Etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari - divieto di indicazioni relative alla salute
Corte di Giustizia delle Comunità europee Sezione 2, Sentenza 15.07.2004, n. 239/02
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
Letto 1509 volte dal 15/07/2008
L'articolo 2 della direttiva n. 99/4/Ce, relativa agli estratti di caffè e di cicoria deve essere interpretato nel senso che nella commercializzazione di prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva, non esclude che possano essere utilizzate, oltre alle denominazioni di vendita, anche altre, come un'espressione commerciale e di fantasia. Inoltre, gli articoli 28 e 30 del Trattato devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta i «riferiment
L'articolo 2 della direttiva n. 99/4/Ce, relativa agli estratti di caffè e di cicoria deve essere interpretato nel senso che nella commercializzazione di prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva, non esclude che possano essere utilizzate, oltre alle denominazioni di vendita, anche altre, come un'espressione commerciale e di fantasia. Inoltre, gli articoli 28 e 30 del Trattato devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta i «riferimenti al dimagrimento» e i «riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o dichiarazioni di approvazione» nella pubblicità di prodotti alimentari importati da altri Stati membri.
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
15 luglio 2004
"Ravvicinamento delle legislazioni - Interpretazione dell'articolo 28 CE e delle direttive 1999/4/CE e 2000/13/CE - Validità della direttiva 1999/4/CE - Etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari - Divieto di indicazioni relative alla salute"
Nel procedimento C-239/02,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Rechtbank van Koophandel te Hasselt (Belgio) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Do. Eg. NV
e
Do. Eg. NV
e
We. Ph. NV,
Ch. So., che opera con la denominazione "Et. FI.",
e tra
FI.-Wo. BV.,
Do. Eg. NV
e
Do. Eg. NV
e
We. Ph. NV,
Ch. So., che opera con la denominazione "Et. FI.",
e tra
FI.-Wo. BV.,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 28 CE, sull'interpretazione e la validità dell'art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 febbraio 1999, 1999/4/CE, relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria (GU L 66, pag. 26), e sull'interpretazione dell'art. 18 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29),
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente della Seconda Sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet, J.N. Cunha Rodrigues (relatore) e R. Schintgen e dalla sig.ra N. Colneric, giudici,
avvocato generale: sig. L. A. Geelhoed
cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
- per la Do. Eg. NV, dai sigg. G. Gl. e A. Wi., advocaten;
- per la FI.-Wo. BV., dal sig. Y. Van Wa., advocaat;
- per il governo belga dalla sig.ra A. Sn., in qualità di agente;
- per il Parlamento europeo, dai sigg. A. Ba. e M. Mo., in qualità di agenti;
- per il Consiglio dell'Unione europea, dalla sig.ra E. Ka., in qualità di agente;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. Fr. e H.M.H. Sp., in qualità di agenti,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali della Do. Eg. NV, rappresentata dal sig. T. He., advocaat, della FI.-W. BV., rappresentata dai sigg. Y. Van Wa. e M. Ro., advocaat, del governo belga, rappresentato dal sig. J. De. e dalla sig.ra D. Ha., in qualità di agenti, del Parlamento, rappresentato dai sigg. A. Ba. e M. Mo., del Consiglio, rappresentato dalla sig.ra E. Ka. e dal sig. B. Dr., in qualità di agenti, e della Commissione, rappresentata dalla sig.ra M.-J. Jo. e dal sig. A. Ni., in qualità di agenti, all'udienza del 6 novembre 2003,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza dell'11 dicembre 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con ordinanza 28 giugno 2002, pervenuta alla Corte il 1° luglio seguente, il Rechtbank van Koophandel te Hasselt ha proposto, ai sensi dell'art. 234 CE, diverse questioni pregiudiziali sull'interpretazione dell'art. 28 CE, sull'interpretazione e la validità dell'art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 febbraio 1999, 1999/4/CE, relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria (GU L 66, pag. 26), e sull'interpretazione dell'art. 18 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29).
