Tribunale di Fabriano: competenza del giudice della sezione distaccata nelle controversie di rito societario [Decreto Legislativo 5/2003 - Controversie di rito societario - Procedimento sommario per controversie su obbligazioni Parmalat - Competenza del Giudice della Sezione Distaccata]
Tribunale di Ancona - Sezione Distaccata di Fabriano
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
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Fatto Con ricorso depositato il 18.6.05 , ai sensi dell'art. 1, lett. d) e 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, Tizio L., Tizio M., Tizio O. e Caio E. esponevano che, avendo nella loro disponibilità la somma di euro 116.000 ricavata da una vendita e volendo destinarla ad un investimento sicuro, decidevano di rivolgersi alla Cassa di Risparmio di Fermo, banca con la quale non avevano intrattenuto alcun tipo di rapporto sino a quel momento; che Tizio L. si recava pertanto nel mese di gennaio de
Con ricorso depositato il 18.6.05 , ai sensi dell'art. 1, lett. d) e 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, Tizio L., Tizio M., Tizio O. e Caio E. esponevano che, avendo nella loro disponibilità la somma di euro 116.000 ricavata da una vendita e volendo destinarla ad un investimento sicuro, decidevano di rivolgersi alla Cassa di Risparmio di Fermo, banca con la quale non avevano intrattenuto alcun tipo di rapporto sino a quel momento; che Tizio L. si recava pertanto nel mese di gennaio del 2003 presso la succursale di __________ del suddetto Istituto di Credito, esponendo al Direttore Dott. Gianluca Sempronio le proprie esigenze e la necessità dell'assoluta assenza di rischio che avrebbe dovuto connotare l'operazione finanziaria;
che, alla stregua di ciò, il funzionario proponeva agli istanti, assolutamente privi di conoscenza ed esperienza nel campo finanziario, di investire la rilevante somma messa a disposizione in acquisto di obbligazioni Parmalat (Fin.5.25 - 13/12/2004 XS0156987058), titoli che la banca disponeva in portafoglio;
che il funzionario rappresentava l'assoluta convenienza dell'operazione, in quanto appunto esente da ogni rischio ed avente un alto rendimento, garantendo altresì la sicurezza del prodotto in considerazione della riferita autorevolezza della società emittente i titoli;
che, facendo affidamento sui consigli e sulle più ampie rassicurazioni del funzionario, gli istanti si inducevano ad aprire un rapporto di conto corrente (n.330/0018668) con la banca, a sottoscrivere un contratto (n.58002020) per la negoziazione ed il deposito a custodia ed amministrazione di titoli ed a firmare l'ordine di acquisto delle obbligazioni Parmalat sopra indicate per il valore nominale di € 116.000,00;
che, riscossa la prima cedola di premio di € 5.326,75 in scadenza il 13/12/2003, immediatamente dopo e per le note vicende assurte all'onore delle cronache si verificava il "default" dei titoli del gruppo Parmalat, comportante la sospensione del rimborso delle obbligazioni e dunque la perdita dell'investimento effettuato in danno degli istanti; che il contratto di negoziazione dei titoli risultava tuttavia invalido per aver la Carifermo palesemente tenuto, nello svolgimento del rapporto di investimento, un comportamento contrario agli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza impostigli dalla legge, violando non solo le regole poste dal Codice Civile, ma anche gli espressi obblighi informativi contenuti negli articoli 21, 24, 36 e 38 del D.Lgs. n.58/1998 e negli articoli n.26,27,28,29 e 30 del Regolamento Consob n. 11522/98;
che tale comportamento ben poteva costituire altresì fonte di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale, che legittimava la conseguente condanna al risarcimento del danno in favore degli istanti; che, nella prestazione dei servizi di investimento, infatti, gli intermediari finanziari devono innanzitutto adeguare la loro condotta ai criteri generali previsti dal Codice Civile, e cioè hanno l'obbligo sia di comportarsi secondo le regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175, 1375 e 1337 c.c., sia di adempiere l'obbligazione con la diligenza richiesta dalla particolare natura dell'attività esercitata ex artt.1218 e 1176, 2° Comma c.c., che è appunto quella qualificata di chi operi nel settore del mercato finanziario e creditizio, non certo quella dell'uomo medio tenuto ad osservare regole prudenziali di comune esperienza;
che il t.u. Finanziario, sopra richiamato, aveva peraltro ampliato le disposizioni di carattere generale del Codice Civile introducendo nuovi obblighi e doveri, che esponeva in dettaglio affermando la loro violazione (v. pagg. da 3 a 15 del ricorso).
Chiedevano pertanto che il Tribunale adito, in composizione monocratica presso la sezione distaccata di Fabriano condannasse la convenuta alla restituzione della somma di euro 110.673,25, pari alla differenza tra quanto versato e quanto incassato a titolo di prima cedola, oltre interessi e rivalutazione, previo accertamento o della nullità degli ordini d'acquisto e del contratto sottostante ex art. 1418 1° comma c.c. o della responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o extracontrattuale. Chiedevano anche il risarcimento del maggior danno e del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., da liquidarsi in via equitativa.
Si costituiva la Cassa di Risparmio, spiegando una preliminare eccezione d'inammissibilità del ricorso, non potendo la domanda essere decisa senza una piena istruttoria. Nel merito, proponeva articolate controdeduzioni in fatto e in diritto.
All'udienza del 12.9.05 questo giudice riservava ordinanza concedendo termine alle parti per note e deposito documenti.
L'ambito della cognizione sommaria di cui all'art. 19 :in particolare, in relazione alla complessità ed al tipo di istruzione probatoria da condurre
In dottrina si è osservato che, stante la natura sommaria dell'accertamento ed il carattere celere della procedura, si deve ritenere che la somma - pure non inizialmente liquida - debba essere comunque facilmente liquidabile. Altri autori si sono spinti ad affermare, nel quadro di una impostazione che attribuisce al procedimento sommario ex art. 19 natura solo documentale, l'impossibilità di assumere prove costituende o disporre consulenza tecnica d'ufficio.
Quando non vi sono presupposti bastevoli per un'accertamento sommario (da tenersi distinti rispetto agli altri in cui il legislatore opera una scelta tipizzata d'impossibilità di ricorrere al processo sommario, come ad es., nel caso delle azioni di responsabilità contro gli amministratori), s'impone il provvedimento di mutamento del rito di cui al 3° comma dell'art. 19. Provvedimento che va preso non solo quando le difese del convenuto non siano manifestamente infondate o comunque dilatorie, quindi richiedano un approfondimento a cognizione piena, o quando la controversia sia particolarmente complessa, ma anche quando i fatti costitutivi della domanda non siano "manifestamente" fondati: ciò, sia perché, a loro volta, necessitino di un approfondimento a cognizione piena , sia perché infondati in toto e prima facie (non appartiene a questa seconda ipotesi, come si vedrà, il caso della fattispecie in esame). Alla luce del diritto positivo, infatti, è preclusa in ogni caso un'ordinanza di rigetto nel merito, il che è discutibile, nel caso in cui la pretesa del ricorrente sia manifestamente infondata e, malgrado ciò, il giudizio debba proseguire verso la sorte segnata: quella di una conclusione con sentenza di rigetto.
E' innegabile, ed i commentatori l'hanno in vario modo sottolineato, che la possibilità o meno di "giudicare in sommario" appare largamente affidata al giudice stesso, ancor più nell'attuale fase di prima applicazione della normativa, e sia pure nel rispetto dei canoni , anche costituzionali, vigenti in materia.
E' stato correttamente osservato, sul fronte delle ricadute "pratiche" di tale assetto ,che ,di regola ,il ricorrente in sede sommaria non sa, nel momento in cui agisce, quale dimostrazione (e quali mezzi di prova) deve fornire per far valere il suo diritto , né è ovviamente in grado di prevedere quale valutazione potrà esser data, dal giudice, alle contestazioni e difese del convenuto. Paradossalmente, neppure la produzione di uno dei documenti che, a norma dell'art. 642, comma 1, c.p.c., impongono al giudice del monitorio l'emissione di ingiunzione esecutiva, potrebbe essere sufficiente. In giurisprudenza v'è larga disparità di vedute sui mezzi di prova ammissibili e sulla struttura stessa del procedimento, esistendo tribunali che, ad esempio, non ammettono in principio le prove costituende o che non consentono scambi di memorie dopo le scritture introduttive. Le condizioni di accesso alla tutela sommaria, che rilevano soltanto ex post ("… il giudice, ove ritenga sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto …": comma 2-bis), rimandano in realtà ad un percorso di valutazione tutto interno alla sfera del giudice, ed è dunque probabile che finiscano per prendere corpo, nella pratica, quelle medesime cautele e perplessità che generalmente interessano la prova critica, dalla praesumptio hominis all'argomento di prova.
In prima battuta, si potrebbe semplificare affermando, come pure è stato fatto, che anche in questo giudizio sommario all'attore incombe di asseverare il semplice fumus (di tipo cautelare) della propria pretesa, resta fermo che ciò può non bastare: se il convenuto si costituisce e contesta, il semplice fumus di tale contestazione, il suo non essere cioè manifestamente infondata, ristabilirà una parità tale da rendere opportuna - secondo il legislatore - la cognizione ordinaria. Il che, si aggiunge, non accadrebbe di regola in sede cautelare, ove la non manifesta infondatezza delle contestazioni del resistente non è tale da escludere il fumus asseverato dall'istante.
Non può escludersi a priori che la trattazione sommaria abbia luogo (debba aver luogo) in più udienze "ragionevolmente" ravvicinate, ma va tenuto presente che la necessità di una protrazione dell'istruttoria è uno degli indici che la causa richiede "una cognizione non sommaria" (art. 19, c. 3°).
