed oggettiva destinazione cui è strumentale. Pertanto non rileva solo il sistema costruttivo, bensì l'idoneità dell'opera, per le sue connotazioni funzionali, ad un'utilizzazione termporanea. La precarietà non dipende dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è destinata.
La precarietà dell'opera va valutata secondo la componente funzionale, cioè la concreta ed oggettiva destinazione cui è strumentale. Pertanto non rileva solo il sistema costruttivo, bensì l'idoneità dell'opera, per le sue connotazioni funzionali, ad un'utilizzazione termporanea. La precarietà non dipende dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è destinata.
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N. 5327/2017 Reg. Prov. Coll.N. 10768 Reg. Ric.ANNO 2001REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 10768 del 2001, proposto da B. A., rappresentata e difesa dall'Avv. Sergio Como, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo difensore in Napoli, viale Gramsci 16;controComune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro - tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura municipale e domiciliato presso gli uffici dell'avvocatura medesima in Piazza Municipio, Palazzo San Giacomo;per l'annullamentoa) dell'ordine di demolizione n. 477/2001;b) nonchè di ogni altro atto e/o provvedimento sotteso, preordinato, connesso e conseguente, anche non conosciuto lesivo dei diritti e degli interessi del ricorrente, ivi inclusi i verbali della Polizia Municipale richiamati nel provvedimento suindicato.Visti il ricorso e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2017 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTOCon il gravame in epigrafe la ricorrente impugna, unitamente agli atti connessi, il provvedimento n. 477/2001, con cui il Comune di Napoli, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 47/85, ha ordinato la demolizione delle opere di seguito descritte siccome realizzate, in assenza dei prescritti titoli abilitativi, alla via F. Galiani, n. 3, in zona vincolata.Segnatamente, il predetto Ente, con il precitato titolo ingiuntivo, ha contestato l'abusiva realizzazione in ampliamento della preesistente unità immobiliare di:1) un "manufatto in ferro e muratura" di circa 60 mq;2) una "tettoia in ferro e vetri di ml. 15";3) un'apertura di nuova porta di caposcala";4) un "allargamento vano finestre a m. 2,65 x 2,45 d'altezza".A sostegno della spiegata azione impugnatoria la ricorrente deduce:1) la pendenza di un'istanza di condono, tuttora non delibata;2) l'insufficienza del corredo istruttorio del provvedimento impugnato, non preceduto dal parere della Commissione Edilizia Integrata;3) la insussistenza dei presupposti per l'applicazione della sanzione di tipo ripristinatorio, in quanto opere precarie, accessorie e di manutenzione straordinaria;4) la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento;5) l'insufficienza del corredo motivazionale dell'atto impugnato anche in ragione della mancata valutazione della sussistenza di un interesse pubblico attuale alla demolizione in connessione con l'epoca risalente delle opere qui in rilievo.Resiste in giudizio il Comune di Napoli.Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di seguito indicati.Tanto è a dirsi in relazione alle opere di cui ai punti 1) e 4) (id est "manufatto in ferro e muratura" di circa 60 mq; "allargamento vano finestre a m. 2,65 x 2,45 d'altezza") in ragione della dedotta, e non smentita, pendenza in relazione a tali opere di una domanda di condono (pratica 4198/95), tuttora non delibata.La parte resistente, nella memoria difensiva da ultimo depositata in giudizio, riconosce espressamente che per il manufatto di cui al punto 1) pende procedimento di condono edilizio (prat. n. 4198 del 28.2.1995), coltivando tuttora dubbi sul fatto che vi rientri l'"allargamento vano finestre a m. 2,65 x 2,45 d'altezza" (punto 4).Orbene, in relazione alle opere di cui al punto 4) mette conto evidenziare che, giusta quanto relazionato dallo stesso Comune di Napoli, Settore Condono Edilizio nella nota prot. 728007 del 27.9.2017 prodotta in giudizio il 28.9.2017, la domanda di condono qui in rilievo è riferita, tra l'altro, alla "Variazione sul prospetto per l'allargamento dì un vano di passaggio provvisto di pensilina in ferro e vetro a protezione delle intemperie; realizzazione, nello stesso ambiente, di una finestra, realizzazione di una finestra a nastro con vano di passaggio nella parete esterna di suddivisione tra il nuovo volume e l'immobile originario". Muovendo da siffatta premessa il suddetto Ufficio non reca alcuna smentita dell'assunto attoreo circa la pendenza, anche per le opere di cui al punto 4, di un'istanza di sanatoria limitandosi ad osservare che ".non è possibile a priori stabilire con certezza quali di questi ab coincidano o meno con quelli sanzionati con l'ordinanza di demolizione impugnata con il ricorso in oggetto".In siffatta evenienza, ritiene il Collegio che il Comune di Napoli avrebbe potuto esercitare i propri poteri repressivi solo in relazione alle opere accertate come sicuramente estranee alla detta istanza di condono.Com'è noto, la preventiva presentazione di un'istanza di condono preclude l'adozione di provvedimenti repressivi (cfr. ex multis, sentenze di questa Sezione 23 maggio 2014, n. 2861, 11 dicembre 2013, n. 5661, 26 luglio 2012, n. 3588 e 16 marzo 2012, n. 1301, nonché Cons. Stato, sezione quinta, 31 