2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia avente ad oggetto l'immissione sul mercato belga di un prodotto con il nome "DynaSvelte Koffie" a condizioni che, secondo la società Do. Eg. NV (in prosieguo: la "Do. Eg."), contravvengono alle disposizioni nazionali sulla pubblicità e l'etichettatura dei prodotti alimentari.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 L'art. 2 della direttiva 1999/4 prevede quanto segue:
"La direttiva 79/112/CEE si applica ai prodotti definiti nell'allegato, alle seguenti condizioni:
a) Le denominazioni previste nell'allegato sono riservate ai prodotti in esso indicati e devono essere utilizzate nel commercio per designarli. Se del caso, le denominazioni di vendita sono completate dai termini:
- "in pasta" o "in forma pastosa" o
- "liquido" o "in forma liquida".
(...)".
4 L'art. 3 della stessa direttiva dispone:
"Per i prodotti definiti nell'allegato, gli Stati membri non adottano disposizioni nazionali non previste dalla presente direttiva".
5 Il punto 1 dell'allegato della direttiva 1999/4, intitolato "Estratto di caffè, estratto di caffè solubile, caffè solubile o caffè istantaneo", in particolare:
"Designa il prodotto concentrato, ottenuto mediante estrazione dai grani di caffè torrefatti, utilizzando l'acqua come unico agente di estrazione, ad esclusione di qualsiasi procedimento di idrolisi con aggiunta di acido o di base.
(...)
L'estratto di caffè solido o in pasta non deve contenere altre sostanze se non quelle ottenute dall'estrazione del caffè (...)".
6 I "considerando" quarto, quinto, sesto e ottavo della direttiva 2000/13 sono formulati come segue:
"(4) La presente direttiva ha lo scopo di stabilire le norme comunitarie di carattere generale ed orizzontale applicabili a tutti i prodotti alimentari immessi in commercio.
(5) Le norme di carattere specifico e verticale riguardanti soltanto determinati prodotti alimentari devono invece essere stabilite nell'ambito delle disposizioni che disciplinano tali prodotti.
(6) Qualsiasi regolamentazione relativa all'etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d'informare e tutelare i consumatori.
(8) Un'etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci".
7 L'art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 prevede:
"L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:
a) essere tali da indurre in errore l'acquirente, specialmente:
(i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l'identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l'origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento,
(ii) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede,
(iii) suggerendogli che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche;
(b) fatte salve le disposizioni comunitarie applicabili alle acque minerali naturali e ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà".
8 L'art. 2, n. 3, lett. b), di tale direttiva precisa che i divieti o le limitazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 valgono anche per la pubblicità.
9 Ai sensi dell'art. 3, n. 1, della stessa direttiva:
"1. Alle condizioni e con le deroghe previste dagli articoli da 4 a 17, l'etichettatura dei prodotti alimentari comporta soltanto le seguenti indicazioni obbligatorie:
1) la denominazione di vendita;
(...)".
10 Conformemente all'art. 5 di detta direttiva:
"1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista per tale prodotto dalle disposizioni comunitarie ad esso applicabili.
(...)
2. La denominazione di vendita non può essere sostituita da un marchio di fabbrica o di commercio o da una denominazione di fantasia.
(...)".
11 Secondo l'art. 18 della direttiva 2000/13:
"1. Gli Stati membri non possono vietare il commercio dei prodotti alimentari conformi alle norme previste dalla presente direttiva, applicando disposizioni nazionali non armonizzate relative all'etichettatura e alla presentazione di determinati prodotti alimentari o dei prodotti alimentari in genere.
2. Il paragrafo 1 non è applicabile alle disposizioni nazionali non armonizzate giustificate da motivi:
- di tutela della salute pubblica;
- di repressione delle frodi, sempreché queste disposizioni non siano tali da ostacolare l'applicazione delle definizioni e delle norme previste dalla presente direttiva;
- di tutela della proprietà industriale e commerciale, di indicazioni di provenienza, di denominazioni d'origine e di repressione della concorrenza sleale".