E' significativa , d'altro canto , la stessa contrapposizione, rinvenibile nella norma, fra "non manifesta infondatezza" delle contestazioni del convenuto, integrabile anche mediante semplice verosimiglianza in punto di allegazione e priva di riscontro probatorio in fase sommaria, e "sussistenza", sia pure da accertarsi in via sommaria, dei fatti costitutivi dedotti dall'attore.
Non appare corretto,in via teorica, andare oltre , forzando eccessivamente il dato letterale del 3° comma : "il giudice se ritiene che (…) le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria..." nega l'ordinanza e dispone la trasmigrazione nelle forme ordinarie. Non può cioè affermarsi quale regola fissa che, in fase sommaria,non vi sia uno spazio istruttorio, foss'anche embrionale, sui fatti costitutivi delle eccezioni del convenuto.Né si può immaginare che, ad esempio, sentendo informatori indicati dall'attore, il giudice non indaghi ove possibile, all'udienza sommaria, anche sul fatto costitutivo della eccezione del convenuto e non tragga proprio da questa indagine eventuale convincimento di manifesta infondatezza di quella contestazione, concedendo perciò la condanna sommaria.
Per converso (ed eventualmente all'esito di istruttoria "sommaria") allorquando la contestazione del convenuto si atteggi come seria o particolarmente complessa da valutare, non si potrà utilizzare la procedura sommaria (più correttamente: la procedura sommaria,già iniziata, non ha il suo "esito naturale", sub specie di provvedimento positivo, l'ordinanza immediatamente esecutiva ancorché inidonea al giudicato) . Le difese del convenuto dovranno dunque essere "palesemente" infondate perché si possa ulteriormente procedere nelle forme sommarie (e questo è uno snodo logico decisivo, su cui non sussiste accordo completo da parte della totalità dei commentatori, ma che sembra difficilmente sopprimibile).
In ordine alle prove che trovano sicuramente ingresso nel rito sommario, nulla quaestio sulle prove documentali, che, nel silenzio del legislatore, dovrebbero trovare un limite temporale di comunicazione proprio nell'atto di costituzione delle stesse parti: non una preclusione, ma semplicemente un limite di "utilità", volto a garantire che il giudice, già nella prima udienza di comparizione, possa valutare la fondatezza delle difese delle parti, l'ammissibilità di questo procedimento e procedere di conseguenza (qualcosa di molto simile accade nel rito cautelare uniforme) .Della ctu o "perizia " o accertamento tecnico che dir si voglia (volendosi rifuggire dalla terminologia del rito a cognizione ordinaria ) si è già fatto cenno. Delle "persone informate", si traggono utili cenni nelle decisioni dei giudici di cui appresso.
L'ambito della cognizione sommaria ex art. 19 in qualche provvedimento giurisprudenziale.
La sentenza del Tribunale di Ancona, n. 126.05 del 21.1.05 (giud. Monocratico Bonivento, inedita ma versata agli atti di causa ) pur incentrata sulla carenza di interesse ad agire, presenta degli spunti degni di essere approfonditi proprio sul versante della sommarietà del rito , come si vedrà da ultimo. La sentenza definisce un procedimento di rito ordinario, introdotto con atto di citazione . Giova riportarne quasi per esteso la parte motiva: "…La domanda va dichiarata ex officio inammissibile,improponibile, improcedibile per difetto, allo stato, di interesse processuale ad agire concreto ed attuale (ex art. 100 C.P.C.) in relazione all'utilità dei provvedimento giurisdizionale rìsarcitorio (contrattuale ad extracontrattuale aquiliano ex art. 2043 C.C.) invocato nella concreta fattispecie, ciò non sul "quantum debeatur" ma sull' "an debeatur". Non è ancora posta in essere la "condicio actionis" per l'attivazione della pretesa risarcitoria. Il doc. n. 7 di parte convenuta (ultimo nel relativa fascicolo) attiene, oltretutto, a fatto notorio "qui non eget probatione" e reca la data (recentissima) del 5.9.03; è la fotocopia di un articolo giornalistico attinente ai "bonds" argentini ed alla trattativa "che partirà all'inizio del 2004", trattativa con il Governo di Buenos Aires per la ristrutturazione del debito contratto con i risparmiatori esteri europei, negoziato dal tempi non brevi, stante l'interconnessione con l'altro negoziato (con il Fondo Monetario Internazionale), sempre in tema di debito estero (in questo caso con gli Stati stranieri), il che significa che soltanto all'esito negativo della trattativa con i risparmiatori privati (con la loro associazioni, costituite a mezzo dell'A.B.I. - Associazione Bancaria Italiana) sarà possibile in giudizio quantificare eventuali pretese risarcitorie ed esperirle in giudizio,a prescindere dalla loro fondatezza (o meno) ontologica nella competente sede giurisdizionale. Non prima del detto esito. La questione non è indifferente ai fini decisori. Si parla di recupero del capitale (ciò che comunque preme di più ai singoli risparmiatori, istituzionali e non istituzionali), di un eventuale allungamento del periodo dl rimborso, di una riduzione relativa alle cedola degli ínteressi. Trattasi, evidentemente, di trattativa complessa, legata ad inevitabili tempi tecnici, di pari trattamento da garantire al ceto dei risparmiatori - creditori europei. Sulla "propedeuticità" del negoziato con il F.M.I. si è già detto. L'interasse "ad agendum est condicio actionis" (Cass. 2002/2721; conf. Cass, Sez. 1, n. 2000/565 ; Cass. 92/5321 ; Cass, 90/9737; Cass. 90/5743).
Sull'attualità del detto interesse v. Cass. 2002/5365; conf. 98/10062; Cass, 95/4444; Cass. 92/12653; sulla sua concretezza v. anche Cass. 83/4220). In altri termini, allorché non si conosce neppure l'esito delle surriferite trattative, se cioè all'esito delle stesse venga addirittura evitato o quantomeno ridotto il danno effettivo da tracollo del mercato finanziario pubblico obbligazionario (Bonds) della Repubblica argentina, non è ancora utile sollecitare un provvedimento giurisdizionale ….".
Specificamente, su procedimenti ex art. 19 :
In ord. Trib. Verona, 23 gennaio 2005 (est. Mirenda ,inedita , a quanto consta,su cartaceo,reperibile dalla mailing list Civil.net) il Giudice osserva che nel procedimento sommario la formazione di prove costituende è in principio ammissibile, ma deve trattarsi di "attività istruttorie elementari e sempre agevolmente collocabili, quanto a tempistica, nell'udienza one shot del comma 2 bis dell'art. 19". Sono così ammissibili anzitutto la prova documentale e, in vista della acquisizione di una prova documentale: ispezione, ordine di esibizione, CTU con risposta immediata in udienza, richiesta di informazioni alla PA, audizione di informatori a conferma di una semiplena probatio derivante da prove precostituite, ammissione del giuramento suppletorio. Non però testimonianza ed interrogatorio formale, "pena la superfetazione della fase sommaria, con surrettizio esproprio dell'espressa riserva di collegialità" allorché "l'oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria". Il giudice veronese dichiara così inammissibili le istanze di prova testimoniale e per interrogatorio formale e, poichè le scritture rappresentative delle spese, contestate e prive di data certa, provenivano da terzi (e non potevano essere confermate da testi) e quindi alle stesse non poteva riconoscersi alcun valore probatorio (il giudice le qualifica mere res inter alios), l'ordinanza è di rigetto della domanda con assegnazione dei termini per la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie.
Il provvedimento è in un certo senso emblematico delle tesi "estremistiche" relative a questo tipo di rito, quelle che sottolineano il dato della "sommarietà", sicchè è stato detto che già la terminologia dell'udienza "one shot" ricorda la tenzone processuale ricondotta ad un "mezzogiorno di fuoco", così come ha suscitato critiche la rigida gerarchia tra i vari mezzi di prova in funzione della dicotomia sommario/ordinario. Tuttavia occorre prendere atto dell'orientamento, tutt'altro che isolato o in controtendenza .
Il Trib. Milano (est. . Simonetti, 7 ottobre 2004 in www.Judicium.it , nonchè in www.dirittoefinanza.it) affronta un caso in cui il ricorrente agisce nei confronti della banca che, senza suo ordine, ha acquistato obbligazioni della Parmalat finanziaria e della FIAT con la provvista di c/c, chiedendo la restituzione delle somme con interessi legali, con condanna al risarcimento del danno derivante dalla mancata disponibilità delle somme. La banca replica che gli acquisti sarebbero stati realizzati nel quadro di un accordo generale "di negoziazione, sottoscrizione strumenti finanziari, ricezione e trasmissione di ordini aventi ad oggetto gli stessi strumenti" che prevedeva l'ordinativo telefonico (nel caso intervenuto) con l'impegno a sottoscrivere successivamente il contratto (inevaso dal ricorrente, secondo la banca). In via riconvenzionale, chiede la restituzione dei titoli e dei frutti, oltre al risarcimento del danno da quantificarsi nella differenza tra il prezzo pagato per procurarsi i titoli e l'attuale valore di mercato.
La causa è istruita documentalmente e con richiesta di prove orali.Il giudice monocratico dichiara ammissibile la domanda principale e quella riconvenzionale, per essere "connessa oggettivamente con la domanda dell'attore, oltre ad avere un oggetto compatibile con il rito speciale (richiesta di condanna al pagamento di somma di danaro e consegna di cose mobili determinate)"; dichiara inammissibile la richiesta di prova testimoniale ex art. 2725 c.c. (contratto da provarsi per iscritto) ed osserva che alcuna altra prova è stata dedotta (come la registrazione su nastro dell'ordinativo telefonico). Accoglie la domanda di pagamento del ricorrente e quella della banca per la restituzione dei titoli con i frutti civili (incontestati, nella misura, dal ricorrente) e dispone la "conversione del rito" quanto alla domanda di risarcimento del danno, richiesto tanto dal ricorrente quanto dalla banca.
