La Corte di Appello di Milano chiarisce nuovamente alcuni aspetti in materia di servitù negativa non apparente, in particolare nel caso di servitù non aedificandi. La fattispecie riguarda un fondo, facente parte di un Supercondominio, che il proprietario intendeva adibire ad uso posteggio autovetture. Il Supercondominio si opponeva sostenendo l’esistenza a carico di quel fondo di una servitù non aedificandi in virtù di dichiarazioni unilaterali in tal senso rilasciate da uno solo dei precedenti comproprietari e promuoveva azione confessoria. Il Tribunale rigettava la domanda di parte attrice, la quale proponeva appello eccependo, inoltre, l'intervenuta usucapione del diritto di servitù a carico dell'area interessata da parte del supercondominio, usucapione che si pretende maturata per l'apposizione e la manutenzione di una siepe lungo il confine. La Corte di Appello di Milano confermava in toto la sentenza impugnata chiarendo i seguenti aspetti: • L’eccezione di usucapione proposta in secondo grado è da ritenersi ammissibile in quanto i diritti reali sono da considerarsi “autodeterminati”: per i quali, quindi, la causa petendi si identifica con il diritto, mentre il titolo d’acquisto ha solo la funzione di specificare la domanda. • La suddetta eccezione deve ritenersi, tuttavia, infondata in quanto l’art. 1061 c.c. non consente di configurare l’usucapione di servitù che non abbiano il carattere dell’apparenza, il quale ricorre solo quando vi siano opere visibili e permanenti destinati all’esercizio della servitù stessa. In particolare la Corte ritiene che una siepe sia un’opera visibile, ma “non permanente” e, pertanto, non idonea ad esser rivelatrice dell’esistenza di un qualsiasi peso gravante sul preteso fondo servente. Sostiene la Corte che la siepe costituisca una mera recinzione del fondo e non sia, invece, sintomatica di una specifica destinazione dell’area. • Il fatto che il Supercondominio abbia sempre curato il verde presente nel fondo non integra un’opera nell’accezione di cui all’art. 1061 c.c. • La Corte, inoltre, richiamando giurisprudenza consolidata e risalente, formatasi nell’interpretazione dell’art. 1058 c.c., precisa come la volontà di dar vita ad una servitù non richieda l’impiego di formule sacramentali nel contratto a ciò finalizzato, essendo necessario e sufficiente che tale volontà possa essere desunta in modo chiaro ed inequivoco dal tenore delle dichiarazioni sottoscritte dalle parti. Tuttavia, sottolinea anche come non si possa far riferimento esclusivamente al comportamento successivo di queste ultime se dal contratto non risulta inequivoca, pur in assenza di dichiarazioni formali in tal senso, la volontà di costituire una servitù. Dichiarazioni unilaterali successive, nel caso de quo tra l’altro sottoscritte da uno solo dei comproprietari del fondo, non possono pertanto aver rilevanza nella costituzione di una servitù; • In ogni caso, è indispensabile, per la costituzione di una servitù, che l’atto contenga l’individuazione del fondo servente e del fondo dominante, non necessariamente con una loro descrizione puntuale ed analitica, ma in maniera tale che risultino identificabili con certezza in base al contenuto del titolo. Nel caso di cui trattasi, la scrittura privata contiene solo una precisa identificazione del preteso fondo servente, tuttavia manca non solo l’individuazione, ma anche la menzione dell’esistenza di un qualsiasi fondo dominante; • In proposito, la sentenza precisa anche se si invocano le servitù reciproche ci deve essere un reciproco asservimento di un fondo all'altro, in coerenza con la costante giurisprudenza. ______________________________________________________________________________________________ Sent.3701/12 - CORTE d'APPELLO di MILANO Sezione Seconda Civile Con la sentenza nr.667/2011 il Tribunale di Monza, accogliendo la domanda di accertamento negativo di servitù proposta dalla Srl M***** contro il Supercondominio *********** di Sesto San Giovanni, ha dichiarato la società piena proprietaria dell'area contraddistinta alla particella 232 del foglio 23 di quel Comune e ne ha accertato la libertà da servitù e vincoli di destinazione, dichiarando, in particolare, il diritto della ****** di realizzare posti auto sull'area, che il Supercondominio convenuto aveva, all'opposto, chiesto di dichiarare asservita in perpetuo a verde a favore del Supecondominio medesimo, con divieto per i proprietari di erigervi costruzioni e di occuparla con veicoli od in altro modo. Le parti del giudizio di primo grado hanno discusso essenzialmente in ordine all'efficacia delle pattuizioni contenute in due atti notarili: il rogito in data 10 novembre 1960 del notaio D******** di Milano, con il quale la Spa Q********** aveva venduto a ******* e ***** B***** un'area nuda contraddistinta in catasto al mappale 312 sub m) e la scrittura privata con sottoscrizioni in autentica del medesimo