Inedificabilità relativa dell'immobile? Sì alla risoluzione per presupposizione Tribunale Taranto, sez. II, sentenza 19.11.2012
Tribunale Taranto, sez. II, sentenza 19.11.2012
Avv. Angelo Forte
di Modugno, BA
Letto 620 volte dal 11/04/2013
La presupposizione può darsi anche quando, sebbene il promittente acquirente si sia seriamente attivato per ottenere il permesso a costruire, per un fatto indipendente dalla sua volontà, non si sia pervenuti a realizzare la ragione pratica del preliminare, che le parti hanno necessariamente avuto presente al momento genetico del rapporto: acquistare un lotto ad un prezzo proporzionato alla sua qualità edificabile presupposta dalle parti. Così stando le cose, diviene onere della promittente venditrice dimostrare che l’area sarebbe stata suscettibile di essere edificata e che gli ostacoli sorti per ottenere il permesso di costruire siano da imputare a negligenza dell'acquirente e non alle caratteristiche del bene negoziato.
Tribunale di Taranto
Sezione II
Sentenza 19 novembre 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TARANTO - II SEZIONE
In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano
Ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1231 R.G. anno 2008 Affari Civili Contenziosi promossa da:
X. Costruzioni S.R.L., in persona del suo amministratore unico, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco De Palma;
CONTRO
S. A. – rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Esposito;
OGGETTO: “Vendita di cose immobili”;
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;
MOTIVI DELLA DECISIONE
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
Con atto di citazione regolarmente notificato la X. Costruzioni, nel convenire in giudizio la sig.ra S. A., affermava di aver stipulato in data 20-12-2006 un preliminare di vendita, con il quale la convenuta le prometteva di vendere la piena proprietà di un zona di terreno situata in Taranto, al Viale Unità d’Italia, della superficie di mq. 2000, identificata in Catasto Terreni al foglio 264, plla 144.
L’attrice precisava che le parti avevano presupposto l’edificabilità del suolo, tanto che nello stesso contratto si aveva cura di precisare che la parte promittente venditrice autorizzava la parte promittente acquirente a presentare agli enti preposti la documentazione necessaria per le pratiche di progettazione riguardanti la zona di suolo in oggetto, autorizzandola altresì a compiere tutti i rilievi topografici per l’istruzione delle pratiche progettuali.
Del resto anche l’ammontare del prezzo convenuto per l’acquisto del predetto lotto di terreno, ossia ben € 1.000.000,00, deponeva per la sua presupposta edificabilità; all’atto della stipula del preliminare, inoltre, era stata versata la somma di euro 200.000,00.
Il definitivo poi avrebbe dovuto essere stipulato entro il 30-07-2007, data entro la quale doveva versarsi il saldo di euro 520.000,00.
Senonchè, osservava l’attrice, nonostante proprio il tempestivo attivarsi per il rilascio delle necessarie autorizzazioni per la costruzione di un fabbricato per civili abitazioni sul terreno in parola, il Comune in data 13-07-2007, con nota a firma del Responsabile del Procedimento, comunicava il preavviso di diniego del rilascio del permesso di costruire, richiesto in precedenza.
La circostanza, precisava l’istante, veniva comunicata alla convenuta con raccomandata inviatale il 13 luglio e giunta a destinazione il successivo 18 luglio; tanto sia allo scopo di concordare una linea di difesa allo scopo di spingere la p.A. a rivedere la preannunziata presa di posizione, sia per pervenire ad una bonaria soluzione della vicenda.
Per tutta risposta, lamentava l’attrice, la controparte notificava in data 18-07-2007 diffida ad adempiere con il conseguente invito a rispettare per la stipula del definitivo il termine del 30-07-2007, pena, in mancanza, della risoluzione del contratto.
L’istante aggiungeva che in data 28-09-2007 il Comune di Taranto, nella persona del Dirigente del Settore Urbanistica, certificava il motivo dell’inedificabilità: il lotto ricadeva a meno di 300 mt. di distanza dal depuratore comunale Gennarini.