Di tale ordinanza si dovrà riparlare, affrontando il merito delle questioni,nonché le ricadute sul rito.
L' Ord. Trib. Roma , Sez. IX, 12 dicembre 2004 (est. Iofrida,in "il Merito", fasc. 4-aprile 2005 e in www.Judicium.it) tratta un ricorso su dedotte violazioni della banca nell'acquisto di titoli Cirio, in contrasto col TUF e col regolamento CONSOB, con richiesta di restituzione degli importi investiti, prelevati da c/c, con interessi convenzionali, previa declaratoria di nullità - annullamento - risoluzione del contratto ovvero per responsabilità extracontrattuale della banca. Questa si costituisce deducendo che il ricorrente è investitore esperto, a conoscenza dello strumento acquistato e dei relativi rischi finanziari, comunque avvertito vuoi dagli alti rendimenti delle obbligazioni acquistate vuoi dalla stessa banca cui aveva impartito l'ordine telefonico di acquisto. La causa istruita con documenti prodotti sia con gli atti introduttivi, sia all'udienza di comparizione.Il giudice ritiene la contestazione della banca manifestamente infondata sulla base delle prove documentali acquisite (le testimonianze giudicate, anche qui, inammissibili ex art. 2725 c.c.); che, pur non essendo intervenuta una sollecitazione al pubblico risparmio e pur essendo legittima in principio la modalità di acquisto delle obbligazioni nel mercato primario e vendita nel mercato secondario, la banca avrebbe dovuto fornire informazioni dettagliate al cliente alla luce del livello di indebitamento del gruppo Cirio, ed inoltre far seguire l'ordine scritto a quello telefonico come previsto dalla normativa in materia.La domanda viene accolta con condanna alle spese.
E' ammessa, in via implicita ma chiaramente e senza il minimo dubbio, la possibilità della cognizione sommaria, condannando la banca alla restituzione dell'intero corrispettivo per obbligazioni rivelatesi un pessimo affare "...essendo notorio il default delle suddette obbligazioni,con conseguente attuale insussistenza di possibilità per il risparmiatore di recupero del capitale investito...e non essendo stato peraltro contestato specificamente dalla banca il quantum della pretesa azionata...". Ciò meriterà approfondimento in seguito .
Sul versante non delle caratteristiche del rito sommario,bensì delle caratteristiche del rapporto sostanziale, che pure sono rilevanti anche nel presente giudizio, va sottolineato come in quest'ultimo provvedimento non sia stata dichiarata la nullità del contratto per violazioni formali (mancanza della scrittura successiva all'ordinativo telefonico), ma sia stata accertata la responsabilità della banca per non avere agito con la specifica diligenza prescritta dagli artt. 21 e 23 TUF e delle corrispondenti disposizioni dei regolamenti CONSOB e la somma, di cui alla condanna, è stata attribuita non a titolo di indebito oggettivo bensì "quale danno emergente", cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla notificazione (non dal deposito) del ricorso al saldo.
E' certamente ammissibile chiedere con il ricorso per rito sommario ex art. 19 anche un risarcimento danni , ma la debolezza della statuizione in esame , secondo di questo decidente, è proprio nel raccordo accertamento sommario /accertamento di danno per responsabilità (corrispondente nel quantum, guarda caso, proprio all'indebito ) . Anche su questo punto si ritornerà più innanzi .
Trib. Milano (est. Consolandi, 7 ottobre 2004, in www.Judicium.it.) tratta di rapporti tra soci. La vedova di un socio accomandatario di una società di costruzioni agisce nei confronti dei soci residui per la liquidazione della quota relativa al defunto. La causa è istruita mediante la produzione di una perizia stragiudiziale di valutazione della quota. Il giudice ritiene che la trattazione del procedimento deve "restringersi in una sola udienza per espressa previsione legislativa" (ritorna,dunque, l'udienza "one shot" del giudice veronese, a conferma di quanto sopra si osservava sulle "ansie definitorie" sottese a certe ricostruzioni, certamente largamente diffuse ma in tensione, spesso,con altri principi e con il silenzio del dato normativo).
Il giudice, rilevato che lo statuto della società non deroga alla disciplina legale, rigetta la domanda ed assegna i termini per la prosecuzione nelle forme ordinarie, precisando che in tale sede - non quindi in sede sommaria - potrà provvedersi alle integrazioni del contraddittorio "che le parti riterranno opportune".
Il "merito " della controversia.
L'oggetto del contendere non è nuovo, come testimoniano le numerose sentenze dei giudici di merito, specie se rapportate alla relativa novità delle questioni ed al fatto che le sentenze pubblicate sulle riviste giuridiche o disponibili su Internet (anch'essa una forma di pubblicazione) sono solo una parte di quelle emesse. Moltissimi risparmiatori hanno adito i giudici per sentirsi ristorati dalle gravi perdite subite in investimenti del genere.
Anche in questo caso, le complesse questioni ricevono risposte molto diverse tra loro.
L'ord. 12.12.04, del Trib. Roma,sopra cit. (est. Iofrida,in "il Merito", fasc. 4-aprile 2005), afferma che la banca poteva provare, solo in via documentale (il che non ha fatto) "di aver agito nello svolgimento del servizio di investimento per cui è causa con la diligenza richiesta..." .Si badi che viene riconosciuta una fattispecie di "sollecitazione al pubblico risparmio ai sensi e per gli effetti del c.d. t.u.f. ".
Di nullità di norme imperative ex art. 1418 c.c. parla il Trib. Brindisi, nella sentenza del 21.2.05, versata in atti (e reperibile su www.dirittoegiustizia.it) che statuisce la ripetizione di somme per acquisto di rischiose opzioni put collegate all'andamento di titoli di Stato e generanti perdite per l'ignaro risparmiatore.
Sulla stessa linea il Tribunale (collegiale ) di Ferrara,nella sentenza n. 217.05(pres. Stigliano,est. Guernelli), versata in atti, a quanto consta inedita anche in formato elettronico.
Perviene a risultati analoghi di condanna della banca intermediaria, peraltro con ben diversa linea argomentativa, il Trib. Taranto (giud, monocratico Cavallone), sentenza n. 2273 del 2004, versata in atti (ed edita su D&G, anno 2004, fasc. 46, pag 102).
Infatti per tale giudice - così come per Trib. Roma 12.12.04, cit. e diversamente da Trib.Milano, est. Simonetti, cit. - l'omessa (adeguata) informazione non rappresenta una nullità del contratto tra banca e cliente, ma un inadempimento della banca, fonte di responsabilità per risarcimento danni.
E' appena il caso di dire che, con tale soluzione, rimangono tutte le gravi problematiche in ordine alla determinazione del quantum, qui rapportato dal giudice "...all'assoluta incertezza in ordine al recupero del capitale investito, da parte del risparmiatore". Anche tale snodo logico meriterà più innanzi qualche commento.
Di altre sentenze, più o meno in termini, converrà riportare più ampi stralci, non essendo versate agli atti.
Il Tribunale di Milano, nella sentenza 9.3.2005 ( Pres. Ceccarelli , est. Romana Ranieri, reperibile in www.ilcaso.it), afferma che è da ritenere dubbia la praticabilità di un'azione di nullità con riferimento all'ipotesi di conflitto di interesse non segnalato, mentre l'esperimento di un'azione risarcitoria presuppone la prova del danno conseguente essendo onere del danneggiato provare la sussistenza di un danno eziologicamente connesso, quale conseguenza immediata e diretta, del comportamento lesivo.
Afferma inoltre 1) che i bond Cirio Luxemburg S.A. tasso variabile e Cirio Holding Luxemburg S.A. 6,25% potevano essere legittimamente venduti dalle banche alla clientela "retail" e ciò in quanto liberamente negoziabili su base individuale sul mercato secondario, senza alcun obbligo di prospetto informativo ed in assenza di rating e 2) che la nozione di inadeguatezza dell'investimento costituisce una informazione di "rango superiore" ed assorbente rispetto al semplice obbligo informativo relativo al prodotto finanziario.