La normativa nazionale
12 L'art. 1 del regio decreto 5 marzo 1987 relativo al caffè e ai suoi estratti e surrogati (Moniteur belge del 12 giugno 1987, pag. 9035), dispone, segnatamente:
"Ai fini del presente decreto s'intende per:
1. caffè: il seme del chicco di caffè (tipi della specie Coffea) adeguatamente pulito e tostato; (...)".
13 L'art. 3, n. 1, di detto regio decreto ha il seguente tenore:
"Nell'immissione in commercio i prodotti alimentari di cui all'art. 1 possono e devono essere indicati soltanto con una delle denominazioni coincidenti con la definizione data dall'articolo stesso".
14 L'art. 2 del regio decreto 17 aprile 1980, relativo alla pubblicità per i prodotti alimentari (Moniteur belge del 6 maggio 1980, pag. 5476), prevede quanto segue:
"Nella pubblicità per i prodotti alimentari è vietato avvalersi di:
(...)
3° riferimenti all'effetto dimagrante;
(...)
7° riferimenti a raccomandazioni mediche, certificati, citazioni, pareri o dichiarazioni di approvazione, esclusa la menzione che un prodotto alimentare non deve essere utilizzato contro parere medico; (...)".
La causa principale e le questioni pregiudiziali
15 La Do. Eg. produce e commercia caffè sul mercato belga, con il nome "Do. Eg.". Essa si oppone in giudizio all'immissione sul mercato di un prodotto con il nome "DynaSvelte Koffie", fabbricato dalla We. Ph. NV e distribuito, sino al 31 dicembre 2001, dal sig. Ch. So., operante con la denominazione commerciale "Et. FI." e, a partire dal 1° gennaio 2002, dalla FI.-Wo. BV.
16 La Do. Eg., in un procedimento d'urgenza avviato dinanzi al Rechtbank van Koophandel, sostiene che le menzioni figuranti sul boccale, sulla confezione e sulle avvertenze d'uso di tale prodotto, ossia "l'assoluta svolta nel controllo del peso", "dimagrimento, migliore controllo del peso, riduzione di accumulo di grasso" e "la formula brevettata negli USA dalla dott.ssa An. de We. Al., del Gl. Re. In." violano diverse norme nazionali in materia di pubblicità ed etichettatura di prodotti alimentari.
17 Ritenendo che l'esito della controversia dipendesse dall'interpretazione del diritto comunitario e dalla valutazione della validità della direttiva 1999/4, il Rechtbank van Koophandel te Hasselt ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
"A.1 Se l'art. 2 della direttiva 1999/4/CE (...) debba essere interpretato nel senso che per i prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva possono essere utilizzate soltanto le denominazioni commerciali menzionate nell'allegato stesso, senza che oltre a tali denominazioni possano esserne utilizzate anche altre (come un'espressione di fantasia o commerciale), oppure se l'art. 2 debba essere interpretato nel senso che le denominazioni commerciali menzionate nello stesso allegato possono essere utilizzate soltanto per i prodotti menzionati nell'allegato della direttiva, ma che oltre a dette denominazioni per gli stessi prodotti possono esserne utilizzate anche altre (come un'espressione di fantasia o commerciale).
A.2 Qualora la Corte (...) consideri che l'art. 2 della direttiva (...) 1999/4/CE (...) deve essere interpretato nel senso che per i prodotti menzionati nell'allegato di detta direttiva possono essere utilizzate soltanto le denominazioni commerciali menzionate nell'allegato stesso, senza che oltre a tali denominazioni possano esserne utilizzate anche altre (come un'espressione di fantasia o commerciale), se da ciò consegua che detta direttiva è in contrasto con l'art. 28 del Trattato CE, che stabilisce un divieto di restrizioni quantitative all'importazione e di misure di effetto equivalente fra gli Stati membri della Comunità europea, per il motivo che tale direttiva, in applicazione della suddetta interpretazione, per i prodotti che rispondono alla definizione degli estratti di caffè contenuta nel suo allegato:
- esclude l'uso di denominazioni diverse da "estratto di caffè" o da "caffè istantaneo", come la denominazione "caffè";
- conseguentemente riserva l'uso della denominazione "caffè" ad un'unica forma di "caffè", vale a dire al caffè in grani;
- e pertanto protegge artificialmente il mercato del caffè dai prodotti concorrenti in forme diverse dal caffè in grani, come fra l'altro gli estratti di caffè e il caffè istantaneo.