marzo 2010, n. 1875; Tar Campania, Napoli, sezione quarta, 5 giugno 2013, n. 2894; Salerno, sezione prima, 25 luglio 2012, n. 1480; Tar Basilicata, Potenza, sezione prima, 23 maggio 2013, n. 293; Tar Marche, Ancona, sezione prima, 16 maggio 2013, n. 366).Opinare diversamente significa, invero, vanificare, a priori, il già pendente procedimento di sanatoria: la definizione del suddetto procedimento assume, dunque, rilievo pregiudiziale rispetto alle disposte misure sanzionatorie, che restano evidentemente azionabili solo nell'ipotesi di una reiezione della domanda di applicazione dei benefici del condono.Ed invero, secondo autorevole giurisprudenza, ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve restare sospeso, qualora risulti presentata istanza di concessione in sanatoria fino alla definizione di detta istanza da parte del Comune, al quale il giudice non può in ogni caso sostituirsi, nemmeno per una valutazione in via incidentale della eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta (Consiglio Stato sez. IV, 04 novembre 2005, n. 5273; sez. IV, 03 maggio 2005, n. 2137).Ed, infatti, l'ordinanza di demolizione non può avere valenza anche di implicito atto di reiezione della sanatoria posto che il Comune è tenuto a pronunciarsi sul condono con distinto provvedimento espresso e motivato in applicazione dei principi di trasparenza e buon andamento. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VII, 12/09/2016 n. 4244).Né possono essere qui valutati i presupposti per la concessione del beneficio del condono.Ancora di recente questo Tribunale ha evidenziato che l'astratta non accoglibilità dell'istanza di condono edilizio non esclude che l'amministrazione comunale debba sempre preventivamente pronunciarsi, con un provvedimento espresso, in merito alla fondatezza della domanda di sanatoria e poi determinarsi per la comminatoria o meno della sanzione di demolizione, ostando ad un'eventuale inversione provvedimentale non solo il chiaro disposto di legge, ma anche i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia (cfr. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. II, 21/06/2016, n. 3128).Il principio esposto trova applicazione anche quando gli immobili per i quali è chiesto il condono ricadano in zona vincolata, essendo comunque l'Amministrazione tenuta, a fronte della domanda, ad esprimersi anche in senso negativo circa la sussistenza dei presupposti per la sanabilità dell'intervento (cfr.T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VI, 14/01/2016, n. 176).Il ricorso va, inoltre, accolto quanto alle opere di cui al punto 3 (un'apertura di nuova porta di caposcala) siccome realizzate all'interno dell'edificio - con conseguente valenza neutra rispetto al regime vincolistico di zona - e non incidenti sui volumi, destinazione d'uso, prospetti e sulla sagoma dello stesso.Si tratta, invero, di intervento, al più qualificabile come intervento di ristrutturazione semplice, non riconducibile alle fattispecie di cui al combinato disposto di cui all'articolo 10 comma 1 e art. 33 del d.p.r. 380/2001, in quanto arreca una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la iniziale consistenza urbanistica.In ragione di quanto fin qui esposto il ricorso va parzialmente accolto nei limiti sopra evidenziati.Per il resto il ricorso va respinto.Ed, invero, quanto alla tettoia in ferro, non può, anzitutto, dubitarsi della competenza dell'organo burocratico che ha adottato l'atto.Il passaggio ai dirigenti, nella materia edilizia, delle competenze originariamente attribuite al Sindaco ha avuto un'evoluzione progressiva, che risulta, però, da tempo definitivamente completata: ad opera dell'art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, che ha modificato l'art. 51 legge n. 142/90, è stata, infatti, attribuita ai dirigenti, tra l'altro, la competenza ad emanare atti in materia edilizia, anche se solo in virtù dell'art. 2 della legge n. 191/1998 il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Ad ogni buon conto, l'art. 107, comma 2, del d. l.vo 18 agosto 2000 n. 267, nel quale sono confluite le disposizioni citate, prevede che sono di competenza dei dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'Ente o non rientrati tra le funzioni del segretario o del direttore generale".Va, inoltre, aggiunto che, del tutto coerentemente con il descritto quadro normativo, il Testo unico sull'edilizia, di cui al d.p.r. 380 del 2001, attribuisce la competenza ad adottare le misure sanzionatorie in subiecta materia sempre "al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale".In tale quadro normativo, che risponde ad una tendenza irretrattabile di organizzazione dei poteri pubblici secondo l'apicale esigenza di distinzione fra livello politico e livello burocratico di gestione amministrativa, l'orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le ripetute misure, direttamente e senza l'intermediazione di fonti regolamentari, nella sfera di competenza del dirigente (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quinta, 18 novembre 2003, n. 7318, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 25 settembre 2009, n. 5088 e 24 settembre 2009, n. 5071; sezione seconda, 13 febbraio 2009, n. 802; sezione terza, 6 novembre 2007, n. 10670; sezione quarta, 13 gennaio 2006, n. 651; sezione ottava, n. 9600 del 2008; Cass. civ., sezione seconda, 6 ottobre 2006, n. 21631).Né assume rilievo l'omessa acquisizione del