In particolare Il tribunale osserva :"...L'obbligo di informazione gravante sull'intermediario ai sensi degli artt. 21 comma 1, lett. b) del T.U.F. e 28 e 27 Reg. Consob n. 11522/98 può dirsi assolto sia con riferimento alla natura del titolo, rispetto al quale è stato segnalato il rischio del mancato rimborso del valore dell'investimento alla scadenza, sia con riferimento all'ipotesi di conflitto di interesse, atteso che l'intermediario ha dichiarato di vendere in contropartita diretta.Peraltro, sotto questo profilo, appare dubbia la praticabilità di una azione di nullità con riferimento all'ipotesi di conflitto di interesse non segnalato (da vendita in contropartita diretta) e per quanto attiene alla azione risarcitoria non è stato provato il danno conseguente a tale ipotesi di conflitto.Si rammenta in proposito che è onere del danneggiato provare la sussistenza di un danno eziologicamente connesso, quale conseguenza immediata e diretta, del comportamento asseritamente lesivo....Sulla nullità degli ordini di acquisto di cui è causa per violazione delle norme sul sollecitazione: Sul punto va evidenziato che le Autorità di Vigilanza (Banca d'Italia e Consob: cfr. docc. 26-28 di parte Intesa) nei loro più recenti interventi hanno confermato che i bond Cirio (ivi compresi i bond di cui è causa: Cirio Finance Luxembourg S.A. tasso variabile; Cirio Holding Luxembourg S.A., 6,25%), potevano legittimamente essere venduti dalle Banche alla clientela "retail" (cioè non istituzionale) ed in particolare hanno confermato che i predetti bond Cirio, emessi presso la Borsa del Lussemburgo, erano negoziabili su base individuale sul mercato secondario italiano con la clientela 'retail' - senza alcun bisogno di prospetto informativo. Ai sensi della normativa italiana, l'intermediario che procede in Italia all'offerta di valori mobiliari esteri (quali sono i bond Cirio), è tenuto unicamente ad effettuare la comunicazione alla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 129 TUB (doc. 26, paragrafo 5.2, primo capoverso)............. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 29207 del 27/10/2004 "respinta la richiesta di accertamento e dichiarazione di nullità dei contratti per violazione dell'art. 94 TUF", ha argomentato che "nel caso in esame manca la sollecitazione rivolta al pubblico, cioè la sollecitazione ad incertam personam, in altri termini, ad un numero indeterminato di individui ed in cui manchi, quindi, un contatto individuale tra offerenti ed oblati, in ragione delle modalità standardizzate di svolgimento delle offerte medesime"; lo stesso Tribunale ha anche precisato che "il caso in esame non si colloca nella fase del mercato primario (o di emissione), che intercorre fra l'emissione del titolo da parte dell'impresa, avvenuta, in concreto, adottando non la modalità di offerta diretta al pubblico (sollecitazione all'investimento), ma l'offerta diretta a investitori istituzionali, e la sua sottoscrizione da parte dell'investitore, bensì nella fase successiva di mercato secondario, in cui il titolo, già in possesso dell'investitore, viene negoziato con altro investitore"; Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 218 del 27/1/2005 ha affermato: "nel caso di specie, come storicamente per gran parte delle negoziazioni avvenute sul territorio nazionale aventi ad oggetto le obbligazioni emesse dal Gruppo Cirio, la negoziazione dei titoli di debito emessi da Del Monte Finance S.A. ha assunto la forma della 'negoziazione per conto proprio', in quanto Banca Intesa S.p.A. deteneva transitoriamente e temporaneamente un certo quantitativo di titoli obbligazionari Del Monte Finance per far fronte alle richieste di acquisto di detti strumenti finanziari da parte della clientela… Ora, la negoziazione, sia pure per conto proprio, di strumenti finanziari (acquisiti nell'ambito di un sistema di scambi organizzati - SSO - ovvero 'un insieme di regole e strutture, anche automatizzate, che consente in via continuativa e periodica di raccogliere e diffondere proposte di negoziazione di strumenti finanziari e di dare esecuzione a dette proposte con le modalità previste dal sistema) non può essere equiparata in alcun modo alla sollecitazione all'investimento, perché differenti ne sono i destinatari, un pubblico indiscriminato di soggetti, nel primo caso, il singolo cliente o risparmiatore, nel secondo".
Il Trib. Milano, nella sent. 25.7.05 (Pres. Bernardini, Romana Raineri est., in www.ilcaso.it) afferma che 1) La forma scritta ad substantiam prevista dall'art. 23 T.U.F. si riferisce al contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro o master agreement) e non ai singoli negozi conclusi nell'ambito e in esecuzione del rapporto che trova la sua fonte nel contratto quadro; 2) La negoziazione di obbligazioni argentine sul mercato secondario non costituisce attività di collocamento o di sollecitazione all'investimento e non presuppone pertanto la consegna del prospetto informativo; 3) la violazione degli obblighi di informativa si risolve non in nullità ma in inadempimento . Osserva in particolare il Tribunale (la sentenza merita di essere citata , secondo questo decidente, mediante ampio stralcio)"....Per quanto attiene alla dedotta nullità per difetto di forma ritiene il Tribunale, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che la forma ad substantiam prevista dall'art. 23 T.U.F. debba essere riferita al contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro, o master agreement) e non anche ai singoli negozi conclusi nell'ambito e in esecuzione del rapporto che trova la sua fonte nel contratto quadro.Il convincimento si fonda sul rilievo secondo cui lo stesso art. 30 comma 2. lett. c) Reg. Consob n. 11522/98 rimette all'autonomia privata, nell'ambito del contratto che ribadisce deve rivestire forma scritta, le modalità attraverso cui possono essere impartiti ordini ed istruzioni: disposizione che in tanto ha significato in quanto la forma scritta per i singoli negozi non sia prevista dalla legge ad substantiam, e cioè ai fini della validità degli stessi…….Restano da esaminare le ulteriori censure mosse dagli attori in merito al comportamento tenuto dalla Banca.Obblighi di informazione Sul punto si ritiene necessaria una premessa.I prestiti obbligazionari della Repubblica Argentina sono stati emessi sull'Euromercato e sono stati assunti, inizialmente, " a fermo" da investitori istituzionali (per i quali sussiste l'esenzione ex art. 100 T.U.F., comma a, in ordine al "prospetto") e quindi venduti ad altri intermediari e a soggetti privati.La cessione delle obbligazioni a investitori istituzionali esaurisce la fase del collocamento.Successivamente, le obbligazioni divengono negoziabili sul mercato secondario (regolamentato e/o non regolamentato) senza che sia prevista la consegna del prospetto informativo. Nè può dirsi nella specie sussistente una ipotesi di "sollecitazione" all'investimento posto che per aversi "sollecitazione" al pubblico occorre ravvisare- lo svolgimento di una attività di tipo promozionale qualificabile come "offerta", "invito ad offrire" o "messaggio di tipo promozionale"- la sussistenza di un pubblico indifferenziato di soggetti (offerta ad incertam personam - l'adozione di modalità uniformi e standardizzate (in tale direzione si è pronunciata la Consob nella audizione 27/4/2004 alla Camera dei Deputati - Commissione Finanze). Dunque BPM non aveva l'obbligo di rilasciare alcun prospetto informativo relativamente ai titoli di cui è causa. Quanto agli obblighi di informazione comunque previsti ai sensi degli artt. 21 lett. b) e T.U.F. e 28 Reg. Consob n. 11522/98 deve preliminarmente osservarsi che questo Tribunale non condivide l'estensione dell'area della nullità al di fuori delle ipotesi in cui tale sanzione è espressamente prevista dal legislatore. Ed invero, in ossequio al generale ed indefettibile principio di legalità (e, non di meno, di certezza del diritto) non appare lecito il ricorso indiscriminato alla sanzione della nullità, che costituisce il più severo rimedio civilistico, nei casi di violazione di norme comportamentali generali (di diligenza, correttezza, trasparenza, indipendenza, equità ...) che, in quanto prive di specificità, non risultano idonee ad individuare precise regole di comportamento cui unifomare la condotta dell'agente. Lo stesso legislatore, nell'esplicitare il generale dovere di diligenza e correttezza di cui all'art. 21 T.U.F., ha valutato certi comportamenti come essenziali e ne ha quindi sanzionato l'inosservanza con la nullità (cfr., ad esempio, art.. 23 commi 1, 2 3; art. 24 comma 2; art. 30 comma 7 del T.U.F.). Ma dall'impianto normativo complessivo emerge (e comprensibilmente) la volontà del legislatore di evitare la eccessiva tipizzazione delle modalità di condotta, il che rende di dubbia praticabilità il rimedio della nullità. Come già osservato da questo Tribunale in una recente sentenza . la voluta distinzione fra adempimenti prescritti a pena nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell'intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell'intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all'art. 1418 1° comma c.c. (cfr. sentenza n.7555/05 Pres. Est. Vanoni). Peraltro, non può sottacersi in proposito che la nota sentenza della Suprema Corte che ha felicemente inaugurato il tema delle "nullità virtuali" (cfr. Cass. 7/3/01 n. 3272) è stata emessa con riferimento ad una vicenda peculiare concernente l'esercizio della attività di intermediazione posta in essere da un "intermediario abusivo" e dunque in una fattispecie del tutto estranea a quella relativa agli obblighi informativi previsti dal T.U.F. Da ultimo soccorre al diverso inquadramento delle fattispecie di violazione degli obblighi comportamentali previsti dal T.U.F. l' argomento letterale desumibile dal comma 6 dell'art. 23 del D.Lgs. n. 58/98 laddove l'inversione dell'onere probatorio viene riferito ai "giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti nello svolgimento dei servizi" (previsti dal decreto) ed è noto che il rimedio risarcitorio non appartiene alla categoria delle nullità , che prevedono, invero, l'effetti restitutorio.Appare per contro più appropriato, ad avviso di questo Tribunale, applicare alle