B.1 Se l'art. 18, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13/CE debba essere interpretato nel senso che disposizioni nazionali non armonizzate in materia di etichettatura e di presentazione di prodotti alimentari, nonché in materia di pubblicità effettuata al riguardo, vietanti determinate indicazioni come i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nell'etichettatura e/o nella presentazione di prodotti alimentari e/o nella relativa pubblicità, laddove tali indicazioni non sono vietate dalla direttiva, costituiscano violazioni della direttiva stessa, tenendo conto del fatto che nel suo ottavo "considerando" si afferma che l'etichettatura più adeguata è quella che meno ostacola gli scambi commerciali, e che pertanto siffatte disposizioni nazionali non possono essere applicate.
B.2 Se l'art. 18, n. 2, della direttiva 2000/13/CE debba essere interpretato nel senso che devono considerarsi volte alla "tutela della salute delle persone" le disposizioni nazionali non armonizzate in materia di etichettatura e di presentazione di prodotti alimentari, nonché in materia di pubblicità effettuata al riguardo, che vietano determinate indicazioni, come i "riferimenti al dimagrimento", e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione".
C. Se l'art. 28 del Trattato CE debba essere interpretato nel senso che disposizioni nazionali in materia di etichettatura e di presentazione di prodotti alimentari, nonché in materia di pubblicità effettuata al riguardo, non armonizzate a livello comunitario e che si discostano dalla direttiva 2000/13/CE, nei limiti in cui vietano determinate indicazioni nell'etichettatura e/o nella presentazione dei prodotti alimentari e/o nella pubblicità quali i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione", debbano essere considerate come misure di effetto equivalente e/o come restrizioni quantitative all'importazione fra gli Stati membri della Comunità europea, in quanto dette disposizioni nazionali:
- da un lato, stabiliscono un onere supplementare all'importazione di prodotti alimentari per rendere detti prodotti conformi alla normativa nazionale e conseguentemente ostacolano gli scambi commerciali fra gli Stati membri e
- dall'altro, non si applicano a tutti gli operatori commerciali interessati che svolgono la loro attività sul territorio nazionale, nel senso che vi sono prodotti del tutto analoghi (come i prodotti cosmetici), cui non si applicano né tali disposizioni, né altre disposizioni analoghe, e se, di conseguenza, le stesse disposizioni debbano essere disattese dal giudice nazionale".
Osservazioni preliminari
18 Il governo belga, il Parlamento e il Consiglio esprimono dubbi sulla natura del prodotto "DynaSvelte Koffie", che potrebbe ostare all'applicabilità al caso di specie della direttiva 1999/4. Per parte sua, la Commissione sottolinea che, se tale prodotto non fosse un prodotto alimentare di consumo corrente ma un prodotto alimentare destinato ad un'alimentazione particolare, esso non rientrerebbe nell'ambito d'applicazione della direttiva 2000/13.
19 Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell'ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall'art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v., in particolare, sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 38, e 5 giugno 2003, causa C-438/01, Design Concept, Racc. pag. I-5617, punto 14).
20 Nella presente causa occorre risolvere le questioni sollevate partendo dalle premesse sulle quali si basa il giudice del rinvio, ossia che il "DynaSvelte Koffie" è un prodotto alimentare di consumo corrente e che rientra nell'ambito d'applicazione della direttiva 1999/4.