notaio in data 3 aprile 1963, con la quale la predetta società aveva venduto ai B***** l'area di 400 mq., identificata catastalmente al mappale 312 sub l), sulla cui utilizzazione attualmente si controverte. Come riporta la sentenza del Tribunale di Monza, nel primo atto si era pattuito che due aree - una sostanzialmente coincidente con la particella 232 ora di proprietà di Srl M***** e l'altra, compresa nel mappale 312 sub m) compravenduto – dovessero essere mantenute a giardino nella sistemazione generale delle strade serventi il Supecondominio. Era pattuito anche che un'altra area venisse assoggettata a servitù altius non tollendi oltre una certa altezza, che un'altra area ancora fosse assoggettata a servitù di passaggio pedonale e carraio a favore delle proprietà vicine, indicate nelle planimetrie come Condominio E********* e Condominio C*********** e che le costruende strade del Supercondominio venissero assoggettate a servitù di passo carraio e pedonale a favore dell'area venduta ai sigg.ri B********. Le parti si erano anche obbligate, in quanto necessario, ad addivenire alle convenzioni indispensabili in sede di stipulazione della convenzione che avrebbe regolato la sistemazione del Supercondominio anche nei confronti dell'autorità municipale. Con il secondo atto dell'aprile 1963, che qui più direttamente interessa, si era stabilito che l'accesso all' area venduta ai sigg.ri B****** dovesse praticarsi per la nuova strada da aprirsi lungo il confine di sud-ovest, per la formazione della quale la parte acquirente si era obbligata a destinare gratuitamente una striscia di terreno della larghezza di mt. 2,50 lungo tutto il confine. Si era pattuito, inoltre, che la "rimanente striscia di terreno" fosse "vincolata in perpetuo a verde con tassativo divieto da parte degli acquirenti e loro aventi causa di erigervi costruzioni di qualsiasi specie e volumetria e di occupazione con autoveicoli od altri ingombri in genere". La parte acquirente si impegnava anche "ad intervenire nella convenzione da stipularsi con il Comune di Sesto San Giovanni per l'edificazione della zona ... nonché ad intervenire alla convenzione che regolerà in un supercondominio tutte le aree interne adibite a verde e a strada". Con un successivo atto del 23 maggio 2007 gli eredi B***** avevano venduto alla Srl ******* l'area di 400 mq. acquistata nel 1963 dai loro danti causa. Nell'atto di compravendita si legge l'usuale clausola secondo la quale il bene viene venduto nello stato di fatto e di diritto" in cui "attualmente si trova, con ogni inerente diritto, ragione, azione, accessione, pertinenza e servitù di qualsiasi genere". Nulla veniva specificato in ordine alla destinazione ed utilizzabilità del terreno, se non che lo stesso era sito in una "zona residenziale". Dopo aver così riassunto le premesse del contenzioso fra le parti, il Tribunale ha chiarito che la controversia era sorta intorno all'interpretazione dell' atto del 3 aprile 1963, considerato dal Supercondominio costitutivo di un vincolo di destinazione a verde dell' area, assimilabile ad una servitù ovvero ad un "gravame reale", sempre osservato fino a quel momento per oltre quaranta anni e risultante da un atto trascritto nei registri immobiliari. Per contro srl M****, agendo in negatoria servitutis, aveva sostenuto che tanto nel rogito del 1960 quanto in quello del 1963 non era stato individuato il fondo dominante, circostanza di per sé ostativa alla costituzione di una servitù; inoltre la mancanza di un limite temporale alla destinazione a verde dell'area compravenduta avrebbe comportato la nullità della relativa pattuizione e comunque la sua inopponibilità a Srl M*****, posto che in tal modo il diritto di proprietà sarebbe stato svuotato di contenuto e che alla fattispecie sarebbe stato applicabile analogicamente il disposto dell'art. 1379 cc. All'impostazione della parte attrice ha aderito il Tribunale di Monza, osservando, in primo luogo, che per il principio di tipicità dei diritti reali, è escluso che possa parlarsi di un "gravame reale" sul terreno, assimilabile, ma diverso da una servitù prediale. Approfondendo l'esame dei due atti notarili del 1960 e del 1963, il primo giudice ha fatto notare che in entrambi manca l'individuazione del fondo dominante. In particolare, nell'atto del 1960 vi è solo un riferimento generico al mantenimento a giardino di un'area, più ampia di quella di cui si controverte, "nella sistemazione generale delle strade serventi il Supercondominio"; nell'atto del 1963 manca anche tale riferimento generico al Supercondominio e si prevede unicamente si impegni ad intervenire alla convenzione da stipulare per regolare in un supercondominio tutte le aree interne adibite a verde o a strada. Sottolinea il Tribunale che dal tenore dei rogiti pare che alla data della loro sottoscrizione il supercondominio ancora non esistesse e che, in ogni caso non ne era