fattispecie di violazione delle norme comportamentali dettate dal T.U.F. (per le quali non sia stata espressamente prevista dal legislatore la sanzione della nullità) i generali principi in tema di inadempimento.Il Giudice, nell'esaminare i comportamenti tenuti dagli intermediari nelle singole fattispecie, potrà e dovrà valutare l'importanza dell'inadempimento dedotto dall'investitore, sia ai fini della condanna al risarcimento dei danni, sia ai fini della eventuale risoluzione del contratto, quando le violazioni commesse risulteranno di gravità tale da compromettere del tutto l'equilibrio del rapporto negoziale, ovvero quando, pur prescindendo dal singolo rapporto obbligatorio con l'investitore teso alla tutela del soddisfacimento del suo interesse individuale, ledono il prioritario principio della integrità del mercato.Risoluzione che, quoad effectum, si risolverà, al pari della nullità, per la sua efficacia retroattiva, nell'obbligo restitutorio...............Inoltre il Giudice, dopo avere valutato l'importanza dell'inadempimento, non potrà prescindere dall'esame della entità del pregiudizio sofferto, dall'eventuale concorso di colpa del creditore (art. 1227 c.c.) e, soprattutto, dalla verifica del nesso eziologico fra inadempimento e danno in ordine al quale non può dirsi invertito l'onere della prova ai sensi dell'art. 23 comma 6. T.U.F. Dovrà in particolare l'investitore provare che il danno patito è conseguenza immediata e diretta della condotta colposa dell'intermediario (ad es. dell'obbligo di informazione che assume violato) e non, semplicemente, dell'andamento sfavorevole del mercato. Nè varrebbe obiettare che, in tale prospettiva, l'inadempimento sarebbe riferito non già alle prestazioni nascenti da un contratto validamente concluso, ma con riferimento agli obblighi di informazione che devono precedere l'incontro di volontà (c.d. momento genetico del rapporto).Nessuno ostacolo si pone, infatti, nel considerare l'inadempimento in riferimento agli obblighi assunti dall'intermediario finanziario con il contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro) quale fonte primaria degli obblighi comportamentali previsti dal T.U.F. e quale fonte regolatrice dei successivi rapporti. In particolare deducono di essere " piccoli/medi risparmiatori , privi di intento speculativo" di essere stati "consigliati all'acquisto di obbligazioni Argentina presentate come investimento sicuro" di "non aver ricevuto alcuna concreta informazione supportata da dati ufficiali sull'affidabilità del titolo." (cfr. atto di citazione, pagg. 1-3) I bond argentini sono, come a tutti noto, obbligazioni riferite ad uno Stato sovrano, non europeo, la cui affidabilità in senso lato, tuttavia, non poteva essere parificata a quella degli stati occidentali ad economia avanzata.Per questa ragione il loro rendimento era decisamente superiore a quello degli omologhi titoli emessi da questi ultimi.Seppure possa dirsi di comune esperienza, e dunque circostanza che non necessita di una particolare informazione, il fatto che a rendimenti progressivamente più alti corrisponda un rischio di investimento più elevato, in ogni caso la avvertenza è contenuta nel documento obbligatorio "allegato sui rischi generali dell'investimento" che nella specie è stato consegnato all'attore e da questi sottoscritto (cfr. all. 2, pag. 6). Nondimeno il rating che le principali agenzie internazionali (Moody,s, Standard & Poor's, Fitch) hanno accordato alle obbligazioni argentine è stato, nel 1997 "BB" (la migliore delle categorie speculative) e nell'ottobre 1999 "BB-" (sempre, seppure con un lieve peggioramento, nell'ambito delle migliori categorie speculative).Solo a decorrere dal marzo 2001, e dunque a distanza di circa due anni dall'ultimo acquisto effettuato dagli attori, le agenzie hanno declassato il rating delle obbligazioni della Repubblica Argentina da "BB-" a "B+" evidenziando l'accresciuta vulnerabilità dei titoli connessa alle avverse condizioni economiche, finanziarie e settoriali del Paese), sino a giungere, con ulteriori declassamenti, alla categoria "D" : default. Gli acquisti degli attori sono stati effettuati in un arco temporale che va dal giugno 1997 al maggio 1999 e dunque in periodo "non sospetto" in quanto precedente al primo declassamento operato dalle agenzie internazionali. La banca convenuta, dunque, non disponeva di dati particolari dai quali desumere una elevata rischiosità del titolo, ed anzi la categoria speculativa in cui detti titoli erano riferiti appariva del tutto compatibile con il "profilo" degli odierni attori...................Alla stregua delle suesposte considerazioni, ritenuto che il dovere di informazione non sia stato nella specie violato e ritenuta l'insussistenza del nesso causale fra l'inadempimento lamentato ed il danno patito (che gli attori individuano nella integrale perdita del capitale investito), le domande degli attori vanno integralmente rigettate. Non può infatti accogliersi la domanda di nullità per difetto di forma atteso che il contratto di negoziazione prodotto rispetta il requisito della forma scritta ad substantiam voluta dal legislatore. Non può accogliersi la domanda di nullità ai sensi dell'art. 1418 c.c. per violazione di norme imperative, attese le considerazioni in limine espresse in ordine alla inapplicabilità della sanzione di nullità al di fuori dei casi normativamente previsti . Non può accogliersi la domanda di risoluzione perchè l'unico inadempimento ritenuto sussistente (omessa informazione sul conflitto da vendita in contropartita diretta) non si configura di gravità tale da condurre allo scioglimento del vincolo contrattuale. Non può accogliersi la domanda risarcitoria perchè non risulta provato un pregiudizio economico eziologicamente connesso all'inadempimento accertato. Non può accogliersi, da ultimo, la domanda ex art. 2043 c.c. sempre per l'assenza del nesso causale fra condotta colposa ed evento lesivo."Il Tribunale di Parma, Sez. I° Civ. ( Pres. Stellario, est. Sinisi) ,nella Sentenza 16 giugno 2005 (reperibile in www.ilcaso.it) afferma che 1) L'indicazione del titolo con la dicitura "C/V TITOLI ESTERI" non è sufficiente a rendere edotto il risparmiatore del fatto che oggetto di negoziazione è un titolo emesso da una "società veicolo" con sede all'estero, posto che anche la società italiana quotata a Piazza Affari, Parmalat Finanziaria S.p.A., ha emesso titoli esteri; a ciò si aggiunga il fatto che l'emissione del titolo all'estero nulla dice circa la identità della società emittente né fornisce le doverose informazioni all'investitore ; 2) Deve essere condivisa la soluzione delineata da parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale le norme preposte al collocamento di strumenti finanziari contenute nel TUF e nei regolamenti attuativi non possano che definirsi di ordine pubblico in virtù della loro vocazione ad incidere in un settore caratterizzato da una elevata prevalenza dell'interesse pubblico e dalla natura, pubblica e generale, degli interessi garantiti dalle predette norme, che concernono la tutela dei risparmiatori "uti singuli" e quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale; 3) L'insieme delle disposizioni che presiedono all'attività di intermediazione finanziaria, dunque, devono ritenersi imperative, perché dirette a tutelare interessi di carattere generale (alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), come, peraltro, ha ritenuto la giurisprudenza di legittimità nel caso di violazione delle norme relative al funzionamento delle Società d'intermediazione mobiliare.Nel novero delle norme imperative sopra delineato sono da ricomprendersi anche le norme di natura attuativa e regolamentare, costituenti l'attuazione dei principi generali posti dal TUF, in quanto costituenti con questo un corpus unicum, da valutarsi unitariamente; 4) E' quindi possibile affermare che i contratti conclusi in violazione del complesso di norme sopra richiamato siano suscettibili di declaratoria di nullità, ove non siano stati in concreto rispettati gli specifici obblighi imposti agli intermediari finanziari, ovvero ove questi ultimi non siano in grado di provare per iscritto di averli rispettati. Ciò a condizione che la norma dalla cui violazione discende la sanzione della nullità abbia un contenuto sufficientemente specifico, preciso ed individuato, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppure di natura civilistica, tanto grave quale la nullità del rapporto negoziale, se non a fronte di parametri di comportamento sufficientemente precisi e determinati; 5) Si deve quindi ritenere che alla violazione di specifiche regole cui l'intermediario è tenuto può conseguire la nullità del contratto, mentre alla violazione di regole generali di prudenza e diligenza professionale, non meglio specificate o codificate in sede regolamentare o attuativa segue, in virtù dei principi generali d'inadempimento dell'obbligazione ed in foza dell'art. 23, co. VI° del TUF, l'azione per il risarcimento del danno.Il Trib. Roma, Sez. II civ. ( Pres. Misiti, Est. Lamorgese) ,nella Sentenza 25.5. 2005 (reperibile in www.ilcaso.it) osserva che 1) Poiché il t.u.i.f. disciplina espressamente i casi di nullità relativa del contratto di intermediazione mobiliare, non è possibile ritenere che la violazione degli obblighi di informazione determini la nullità del contratto, poiché così facendo si introdurrebbero per via giudiziale nuove ipotesi di nullità non solo non previste dal legislatore, ma addirittura più gravi -trattandosi di nullità assolute- di quelle già previste dallo stesso t.u.i.f. ; 2) Qualora l'intermediario non ottemperi all'obbligo di informare il cliente delle caratteristiche specifiche dell'operazione e della eventuale non adeguatezza dell'investimento (nella specie obbligazioni argentine), si versa in ipotesi di inadempimento contrattuale idoneo, di per sé, a concorrere in modo determinante alla perdita del capitale investito ; 3) La banca è tenuta ad informare il cliente dell'andamento del titolo anche successivamente al suo acquisto e ciò non soltanto in base al principio generale di buona fede nell'esecuzione del contratto ma anche a specifiche disposizioni normative quali l'art. 21, lett. b t.u.i.f. e 28, 2° co. reg. Consob.