Sulla prima questione
21 Con la prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se, per la commercializzazione dei prodotti menzionati nell'allegato della direttiva 1999/4, possono essere utilizzate soltanto le denominazioni di vendita menzionate nell'allegato stesso, o se, oltre a tali denominazioni, possano esserne utilizzate anche altre, come un'espressione di fantasia o commerciale.
22 Si deve anzitutto rilevare che la direttiva 2000/13 stabilisce norme di carattere generale ed orizzontale, applicabili a tutti i prodotti alimentari, mentre norme di carattere specifico e verticale, riguardanti soltanto estratti di caffè e di cicoria, sono state adottate dalla direttiva 1999/4.
23 Pertanto la direttiva 1999/4 è una direttiva settoriale, ai sensi del quinto "considerando" della direttiva 2000/13, e deve essere interpretata alla luce di quest'ultima.
24 Ai sensi dell'art. 2, lett. a), della direttiva 1999/4 "(l)e denominazioni previste nell'allegato sono riservate ai prodotti in esso indicati e devono essere utilizzate nel commercio per designarli".
25 Ne consegue, da un lato, che le denominazioni di vendita, segnatamente "estratto di caffè", "estratto di caffè solubile", "caffè solubile" e "caffè istantaneo", possono essere utilizzate unicamente per la commercializzazione di prodotti cui si applica la direttiva 1999/4 e, dall'altro, che tale uso è obbligatorio.
26 Peraltro, come precisato da Parlamento e Commissione, l'art. 3 della direttiva 2000/13 elenca le indicazioni che devono comparire obbligatoriamente sull'etichettatura dei prodotti alimentari, tra cui la denominazione di vendita, senza tuttavia escludere l'uso di altre indicazioni.
27 Per di più l'art. 5, n. 2, della direttiva 2000/13 prevede che la denominazione di vendita non può essere sostituita da un marchio di fabbrica o di commercio o da una denominazione di fantasia, senza vietarne tuttavia un uso concomitante.
28 L'art. 2 della direttiva 1999/4 non vieta dunque di far comparire una denominazione di fantasia o un marchio di commercio oltre alla denominazione di vendita obbligatoria. Tale divieto limiterebbe l'informazione dei consumatori sulle caratteristiche dei prodotti oggetto della causa principale e sarebbe contrario a uno degli scopi enunciati al sesto "considerando" della direttiva 2000/13.
29 Si deve pertanto rispondere alla prima questione dichiarando che l'art. 2 della direttiva 1999/4 deve essere interpretato nel senso che, per la commercializzazione dei prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva, non si esclude che, oltre alle denominazioni di vendita, possano essere utilizzate anche altre denominazioni, come un'espressione di fantasia o commerciale.
Sulla seconda questione
30 La questione della validità dell'art. 2 della direttiva 1999/4 è stata sollevata dal giudice del rinvio unicamente per l'ipotesi in cui, nella risposta alla prima questione, la Corte l'avesse interpretato nel senso che esso vieta, per i prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva, l'uso di altre indicazioni oltre alle denominazioni di vendita.
31 Alla luce della soluzione data alla prima questione, non si deve rispondere alla seconda.
Sulle questioni terza, quarta e quinta
32 Con tali questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l'art. 28 CE, nonché l'art. 18, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13, ostino ad una normativa nazionale che vieta indicazioni come i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità di prodotti alimentari.
33 Emerge dall'ordinanza di rinvio che il regio decreto 17 aprile 1980 vieta di utilizzare le indicazioni controverse non solo nella pubblicità dei prodotti alimentari ma anche nella loro etichettatura.