Tanto premesso la società attrice riteneva che nella fattispecie l’edificabilità del suolo si fosse atteggiata come presupposizione e, di conseguenza, aveva il diritto di ottenere la risoluzione del contratto.
In subordine, aggiungeva l’istante, lo stesso diritto poteva esserle riconosciuto, considerando l’edificabilità del suolo come una qualità promessa ed il sopravvenuto accertamento della sua inedificabilità come consegna di aliud pro alio.
In estremo subordine, opinava sempre la difesa istante, si sarebbe potuta configurare la circostanza dell’inedificabilità come errore sulla qualità del bene, idoneo a condurre all’annullamento del contratto.
Concludeva quindi per la restituzione della somma versata, pari ad euro 200.000,00.
LA DIFESA DELLA CONVENUTA
In primo luogo la convenuta escludeva che si fosse configurata l’invocata presupposizione, posto che in nessuna parte del preliminare il fondo veniva definito edificabile, ed essendosi le parti limitate a parlare “unicamente di pratiche di progettazione riguardanti il suolo in oggetto”; quindi, aggiungeva la difesa convenuta, la controparte, anche nella sua veste qualificata di imprenditore edile, sapeva o doveva sapere di dover sottoporre agli enti preposti le pratiche necessarie per poter effettuare gli interventi programmati sul lotto.
Escludeva poi la ricorrenza di un vizio sul processo di formazione della volontà contrattuale; negava quindi la ricorrenza del supposto errore, come causa di annullamento del contratto.
Sotto altro profilo la convenuta sosteneva che il fondo era edificabile, solo che per un presumibile errore di progettazione era stato manifestato dall’autorità competente il diniego del rilascio del permesso di costruire; infatti, argomentava, nell’istanza rivolta dall’attrice al Responsabile Unico del Procedimento, volta ad ottenere il superamento del prospettato limite all’edificabilità, fra l’altro così veniva affermato: “L’erigendo fabbricato dista mt. 423,52 dalle vasche dell’impianto di depurazione, mentre la distanza si riduce a mt. 270 circa, solo se si calcola la distanza tra il fabbricato ed il confine dell’area su cui insisteva l’impianto di depurazione”.
Come a dire, sosteneva la difesa convenuta, che un diverso progetto, considerando che l’estensione del suolo era di ben metri 2.072 circa, avrebbe potuto avere un esito positivo.
La convenuta quindi concludeva in primo luogo per il rigetto della domanda; spiegando riconvenzionale, chiedeva poi che fosse accertato l’inadempimento della controparte, pronunziata la risoluzione ipso iure del contratto e riconosciutole il diritto di trattenere la caparra, oltre al risarcimento dei danni.
L’ISTRUTTORIA
Si sentiva solo la convenuta in sede di interrogatorio formale.
All’udienza del 06-06-2012 la causa veniva riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche.
LA RICORRENZA DELLA PRESUPPOSIZIONE DELL’EDIFICABILITÀ
Non può contestarsi che le parti nello stipulare il preliminare abbiano presupposto l’edificabilità del suolo promesso in vendita.
Depone in tal senso la chiara lettera del contratto.
In primo luogo essa è eloquente, nel senso preferito, laddove veniva data espressa autorizzazione dalla parte promittente venditrice alla parte promittente acquirente di “attivarsi per le pratiche di progettazione riguardanti la zona di suolo in oggetto, autorizzando altresì a compiere tutti i rilevi topografici per l’istruzione delle pratiche progettuali”.
In secondo luogo era stata prevista finanche la possibilità di applicare la penale di euro 1.500.000,00, qualora fosse stata violata la clausola che imponeva di non edificare sul suolo fabbricati con specifica destinazione turistica, quali Hotel, Residence, etc.
Il significativo ammontare del prezzo poi era forse ancora più eloquente, sempre nel senso della ricorrenza della condizione inespressa rappresentata dalla edificabilità del lotto (anzi verrebbe fatto di dire quasi espressa come una qualità del bene, e non certo del suo valore come opinava la difesa convenuta).