Il Trib. Trani (Pres. Savino, est. Labianca) nella Sentenza 7.6. 2005 (reperibile in www.ilcaso.it) afferna che 1) Le euro-obbligazioni Cirio, una volta emesse sull'euro mercato, sono state assunte "a fermo" da alcune banche e da queste successivamente vendute ad investitori istituzionali e quindi a soggetti privati nell'ambito di una attività di negoziazione per conto proprio - da distinguersi dalla sollecitazione all'investimento - che, come tale, consente la cessione a risparmiatori privati anche di obbligazioni prive di prospetto informativo e di rating ; 2)Si deve escludere che l'attività di informazione imposta all'intermediario dall'art. 29 reg. Consob debba necessariamente concretizzarsi in un documento compilato dal cliente stesso (nella specie si è ritenuto che la banca avesse fornito tale informazione sulla base della dicituara riportata sullo stesso ordine di acquisto ove si dava atto che il cliente era stato esaustivamente informato sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell'operazione riportata nell'ordine medesimo e di averne chiesto l'esecuzione nella più completa autonomia); 3) Nel novembre del 2001 non vi erano elementi di giudizio per considerare che l'operazione di acquisto di obbligazioni Cirio H. 01. 04 ced 6% fosse altamente rischiosa e quindi inadeguata, in senso oggettivo, ad un profilo con propensione al rischio minima o ridotta ed obiettivi di investimento orientati alla conservazione del capitale, posto che, dalle informazioni reperibili sul mercato a quell'epoca, non poteva in alcun modo evincersi la rischiosità dell'investimento né altrimenti prevedersi il default di detti titoli; 4) Non vi è conflitto di interessi nell'ipotesi di negoziazione di titoli in contropartita diretta con il cliente, ove la compravendita si sia perfezionata sulla base di un ordine di acquisto dello strumento finanziario conferito espressamente e spontaneamente dal cliente. Il conflitto sarebbe astrattamente ipotizzabile solo ove l'acquisto si sia perfezionato su sollecitazione dell'intermediario e nel caso in cui si provi che l'intermediario perseguiva scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell'interesse del cliente ; Il Trib. di Venezia, Sez. I Civ. (Presidente Zacco, est. Spaccasassi) nella Sentenza 5.5.2005 (reperibile in www.ilcaso.it ) afferma che qualora l'ordine impartito dal cliente riporti in maniera evidente la volontà di procedere all'acquisto del prodotto finanziario anche contro le indicazioni della banca, tale ordine non solo ha una efficacia deterrente e comunque responsabilizzante, ma serve a lasciare una inequivoca traccia di una avvertenza che altrimenti si presterebbe alle tante incertezze insite nella ricostruzione testimoniale degli accadimenti. (Nella specie, si è ritenuto che la banca avesse informato il cliente della inadeguatezza dell'operazione in base alla dicitura a stampa presente sull'ordine "Prendiamo atto delle indicazioni sotto riportate e tuttavia vi autorizziamo comunque ad eseguire l'operazione. Operazione non allineata alla linea di inv. concordata").
Sul punto il Tribunale osserva, in relazione alla natura di clausola di stile : "......Infine, resta da valutare se quanto contenuto nell'ordine in riferimento alle avvertenze ricevute non sia una c.d. clausola di stile. Di queste ultime si è detto che sono quelle superflue (Cass. civ. n. 13734 del 18.9.2003), quelle con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (Cass. civ. n. 11055 del 26.7.2002), quelle generiche ed indeterminate (Cass. civ. n. 15380 dell'1.12.2000). La clausola di stile, generica e generalizzata, prescinde dalla peculiarità dell'atto cui è inserita; è, per così dire, in sé decontestualizzata e tale rimane se inserita in un atto senza reale volontà e consapevolezza, senza cioè un concreto aggancio all'atto cui è inserita. Non lo è, invece, qualora, pur sinteticamente, si riferisca ad aspetti significativi dell'atto cui accede ed in esso organicamente si inserisca quale utile norma e non vuoto orpello. Non a caso non sono state ritenute di stile la clausola con cui l'impresa, in un appalto pubblico, dichiara di aver preso visione dei luoghi (la citata Cass. civ. n. 13734); né è stata ritenuta di stile la clausola in base al quale l'alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se sintetica e onnicomprensiva.
Tornando alla clausola afferente alla inadeguatezza della operazione, la diffusione di clausole siffatte, o lo stile (stringato - com'è parte del gergo bancario - e in riferimento a grandi categorie: linea di investimento, rischio, quotazione, rating, garanzia o non garanzia di mantenimento del capitale) con cui le clausole di inadeguatezza sono state redatte, non comportano in sé che dette clausole siano "di stile ". Risulta problematico considerare di stile non già una clausola marginale nell'economia dell'atto ma, in riferimento alla fattispecie qui in esame: redatta in grassetto e completata con frasi aggiunte al modulo centrata su di un aspetto (le avvertenze circa l'adeguatezza dell'operazione) basilare e fondamentale affinché l'ordine impartito debba o meno essere eseguito dall'intermediario. Va rilevato, in base alla giurisprudenza allo stato nota, che si registrano casi in cui nessuna avvertenza è stata data e casi in cui, in riferimento a più ordini dello stesso cliente, talvolta l'avvertenza è stata data, talvolta no. Il che non depone per un uso indiscriminato di una clausola che si vorrebbe "di stile".
Se poi quella clausola in alcuni casi non rispecchia la realtà dei fatti essendo il frutto di patologie che affondano le radici nell'errore o nel dolo è questione diversa che va anche diversamente affrontata, in termini di petitum, o causa petendi, e certamente in termini di congrue e pertinenti allegazioni che non ignorino (ma anzi si facciano pieno carico di) quanto il cliente ha sottoscritto"
Il Tribunale di Milano , ord. 7.10.04 (EST. Simonetti in www.dirittoefinanza.it), sopra richiamata, osserva:
"...rilevato che poiché l'attore deduce l'inesistenza o la nullità per difetto di forma dell'ordine di acquisto delle obbligazioni esistenti nel suo portafoglio e, quindi, sostiene che l'addebito del prezzo sul suo conto corrente è senza causa, il fatto costitutivo della domanda è dimostrato con la prova dell'addebito sul conto corrente spettando alla controparte l'onere di allegare e dimostrare l'esistenza della causa dell'attribuzione patrimoniale; che nel caso in esame l'addebito in conto corrente della somma di euro 180.044,19 a titolo di acquisto delle obbligazioni Parfin e Fiat è provato dai documenti prodotti dall'attore e dalla convenuta e non è contestato dalla banca la quale ne sostiene la legittimità perché fondato su un contratto valido;
ritenuto che la difesa della convenuta, in relazione alla domanda sub a) dell'attore è manifestamente infondata nel senso che i fatti dedotti dalla banca (ovvero che il cliente ha dato l'ordine su strumenti finanziari per telefono) non risultano provati dai documenti prodotti e si ritiene non potranno essere dimostrati dalla prova per testimoni richiesta dalla convenuta atteso che la difesa dell'attore ne ha eccepito, fondatamente, l'inammissibilità ex art. 2725 c.c., mentre nessuna altra prova (come la produzione della registrazione della telefonata) è stata indicata dalla convenuta;
rilevato in particolare che anche se si potesse ricondurre il contratto prodotto dalla convenuta (22 dicembre 2000) alle parti in causa e, quindi, collocare gli ordini di acquisto delle obbligazioni Parfin e Fiat del 26 novembre 2003 nell'ambito di quel contratto quadro, regolarmente stipulato per iscritto, comunque gli ordini su strumenti finanziari, per disposizione del contratto medesimo, art. 3, dovevano esser dati in forma scritta od oralmente per telefono ma registrati e quindi dovevano esser assunti con una forma documentale, quantomeno ai fini probatori, tale per cui la prova ex art. 2725 c.c. non può, in ipotesi di eccezione di parte, essere data con testimoni né, ex art. 2729 c.c., in via presuntiva;
rilevato inoltre che la banca non ha dedotto prove sul rispetto della forma alternativa a quella scritta di raccolta degli ordini oggetto di contestazione;
ritenuto pertanto che sussistono i presupposti per concedere l'ordinanza ex art. 19 d.leg. 5/03 quanto alla domanda sub a) dell' attore;
rilevato che dall'accoglimento della domanda dell'attore consegue, così come anche richiesto dalla convenuta con una delle domande proposte, l'ordinanza di condanna alla restituzione dei titoli e dei frutti civili maturati sui medesimi che la banca ha quantificato in euro 4.722,42 somma che l'attore non ha contestato e che è dimostrata dai doc. 4 e 10 prodotti dalla banca;
ritenuto invece che la domanda sub b) e le altre domande riconvenzionali non possono essere decise allo stato degli atti considerando che non
è provato il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno vantato dall'attore e dalla banca né il danno nella misura in cui è richiesto dall'attore (parametrato ad investimenti alternativi);
ritenuto pertanto che con riferimento a queste due domande va disposta la conversione del rito ex art. 19, 3° comma, d.leg. 5/03....."
Come si è detto , è l'unica decisione di questo gruppo che si sta esaminando,resa ex art. 19 d.lgs. 5.2003 , oltre a quella prima menzionata del Trib. Roma , ord. 12.12.04, (in "il Merito",fasc. n. 4 -aprile 2005,est. Iofrida)
Il Tribunale di Mantova, Sez. II -( Giudice monocratico Bernardi) nella sentenza 10 dicembre 2004 (reperibile in www.adiconsum.it) afferma:
"...Quanto al termine collocamento deve ritenersi che, nel contesto di cui all'art. 30 cit., tale espressione sia stata utilizzata in senso ampio riguardando ogni forma di vendita di titoli mobiliari atteso che tale norma disciplina il collocamento presso il pubblico di servizi di investimento la cui nozione si desume dall'art. 1 co. V del t.u.l.f. che comprende fra l'altro la negoziazione, il collocamento nonché la ricezione e la trasmissione di ordini. Ciò premesso va evidenziato che il comma VI dell'articolo in esame dispone che l'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni dalla sottoscrizione mentre il comma successivo sanziona con la nullità l'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari …….Orbene poiché né il contratto di negoziazione in strumenti finanziari né i singoli ordini di acquisto dei titoli contenevano l'indicazione della facoltà di recesso ne deriva la nullità di tali atti e va quindi accolta l'azione di ripetizione (in tal modo peraltro esponendola alla possibilità di comportamenti opportunistici da parte del cliente). "
Il Trib. Genova, sez. I, nella sentenza 18.4.05 (pres. Dimundo, est. Canepa ,reperibile in Danno e Resp. , fasc. n. 6 del 2005 ) versata in atti, osserva :
Sui doveri specifici di informativa : "…Il tipico modello predisposto dalla banca con la possibilità di scelta dell'investitore fra una serie di opzioni diverse tra loro, che seguono la dizione: "vi informiamo che l'operazione oggetto del presente ordine: è una operazione non adeguata, in relazione:", cui seguono le possibili ragioni di inadeguatezza, non risulta da alcuno dei documenti allegati dalle parti.