34 Orbene, come deciso dalla Corte nella sua sentenza 12 dicembre 1990, causa C-241/89, SARPP (Racc. pag. I-4695, punto 15), le disposizioni della direttiva relative all'etichettatura differiscono su un punto sostanziale da quelle che riguardano la pubblicità. In considerazione del suo carattere generale e orizzontale la direttiva consente agli Stati membri di mantenere in vigore o di adottare norme che si aggiungano a quelle da essa sancite. In materia di etichettatura, i limiti della competenza così lasciata agli Stati membri sono stabiliti dalla stessa direttiva, poiché essa elenca in modo esauriente, nell'art. 18, n. 2, i motivi atti a giustificare l'applicazione delle norme nazionali non armonizzate che vietano il commercio di prodotti conformi alla direttiva. L'art. 18 della direttiva 2000/13 non si applica però alla pubblicità. Di conseguenza, la questione se in questa materia il diritto comunitario osti all'applicazione di una normativa nazionale che si aggiunga alle norme della direttiva dev'essere esaminata alla luce, in particolare, delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci e, in particolare, degli artt. 28 CE e 30 CE.
35 Appare dunque necessario esaminare separatamente gli aspetti della normativa nazionale de qua relativi, da un lato, all'etichettatura e, dall'altro, alla pubblicità dei prodotti alimentari.
Sull'etichettatura dei prodotti alimentari
36 L'art. 2, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2000/13 vieta qualunque indicazione attinente alle malattie dell'uomo, indipendentemente dal fatto che essa sia o meno idonea a indurre il consumatore in errore, nonché le indicazioni che, pur non comportando alcun riferimento alle malattie, bensì piuttosto, ad esempio, alla salute, si rivelino ingannevoli (v. sentenze 23 gennaio 2003, causa C-221/00, Commissione/Austria, Racc. pag. I-1007, punto 35, e cause riunite C-421/00, C-426/00 e C-16/01, Sterbenz e Haug, Racc. pag. I-1065, punto 28).
37 Peraltro, l'art. 18, n. 1, della direttiva 2000/13 preclude agli Stati membri la possibilità di adottare provvedimenti che vietino il commercio dei prodotti alimentari conformi alle norme previste dalla direttiva stessa.
38 Ne deriva che i prodotti alimentari la cui etichettatura contiene indicazioni non ingannevoli relative alla salute devono essere considerati conformi alle norme della direttiva 2000/13 e che gli Stati membri non ne possono vietare la commercializzazione fondandosi su motivi vertenti sull'eventuale irregolarità di tale etichettatura (citate sentenze Commissione/Austria, punto 37, e Sterbenz e Haug, punto 30).
39 Come rilevato supra, al punto 34 della presente sentenza, la direttiva 2000/13 consente, tuttavia, agli Stati membri di applicare norme nazionali non armonizzate che vietano il commercio di prodotti conformi a tale direttiva, purché siano giustificate sulla base del suo art. 18, n. 2, senza che sia necessaria una loro valutazione rispetto agli artt. 28 CE e 30 CE. Tra i motivi ivi elencati figurano, in particolare, la tutela della salute e dei consumatori.
40 Nei limiti in cui le disposizioni controverse del regio decreto 17 aprile 1980 vietano in modo assoluto i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione", indipendentemente dalla loro idoneità a indurre il consumatore in errore e fintantoché non fanno riferimento a malattie dell'uomo, esse devono essere considerate norme nazionali non armonizzate, la cui compatibilità con il diritto comunitario dipende dai motivi sui quali esse si basano e dal rispetto del principio di proporzionalità.
41 Orbene, pur se è vero che l'art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 vieta, da una parte, tutte le indicazioni relative alla prevenzione, alla cura e alla guarigione di una malattia dell'uomo, quand'anche non siano atte ad indurre l'acquirente in errore, e, dall'altra, le indicazioni ingannevoli attinenti alla salute, occorre constatare che la tutela della salute -anche ammettendo che, malgrado tutto, possano prospettarsi in una determinata situazione rischi in tal senso- non può giustificare un regime così restrittivo della libera circolazione delle merci come quello risultante dalla normativa nazionale in esame (v., in tal senso, citate sentenze Commissione/Austria, punto 48, e Sterbenz e Haug, punto 37).