Ma a ben vedere l’edificabilità non era neanche contestata dalla difesa convenuta, soprattutto quando svolgeva la difesa ulteriore ed in via subordinata, secondo cui il suolo in realtà doveva considerarsi edificabile, potendosi al più essersi verificato un errore di progettazione o meglio una progettazione inidonea a superare il limite inderogabile della distanza di trecento metri del lotto dall’impianto di depurazione.
LA PRESUPPOSIZIONE RICORRE ANCHE QUANDO L’INEDIFICABILITÀ È RELATIVA: VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DELLE PARTI ALLA LUCE DELLA BUONA FEDE EX ART. 1175 – 1366 - 1375 C.C.
In altri termini, a ben vedere, pur essendo il suolo edificabile, l’autorità competente perveniva al diniego del rilascio del permesso di costruire per “il mancato rispetto della distanza minima mt. 300, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento Regionale n. 3 del 1989, che intercorre tra l’area di insediamento del depuratore preesistente in località Gennarini e l’area tipizzata dal vigente P.R.G. a Zona Residenziale di espansione di tipo C( D5), regolamentata dall’art. 45 delle Norme Tecniche di Attuazione. Particella 144 foglio 264”.
Tanto come risulta da nota del 03-07-2007del Responsabile del Procedimento.
Allora la prospettiva della problematica giuridica muta, trattandosi di verificare se l’inedificabilità in concreto avutasi fosse dovuta alle caratteristiche del bene negoziato ovvero fosse dipesa da un’inidonea progettazione imputabile all’acquirente.
Non può infatti contestarsi che la presupposizione possa darsi anche quando, sebbene il promittente acquirente si sia seriamente attivato per ottenere il permesso a costruire, per un fatto indipendente dalla sua volontà, non si sia pervenuti a realizzare la ragione pratica del preliminare, che le parti hanno necessariamente avuto presente al momento genetico del rapporto: acquistare un lotto ad un prezzo proporzionato alla sua qualità edificabile presupposta dalle parti.
Ora è indubbio che il promittente acquirente, proprio per la sua qualità di costruttore si sia adoperato con la necessaria diligenza per ottenere il permesso di costruire: l’istanza tesa ad ottenere il permesso di costruire risale già al 12-01-2007, se si considera che la stipula del preliminare avveniva il 20-12-2006.
Ancora a riprova della serietà dell’impegno da parte del costruttore versava all’atto del preliminare l’acconto di euro 200.000,00. Il successivo acconto di euro 280.000,00 doveva essere versato il 15-07-2007 ed il saldo di euro 530.000,00 alla data della stipula del definitivo, ossia al 30-07-2007.
Il 03-07-2006 interveniva però il preavviso di diniego di rilascio del permesso di costruire (quindi prima della data di scadenza del secondo acconto) e l’attrice già con lettera del 6-07-2007, pervenuta alla controparte il 10-07-2007, la rendeva edotta delle complicazioni amministrative sorte, per effetto del mancato rispetto della distanza del lotto dalla condotta Gennarini.
In data 13-07-2007 seguiva altra missiva da parte dell’attrice, con la quale veniva informata la convenuta dell’adozione del preavviso di diniego del rilascio del permesso a costruire. Veniva con essa altresì comunicato l’intento di nominare un difensore di fiducia, per verificare la fondatezza delle ragioni poste dal Comune a base del preannunziato diniego di rilascio del permesso di costruire; nel contempo si invitava la convenuta a concordare i termini delle osservazioni da presentare al Comune.
Per tutta risposta già in data 18-07-2007 veniva notifica diffida ad adempiere all’attrice, nella quale si evocava come inesistenti e pretestuose le ragioni poste a base di una proposta di addivenire ad una risoluzione consensuale del contratto.