La generica informazione orale cui fa cenno la direttrice dell'agenzia della banca non può essere considerata, sicuramente, senza altre specifiche indicazioni, rispondere alla prescrizione di informare adeguatamente l'investitore degli specifici rischi suddetti secondo il disposto del comma l, dell'art. 21 del D.Lgs. 58 del 1998 e l'art. 28, comma 2, della deliberazione 1 ° luglio 1998 n. 11522, né si può ritenere che con quel generico avvertimento l'investitore sia stato messo al corrente "delle ragioni per cui non fosse opportuno procedere" all'esecuzione di tale operazione secondo la prescrizione di cui all'art. 29, comma 3, della deliberazione 1° luglio 1998 n. 11522.
La banca stessa avendo dichiarato attraverso la propria funzionaria la inadeguatezza dell'operazione ha riconosciuto che il dovere di informativa doveva essere specifico e non riferito genericamente alla dichiarazione di non adeguatezza dell'operazione …"
Sulla nullità "….Prospetta, al riguardo, parte attrice la tesi secondo cui nella fattispecie sussisterebbe la nullità della operazione finanziaria.
Nullità che secondo la prospettazione attorea si fonda sulla pretesa violazione dell'art. 23 del Decreto legislativo n. 58/1998 che esige, a pena di nullità, il requisito della forma scritta per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento ed accessori.
Al contratto-quadro, per il quale è imposta la forma scritta a pena di nullità, viene invece lasciata la libertà di individuare le modalità con le quali il cliente impartisce ordini e disposizioni.
La nullità del contratto per violazione dell'art. 23 del Decreto legislativo n. 58/1998 consegue alla circostanza evidenziata dalle esaminate risultanze testimoniali e documentali che il contratto-quadro è stato sottoscritto successivamente all'ordine di acquisto dei titoli e alla sua esecuzione da parte della banca, pertanto, nel caso in esame si può parlare di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto.
Resta, quindi, ultroneo esaminare ancora la denunciata violazione dell'art. 21 del TUIF relativamente alla parte in cui impone che una organizzazione che "riduca al minimo il rischio di conflitti di interessi" e che "in situazione di conflitto", impone di "agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento" così come la domanda di annullamento dei contratti per errore a dolo."
Sul danno e sua quantificazione "…..Relativamente al danno si osserva che è pacifico essersi verificato il rischio che avrebbe dovuto costituire oggetto di apposita ed espressa informativa, ossia il default in relazione alle obbligazioni emesse, ossia essersi determinata l'assoluta incertezza in ordine al recupero del capitale investito, da parte del risparmiatore.
La convenuta non ha neppure contestato la sussistenza del danno, che risulta evidente in quanto le obbligazioni non sono più negoziabili sul mercato e non appaiono, allo stato, suscettibili di rimborso.
Ne consegue il diritto dell'investitore a recuperare il capitale investito nei confronti della banca che, col suo comportamento inadempiente, ha messo l'investitore inconsapevole nella situazione di accollarsi i rischi dell'investimento, per cui l'azione di recupero del capitale dovrà essere posta in capo all'inadempiente."
Se la procedura sommaria sia compatibile con il tipo di questioni insorte.
La compatibilità del rito sommario con il tipo di questioni trattate è affermata, come visto, da Trib. Milano, ord. 7.10.04 (EST. Simonetti in www.dirittoefinanza.it), che peraltro, sul punto, si limita ad affermare "...ritenuto pertanto che sussistono i presupposti per concedere l'ordinanza ex art. 19 d.leg. 5/03 quanto alla domanda sub a) dell' attore [restituzione di addebito sul conto corrente derivante dalle operazioni contestate dall'attore]..." disponendo invece la conversione del rito per la contestuale domanda di risarcimento danni avanzata dall'attore.
Molto più in là - trattandosi di decidere con rito sommario - si spinge l'ord. 12.12.04, del Trib. Roma,sopra cit. (est. Iofrida,in "il Merito", fasc. 4-aprile 2005), la quale, come visto, afferma che la banca poteva provare, solo in via documentale (il che non ha fatto) "di aver agito nello svolgimento del servizio di investimento per cui è causa con la diligenza richiesta..." e condanna la banca alla restituzione dell'intero corrispettivo per obbligazioni rivelatesi un pessimo affare "...essendo notorio il default delle suddette obbligazioni,con conseguente attuale insussistenza di possibilità per il risparmiatore di recupero del capitale investito...e non essendo stato peraltro contestato specificamente dalla banca il quantum della pretesa azionata...".
Non ritiene questo giudice di poter aderire agli orientamenti appena esposti.
Innanzitutto, va osservato che le motivazioni dei due provvedimenti, sul punto, sono, se non del tutto implicite, certo molto laconiche.
Si può obiettare che ciò è connaturato all'essenza del rito sommario, ma per l'appunto i molti problemi sopra evidenziati, in ordine a questioni di merito certamente non semplici in fatto e in diritto, sono, al contrario, un chiaro indice che la trattazione non può essere a cognizione sommaria .
In particolare, circa l'asserita nullità, essa è affermata da alcuni giudici,ma negata con varie argomentazioni da altri (v. a tal proposito sentenze Trib. Milano 9.3.05 e 25.7.05, nonchè Trib. Taranto, sopra citate).
Sulla valenza di "clausola di stile" affermata nel presente procedimento da parte attrice, in relazione alla clausola di "non adeguatezza dell'investimento prescelto", contenuta nel modulo d'ordine sottoscritto da parte ricorrente (e sottolineata invece dalla banca nelle sue difese), sarebbero nel caso in esame da approfondire, anche a livello istruttorio, le distinzioni operate da Trib. Venezia, sopra citato.
Sul versante della domanda di risarcimento, va osservato che non può certo giustificare la restituzione dell'intera somma versata ricorrere al "notorio" circa il default delle obbligazioni, con conseguente attuale insussistenza di possibilità per il risparmiatore di recupero del capitale investito(trib. Roma,12.12.04,sopra cit.; Trib. Genova 18.4.05, sopra citato). La sentenza del giudice di questo Tribunale di Ancona, sopra richiamata, se non può affatto condividersi in punto di carenza di interesse ad agire (sembra a questo decidente che nella fattispecie il giudice anconetano abbia confuso eventuali profili di infondatezza parziale della domanda con la carenza di interesse ad agire, senza contare il fatto che, per le domande di condanna, quale era tipicamente quella al suo esame , gli interpreti svalutano del tutto o comunque circoscrivono di molto la rilevanza preclusiva della sussistenza di un "interesse ad agire"; sul punto, v. comunque Cass. sez. L. 24.9.96 n. 8432, in Foro it., 1998, I, 1287 e specialmente colonne 1294-95-96) pone però il problema della ristorazione, totale o parziale dei risparmiatori. Tale ristorazione, almeno a livello parziale, appare ormai probabile: purtroppo, sembra, a spese dell'Erario. Su ciò basterà richiamare i commenti e le previsioni che sul punto vengono fatti sull'elaborazione della prossima legge finanziaria e relativo "collegato".
Anche allo stato attuale del diritto positivo, tuttavia, una piccola parte del capitale versato in obbligazioni potrebbe essere recuperato dai risparmiatori: intorno al 20 % da fonti giornalistiche (SOLE 24ORE), laddove il grande gruppo industriale Parmalat si giovasse della normativa di settore relativa alle "grandi imprese in crisi", di recente novellata (2003) proprio per esso, o per casi analoghi.
Com'è noto, la strada per il recupero, da parte dei piccoli risparmiatori, del capitale investito e travolto nel crack Parmalat è lunga, difficile, ma variegata. In primo luogo, mediante insinuazione al passivo: la mancata insinuazione al passivo comporta l'impossibilità di partecipare alla ripartizione tra i creditori della liquidità realizzata con la procedura di amministrazione straordinaria.
Quest'incertezza determina l'impossibilità di stabilire un quantum in tempi brevi, occorrendo perlomeno apposita ctu.
Vero è che parte della dottrina ha ammesso anche la possibilità di una condanna generica all'esito del rito sommario ma, considerate le finalità per cui questo rito è sorto, la tesi non è da condividere. Non si vede come si possa agevolmente spendere in via d'esecuzione una condanna generica scaturente da ordinanza con rito sommario, o comunque spenderla in qualche modo compatibile con i fini della sommarietà, se non a fini transattivi (ma al ribasso, verosimilmente, per gli interessi economici del ricorrente/risparmiatore) e non era certo questo il fine del rito sommario che, sul modello del "referè" franco-belga e di altri modelli, era finalizzato a dare subito e con sicurezza un titolo giurisdizionale di facile e pronta esecuzione (seppure insuscettibile di passare in giudicato).