42 Esistono infatti provvedimenti meno restrittivi per evitare simili rischi residui per la salute, tra i quali, in particolare, l'obbligo per il fabbricante o il distributore del prodotto di cui trattasi di fornire, in caso di dubbio, la prova della veridicità sostanziale dei dati di fatto menzionati nell'etichettatura (v., in tal senso, sentenze 28 gennaio 1999, causa C-77/97, Unilever, Racc. pag. I-431, punto 35, e Sterbenz e Haug, cit., punto 38)
43 Un divieto assoluto di far comparire nell'etichettatura dei prodotti alimentari determinate indicazioni relative al dimagrimento o a raccomandazioni mediche senza esaminare singolarmente la loro idoneità effettiva a indurre in errore l'acquirente avrebbe come conseguenza che i prodotti alimentari recanti tali indicazioni non potrebbero essere liberamente commercializzati in Belgio, anche nel caso in cui esse non siano ingannevoli.
44 Tale misura eccederebbe quanto necessario per conseguire lo scopo di tutela dei consumatori contro le frodi e non sarebbe dunque giustificata ai sensi dell'art. 18, n. 2, della direttiva 2000/13.
45 Peraltro, se specificamente fondate, le indicazioni di cui trattasi forniscono ai consumatori un'informazione pertinente, che può precisamente indurli ad acquistare e a consumare il prodotto o dissuaderli dal farlo.
46 Infine, quanto all'eventuale difficoltà di stabilire, in alcuni casi, il carattere ingannevole di una determinata indicazione, si deve rilevare che spetta ai giudici nazionali, in tutte le situazioni dubbie, formare il proprio convincimento assumendo come criterio di riferimento l'aspettativa presunta del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e accorto (v., in tal senso, sentenza 4 aprile 2000, causa C-465/98, Darbo, Racc. pag. I-2297, punto 20, e Sterbenz e Haug, cit., punto 43).
47 Si deve dunque rispondere alle questioni terza, quarta e quinta dichiarando che, per quanto riguarda l'etichettatura dei prodotti alimentari, l'art. 18, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13 deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi, che vieta indicazioni come i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nell'etichettatura e nella presentazione dei prodotti alimentari.
Sulla pubblicità dei prodotti alimentari
48 In merito agli aspetti della normativa nazionale relativi alla pubblicità dei prodotti alimentari si deve rilevare che, da un lato, tale normativa è identica a quella che fa riferimento all'etichettatura e, dall'altro, le disposizioni dell'art, 2, n. 1, della direttiva 2000/13 applicabili all'etichettatura sono, in forza dell'art. 2, n. 3, lett. b), di quest'ultima, parimenti applicabili alla pubblicità.
49 Pertanto, alla luce di quanto constatato ai punti 36 e 40 della presente sentenza, si deve considerare che il divieto assoluto di "riferimenti al dimagrimento" e "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nella pubblicità dei prodotti alimentari costituisce una norma nazionale non armonizzata dalla direttiva 2000/13.
50 La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri è un principio fondamentale del Trattato CE che trova la sua espressione nel divieto, enunciato all'art. 28 CE, di restrizioni quantitative all'importazione tra gli Stati membri nonché di ogni misura di effetto equivalente.
51 Come già deciso dalla Corte, affinché esulino dalla sfera di applicazione dell'art. 28 CE, le normative nazionali che limitano o vietano talune modalità di vendita non devono essere atte a impedire l'accesso di prodotti provenienti da un altro Stato membro al mercato o ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all'ostacolo rappresentato per i prodotti nazionali (sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, Racc. pag. I-6097, punto 17).
52 Orbene, occorre rilevare che i prodotti alimentari legalmente fabbricati e venduti negli altri Stati membri dove, conformemente alle disposizioni della direttiva 2000/13, le indicazioni non ingannevoli relative alla salute possono essere menzionate, avrebbero accesso limitato al mercato belga. Non si può, infatti, escludere che il fatto che l'operatore interessato sia costretto a rinunziare ad un sistema pubblicitario da lui ritenuto particolarmente efficace possa costituire un ostacolo per le importazioni (v., in tal senso, sentenza SARPP, cit., punto 29).