Ora non può farsi a meno di notare il carattere tranciante e quindi strumentale di siffatta diffida ad adempiere, posto che, a tutto voler concedere alla tesi convenuta, non si sarebbero potuto di certo qualificare come inesistenti, così come veniva fatto nella predetta diffida, gli ostacoli sorti per la concreta edificabilità del suolo.
Né si possono qualificare come pretestuose le ragioni esposte dall’attrice (così ancora nella diffida ad adempiere), tese ad ottenere una risoluzione consensuale del contratto; infatti occorre considerare che con missiva del 13-07-2007 l’attrice inviava al responsabile del procedimento una nota tesa a far rivedere la decisione presa, valutando la possibilità di pervenire ad una deroga motivata alla regola del rispetto del limite di 300 metri, quanto alla distanza tra lotto e depuratore.
Piuttosto allora che chiedere così repentinamente e sbrigativamente la diffida ad adempiere, senza peraltro che il termine per la stipula del 30-07-2007 potesse poi ritenersi essenziale, specie considerando le obbiettive difficoltà amministrative insorte, la promittente acquirente avrebbe dovuto mostrarsi più collaborativa, in conformità al principio della buona fede, magari sondando insieme con la controparte la possibilità di superarre l’ostacolo normativo che si frapponeva alla costruzione del fabbricato.
Si trattava dunque di un ostacolo indipendente dalla volontà del costruttore, in quanto concerneva l’ubicazione in concreto del lotto; in ogni caso non è stato dimostrato che un diverso progetto avrebbe potuto far conseguire il rilascio del permesso di costruire.
Anzi, con nota del 28-09-2007 il Dirigente del Comune di Taranto certificava solennemente l’inedificabilità in concreto del suolo in parola: “…si segnala che il suolo ricade a meno di 300 mt. di distanza dal depuratore Gennarini (Regolamento Regionale n. 3/1989 - sentenza Tar Puglia II Sezione n. 2230-07, riguardante intervento ricadente nei 300 mt. dallo stesso depuratore”.)
Nella predetta certificazione c’è anche l’importante riferimento ad una sentenza del Tar Puglia, che, in un caso analogo a quello qui in esame, aveva evidentemente optato per una interpretazione restrittiva della norma sul rispetto della distanza minima dal depuratore.
Il che doveva necessariamente scoraggiare da un lato il Comune ad andare di diverso avviso rispetto al preannunziato diniego di rilascio del permesso di costruire, dall’altro doveva frustrare l’intendimento del costruttore di intraprendere una causa, per la quale sarebbe stato competente lo stesso giudice amministrativo, che si era appunto espresso nel senso evocato nella predetta nota dirigenziale.
Così stando le cose, doveva essere onere della promittente venditrice dimostrare che l’area sarebbe stata suscettibile di essere edificata, nonostante il divieto perentorio desumibile dalla certificazione amministrativa sopra riportata.
Ma la convenuta aveva optato invece per la drastica scelta della diffida ad adempiere nel termine previsto per la conclusione del definitivo, nient’affatto essenziale, e quindi per la risoluzione del contratto.
Va dunque accolta la domanda di risoluzione proposta dall’attore ed ordinata la restituzione della somma di euro 200.000,00.
Le spese sopportate dall’attrice seguono la soccombenza della convenuta e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto della effettiva attività svolta.
P.T.M.
Definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dalla X. Costruzioni S.R.L., con citazione regolarmente notificata, nei confronti della sig.ra S. A., nonché sulle riconvenzionali spiegate da questa nei confronti della società attrice, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
Accoglie la domanda principale proposta dall’attrice e pronunzia la risoluzione del preliminare del 20-12-2006 dedotto in giudizio;
Rigetta quindi le riconvenzionali;
Condanna la convenuta S. A. alla restituzione, in favore dell’attrice, della somma di euro 200.000,00, oltre interessi dal 15-02-2008;
Condanna la convenuta al pagamento delle spese processuali sopportate dall’attrice, che si liquidano in suo favore in euro 667,81 per esborsi ed euro 10.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.
Il giudice dott. Claudio Casarano
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