Osta in ogni caso ad una condanna generica nel presente rito sommario la mancata richiesta in tal senso di parte attrice ed in ogni caso il mancato consenso a tale statuizione di parte convenuta: l'opposizione della convenuta a che si proceda con il rito sommario e le sua censure circa l'indeterminatezza dei fatti costitutive della domanda costituiscono chiaramente un opposizione a che il giudice pronunci condanna generica e va a tal proposito richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno, solo in presenza dell'accordo delle parti o, quanto meno, della mancata opposizione del convenuto, il giudice puo' scindere il giudizio medesimo, che e' di norma unitario, e limitare la pronuncia all'"an debeatur"; in mancanza di una delle due condizioni, egli deve decidere anche la domanda di quantificazione del danno, per accoglierla (ricorrendo, se del caso alla forma di cui all'art. 279, n. 4, cod. proc. civ., e, per il merito, al disposto dell'art. 1226 cod. civ.), o per respingerla (quando non sia determinabile l'entita' del danno), restando sempre esclusa la possibilita' di pronunciare una condanna generica di risarcimento con rinvio della liquidazione ad altro giudizio. Ne consegue che, ove la limitazione dell'originaria domanda di pronuncia piena al semplice accertamento del diritto al risarcimento non possa operare a causa dell'opposizione di controparte, riprende vigore l'istanza di liquidazione del danno secondo la normale struttura del giudizio risarcitorio, fermo restando l'onere a carico dell'istante di provare il danno in tutti i suoi elementi e salva l'eventuale applicazione dei citati artt. 279, n. 4, cod. proc. civ. e 1226 cod. civ. (Cass. sez. L, n. 7810 del 08/08/1998; sez. 2 .n. 10256 del 16/10/1998 ; sez. 2 ,n. 1579 del 24/02/1999; ss.uu. n. 1324 del 13.2.97).
Da ultimo, la banca ha chiesto prove testimoniali per contrastare gli addebiti che le vengono rivolti in punto di responsabilità e, per le considerazioni sopra fatte, anche tale aspetto merita un'istruttoria non breve, non essendo d'altra parte condivisibile quella giurisprudenza la possibilità di prova testimoniale sull'assunto della cartolarità della prova che gli obblighi della banca siano stati rispettati o addirittura fondando una necessità di atto scritto ad substantiam per dare conto del rispetto di tali obblighi (v. sul punto le considerazioni del trib. Milano 25.7.05 sopra cit. ,all'inizio della parte motiva richiamata). D'altro canto l'incompatibilità di soggetti interni alla sfera della banca, pure sostenuta nella sentenza del Trib. Genova sopra citato, è negata da altri (v. quanto estesamente argomenta in proposito Trib. Parma,16.6.05, sopra cit.).
La presente procedura sommaria è pertanto incompatibile con il concreto atteggiarsi dell'oggetto della causa.
Il mutamento del rito: sue conseguenze quando il processo inizia presso la sezione distaccata di Tribunale.
Stabilito che, in non poche ipotesi, controversie di rito societario possono essere giudicate dal giudice monocratico, non sussiste, tra la gran copia dei commenti rinvenibili sul processo societario, molto che tratti del ruolo del giudice monocratico addetto alla sezione distaccata.
Si osserva apoditticamente da parte di taluno che, mentre nelle cause a riserva di collegialità del rito ordinario, il giudice monocratico investito non potrà che essere quello della sede centrale del Tribunale, al contrario per l'assegnazione dei procedimenti a carattere monocratico nel nuovo rito societario, il Presidente designerà i corrispondenti giudici addetti alle sezioni che vengono territorialmente coinvolte dalle relative domande giudiziarie.
Senza entrare in ulteriori analisi, la soluzione di assegnare anche alle sezioni distaccate la trattazione di affari rientranti nel rito societario, limitatamente a quelli da trattarsi da parte del giudice monocratico, appare condivisibile, sul rilievo che la riforma societaria ha attuato, contrariamente a quanto in un primo momento teorizzato, un accentramento della trattazione delle controversie societarie molto più attenuato rispetto alle prime ipotesi.
In alternativa all'accoglimento del riscorso, l'art. 19 prevede che il procedimento sommario si converta nel processo a cognizione piena.
In forza del 3° co. dell'art. 19, il giudice, ritenuto che l'oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria, dispone il mutamento del rito dalla cognizione sommaria alla cognizione piena imponendo l'osservanza delle forme previste dagli artt. 2 ss. del d.lgs. n. 5 del 2003. In tali casi, il raccordo tra i due riti (societario sommario e societario "ordinario") si opera agganciando l'attività compiuta con le forme sommarie al momento processuale in cui l'attore ha la scelta, nel rito di cognizione, di replicare alla comparsa di risposta del convenuto (schiudendo per il convenuto la possibilità di replicare a sua volta) o di chiedere la fissazione dell'udienza di discussione. Secondo quanto dispone il 3° co. dell'art. 19, quando converte il rito sommario in rito a cognizione piena, il giudice infatti assegna all'attore i termini di cui all'art. 6 del decreto. Ciò significa che, in base al disposto del 1° co. dell'art. 6 e del 2° co. dell'art. 4, ivi richiamato, l'attore deve avere almeno trenta giorni per replicare alla comparsa di risposta del convenuto. Con la sua replica, come stabilisce il 2° co. dell'art. 6, l'attore può precisare o modificare le domande e le conclusioni già proposte, proporre nuove domande ed eccezioni nonché chiamare in causa terzi, se questa esigenza è sorta dalle difese del convenuto, depositare nuovi documenti ovvero formulare nuove istanze istruttorie. Se si avvale della facoltà di replicare alla comparsa di risposta del convenuto, l'attore, ai sensi del 3° co. dell'art. 6, deve fissare al convenuto un termine perché questi abbia la possibilità di depositare un'ulteriore memoria difensiva (possibilità a cui il convenuto può rinunciare chiedendo la fissazione dell'udienza di discussione). Ma l'attore può anche non avvalersi dei termini di cui all'art. 6 per replicare al convenuto, chiedendo, in applicazione della disciplina del processo di cognizione contenuta all'art. 8, l'immediata fissazione dell'udienza di discussione.
Ora, poichè la futura eventuale trattazione sarà innanzi al collegio, il processo, iniziato con il rito sommario innanzi alla sezione distaccata, si muta nel rito "ordinario" societario, ma deve spostarsi anche dal punto di vista "fisico" (sezione distaccata - sede centrale ove c'è il collegio).
Il Giudice dovrà quindi assegnare il termine previsto dalla legge, e, subito dopo, disporre d'ufficio la trasmissione del fascicolo al presidente.
Come si è accennato, per le sezioni distaccate di Tribunale mancano, nella normativa, criteri di raccordo per la trasmigrazione processuale, già in sede di processi a riserva di collegialità del rito a cognizione ordinaria.
Ancor più per il processo societario.
Tra le tante opzioni avanzate in dottrina, con riferimento alle cause a riserva di collegialità "ordinaria" (art. 50bis cpc ), appare preferibile quella di applicazione analogica del disposto dell'art. 87ter disp.att. cpc .
E' appena il caso di osservare che sussiste un'importante differenza tra il provvedimento del giudice della sezione distaccata che manda il fascicolo al Presidente ex art. 83ter disp.att. cpc per la violazione della riserva di collegialità "ordinaria" ex art. 50bis cpc ed il provvedimento dello stesso giudice che, come nella fattispecie, emette identico provvedimento per "conversione del rito" societario da sommario a ordinario.
Tale differenza si può apprezzare nel momento in cui si valuti un eventuale provvedimento di ri-trasmissione degli atti da parte del Presidente del Tribunale alla sezione distaccata.
Infatti, un provvedimento del Presidente del Tribunale che, non essendo d'accordo sulla riserva di collegialità individuata dal Giudice della Sezione distaccata con la sua rimessione del fascicolo, ritrasmettesse gli atti alla sezione distaccata, verrebbe tutto sommato ad incidere solo sulla sede ove l'affare verrebbe trattato. Certamente, verrebbe anche ad incidere sulla trattazione collegiale o monocratica ma, nel giudizio ordinario, non vi sono poi così grandi differenze di rito.
Un provvedimento del Presidente del Tribunale che, al contrario, ritrasmettesse gli atti alla sezione distaccata (e l'unica ragione ipotizzabile sarebbe che non ritiene condivisibile il giudizio negativo sui presupposti di sommarietà del rito, operato dal giudice monocratico della sezione distaccata) verrebbe ad incidere proprio sulla valutazione di sommarietà o meno del rito.
A prescindere da ogni considerazione su quali provvedimenti potrebbe prendere il giudice monocratico che così si vedesse ritornati gli atti, e come qualificare il tipo di provvedimento che sia stato in tal modo preso dal Presidente, è interessante notare che la lacuna normativa è invero considerevole, sol che si tenga presente che il Giudice della sezione distaccata vincola, in qualche modo, l'attività successiva che viene compiuta da altri giudici (della sede centrale).
Il che, anche se ovviamente non si pone nell'ambito delle questioni di competenza (e non sembra, d'altro canto, suscettibile di essere caducato o posto nel nulla alla luce di provvedimenti successivi) dà più di un motivo di riflessione sulla completezza del sistema di regole processuali del rito societario, con particolare riferimento ai rapporti tra rito societario e affari da trattarsi presso le sezioni distaccate di Tribunale.
P.Q.M.
Il Giudice dispone il mutamento del rito ai sensi e per gli effetti del comma 3° dell'art. 19 d.lgs. 5.2003, assegnando all'attore i termini di cui all'art. 6 stesso d.lgs.
Dispone che la cancelleria provveda alla trasmissione del fascicolo al presidente del Tribunale.
Si comunichi .
Fabriano li 7.11.05
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