53 Peraltro, un divieto assoluto di pubblicità sulle caratteristiche di un prodotto è tale da ostacolare l'accesso al mercato per nuovi prodotti originari di altri Stati membri più che per i prodotti nazionali, con i quali il consumatore ha naturalmente una maggiore familiarità (v., in tal senso, sentenza 8 marzo 2001, causa C-405/98, Gourmet International Products, Racc. pag. I-1795, punto 21).
54 Il divieto stabilito dalla norma nazionale costituisce dunque un ostacolo al commercio intracomunitario rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 28 CE.
55 Tale ostacolo può essere giustificato unicamente dalle ragioni d'interesse generale elencate all'art. 30 CE, tra le quali figura la tutela della salute e della vita delle persone, o da un'esigenza imperativa volta, tra l'altro, alla difesa dei consumatori. Esso deve essere, parimenti, atto a garantire il conseguimento dell'obiettivo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il suo conseguimento (v., in tal senso, sentenza 9 luglio 1997, cause riunite da C-34/95 a C-36/95, De Agostini e TV-Shop, Racc. pag. I-3843, punto 45).
56 Le ragioni addotte per giustificare gli aspetti della normativa nazionale in esame relativi alla pubblicità hanno una portata identica a quelli sollevati al fine di giustificare gli aspetti di tale normativa relativi all'etichettatura, ossia la tutela della salute delle persone e la repressione delle frodi. Per i motivi indicati ai punti 41-46 della presente sentenza, tali argomenti non possono essere accolti.
57 Tuttavia, diversamente da quanto accade per le normative nazionali in materia di etichettatura che, se in contrasto con la direttiva 2000/13, non possono essere applicate né ai prodotti alimentari importati né ai prodotti alimentari di origine nazionale, quando una normativa nazionale in materia di pubblicità è in contrasto con gli artt. 28 CE e 30 CE, la sua applicazione è vietata solo per quanto riguarda i prodotti importati e non i prodotti di origine nazionale (sentenza SARPP, cit., punto 16).
58 Dal momento che emerge dall'ordinanza di rinvio che la controversia oggetto della causa principale non riguarda i prodotti alimentari importati, spetta al giudice nazionale verificare entro quali limiti il diritto nazionale imponga di agire in modo che un produttore nazionale fruisca degli stessi diritti di cui godrebbe in base al diritto comunitario, nella medesima situazione, un produttore di un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont, Racc. pag. I-10663, punto 23).
59 Alla luce delle considerazioni suesposte si deve rispondere alle questioni terza, quarta e quinta dichiarando che, per quanto riguarda la pubblicità dei prodotti alimentari, gli artt. 28 CE e 30 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che vieta indicazioni come i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nella pubblicità dei prodotti alimentari importati da altri Stati membri.
Sulle spese
60 Le spese sostenute dal governo belga, dal Parlamento, dal Consiglio, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
P.Q.M.
LA CORTE (Seconda Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Rechtbank van Koophandel te Hasselt con ordinanza 28 giugno 2002,
dichiara:
1) L'art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 febbraio 1999, 1999/4/CE, relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria, deve essere interpretato nel senso che, nella commercializzazione di prodotti menzionati nell'allegato di tale direttiva, non esclude che possano essere utilizzate, oltre alle denominazioni di vendita, anche altre, come un'espressione commerciale o di fantasia.
2) L'art. 18, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in esame, che vieta i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nell'etichettatura e nella presentazione dei prodotti alimentari.
3) Gli artt. 28 CE e 30 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che vieta i "riferimenti al dimagrimento" e i "riferimenti a raccomandazioni, certificati, citazioni, pareri medici o a dichiarazioni di approvazione" nella pubblicità di prodotti alimentari importati da altri Stati membri.
Timmermans
Puissochet
Cunha Rodrigues
Schintgen
Colneric
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 luglio 2004.
Il cancelliere
R. Grass
Il presidente della Seconda Sezione
C.W.A. Timmermans
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