parere della commissione edilizia integrata, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenza 26 giugno 2009, n. 3530; 676 del 10 febbraio 2009, 27 marzo 2007, n. 2885).Osserva poi il Collegio che l'intervento edilizio de quo ha generato, per dimensioni e struttura, un'alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi in zona paesaggisticamente vincolata. Si tratta, infatti, della realizzazione di una tettoia in ferro e vetri di rilevanti dimensioni (circa 15 mq.). Stante la qualificata alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi conseguita, l'intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava, anzitutto, soggetto alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica. In proposito, la giurisprudenza ha statuito che ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand'anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l'applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (questo Trib., sez. IV, 23 ottobre 2013, n. 4676). In argomento, il Consiglio di Stato ha poi affermato (cfr. sentenza sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 62 in riforma della sentenza n. 5324/2011 resa da questo Tribunale), che a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l'intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi dell'art. 27, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere sanzionato.Né è possibile qualificare l'opera de qua come precaria.Le divisate caratteristiche costruttive già, di per se stesse, inducono ad escludere l'elemento della c.d. precarietà delle opere, posto che tale qualificazione - peraltro smentita per tabulas dal perdurante mantenimento della struttura - non può conciliarsi con l'oggettiva attitudine strutturale dell'opera ad un suo impiego prolungato nel tempo.Peraltro, in vista dell'individuazione del regime cui restano soggette le opere in argomento, occorre metter capo anche alla componente cd. funzionale, vale a dire alla concreta ed oggettiva destinazione cui sono strumentali.Ciò che, in altri termini, rileva non è solo il sistema costruttivo, bensì l'idoneità dell'opera, in ragione delle sue tipiche connotazioni funzionali, ad accreditare un'utilizzazione circoscritta nel tempo in quanto strettamente correlata ad esigenze di carattere meramente temporaneo. E' stato, infatti, efficacemente evidenziato in giurisprudenza che la precarietà di un manufatto la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa, va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera dai proprietari, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale (Cons. Stato, V Sez., n. 3321/00; T.A.R. Latina Lazio sez. I, 12 ottobre 2011, n. 799).Tanto premesso, il Collegio, anche sotto tale diversa prospettiva (cd. funzionale), ritiene non condivisibile la prospettazione di parte ricorrente, volta a ricondurre il manufatto de quo alla tipologia delle opere cd. precarie.Il requisito della temporaneità va apprezzato con criterio oggettivo avuto riguardo all'oggetto della costruzione nei suoi obiettivi dati tecnici e deve, dunque, ricollegarsi alla sua destinazione materiale, che ne evidenzi un uso realmente precario o temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 986; Consiglio Stato, sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828; Consiglio Stato, sez. V, 24 febbraio 1996, n. 226; CdS Sez. V 23.1.1995; Cass. Sez. III 28.1.1997; Cass. Sez. III 4.10.1996).Orbene, in applicazione della suindicata metodica euristica, avuto riguardo al materiale versato in atti, deve escludersi la possibilità di enucleare indici di sicuro affidamento idonei a suffragare la dedotta precarietà delle opere in contestazione.Parimenti infondate si rivelano, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l'insufficienza del corredo motivazionale dell'atto impugnato. Vale, infatti, rilevare che a fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione delle opere in contestazione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell'organo di vigilanza, senza la necessità di accertare in via preventiva la sanabilità dell'intervento eseguito.In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l'esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto: l'atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell'abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.Priva di pregio risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell'avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780; 13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime. D'altro canto, anche a voler ammettere in subiecta materia la predicabilità degli adempimenti in questione, deve rilevarsi come, venendo in rilievo atti dovuti, le violazioni procedimentali denunciate dequotano - secondo il costrutto normativo di cui all'articolo 21 octies della legge n. 241/1990 - a mere irregolarità.In ragione della parziale, reciproca soccombenza le spese possono essere compensate, ad eccezione del contributo unificato che resta definitivamente a carico della ricorrenteP. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, nei limiti indicati in parte motiva, e, per l'effetto, nei limiti suddetti, annulla l'atto impugnato.Spese come da motivazione.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati: IL PRESIDENTEAnna PappalardoIL CONSIGLIERE ESTUmberto MaielloIL CONSIGLIERELuca Cestaro Depositata in Segreteria il 10 novembre 2017
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