stata provata in causa l'esistenza nel 1960 o nel 1963; neppure era dato sapere se all'epoca tutti gli immobili sui quali è poi sorto il Supercondominio ******** e, quindi, anche il preteso fondo dominante, fossero di proprietà della venditrice SpA ********. Inoltre, il "fondo servente", vale a dire l'area per cui è causa, facente parte di un più ampio comparto, inizialmente venduto ai B***** solo in parte, era rimasto in proprietà della venditrice SpA Q*************** dopo il rogito del 1960, sicchè sarebbe impossibile individuare in quel negozio l'atto costitutivo della servitù che il Supercondominio aveva chiesto di accertare, tanto più considerando il fatto che in quello stesso rogito era stata prevista la costituzione di una servitù di passo, con precisa individuazione dei fondi dominante e servente, a riprova del fatto che nel diverso caso in cui la volontà negoziale delle parti aveva inteso creare una nuova servitù, si era tradotta, a differenza che nel caso che qui interessa, in chiare previsioni contrattuali. Quanto, poi, più specificamente all'atto del 1963, ha osservato il Tribunale che in esso non solo non viene utilizzato il termine "servitù" e non viene individuato il fondo dominante, ma è previsto espressamente l'obbligo per gli acquirenti di "intervenire nella convenzione che regolerà in un supercondominio tutte le aree interne adibite a verde o a strada". Da questa clausola il primo giudice ha tratto argomenti per l'interpretazione della parte del contratto in cui era stato stabilito un vincolo all'utilizzo dell'area ora pervenuta alla M******: gli acquirenti B******avrebbero assunto una mera obbligazione di mantenere a verde l'area acquistata e tale vincolo avrebbe dovuto essere rinnovato in sede di costituzione del supercondominio, precisandolo con riferimento alla regolamentazione di tutte le aree verdi e le strade dello stesso, sempre che il mappale compravenduto nel 1963 rientrasse fra le "aree interne" al costituendo supercondominio. Dal riconoscimento della natura personale dell'obbligazione assunta dai B****** di mantenere in perpetuo a verde l'area acquistata nel 1963, deriverebbe l'inopponibilità del vincolo a M****, in quanto soggetto terzo; lo stesso Supercondominio, ad avviso del primo giudice, non sarebbe stato legittimato a pretendere il rispetto del vincolo di destinazione neppure nei confronti di B*****, essendo, a sua volta, terzo rispetto alla SpA Q********************, nei confronti della quale l'obbligazione era stata assunta. Inoltre, l'obbligazione dovrebbe essere considerata invalida, per il disposto dell'art. 1379 cc, applicabile analogicamente nella fattispecie, in quanto fortemente limitativa del diritto di proprietà e priva di limitazione temporale. Avverso la sentenza sopra sintetiz0zata hanno proposto appello S****** ed B*******, che avevano partecipato al procedimento di primo grado solo in quanto proprietari di unità immobiliari comprese nel Supercondominio G******** e che da tale qualità fanno discendere la legittimazione a promuovere il giudizio d'appello. Costoro, dopo aver dato conto delle premesse dell' attuale contenzioso ed aver descritto i passaggi essenziali del primo processo, hanno censurato la sentenza di primo grado, che ha affermato l'inidoneità degli atti notarili su menzionati a costituire una servitù di mantenimento della destinazione a verde dell' area ora di proprietà della M******, per non aver considerato che, indipendentemente dalla portata e dall’interpretazione di quei contratti, una servitù di quel genere avrebbe dovuto ritenersi acquisita per usucapione ai sensi dell' art. 1061 cc. Hanno sostenuto gli appellanti che, sebbene nelle difese del Supecondominio in primo grado non fosse stata prospettata l'usucapione dell'affermata servitù e la fonte del diritto reale fosse stata indicata solamente nei contratti già molte volte menzionati, l'allegazione difensiva in tal senso non rappresenterebbe una violazione del divieto di domande ed eccezioni nuove in appello, ma solo un'integrazione delle difese, non valutabile né come domanda nuova né come rinuncia alla precedente domanda di accertamento del diritto sulla base di un titolo contrattuale. Non sarebbe ostativa all'usucapione della servitù di mantenimento dell'area a verde neppure la circostanza che il peso sull' altrui fondo abbia carattere "non apparente", posto che ad una diversa ed opposta soluzione potrebbe giungersi considerando che, per preservare la destinazione a verde, da vari decenni il terreno ora di M****** era stato recintato dal Supercondominio con una siepe e lo stesso Supercondominio aveva sempre curato là manutenzione del verde, anche impedendo, mediante la vigilanza del custode, che alcuno entrasse nel terreno cinto dalla siepe. Con altro motivo di appello i sigg.ri S***** e B***** sostengono che la sentenza di primo grado sarebbe inappagante per aver ritenuto che i rogiti del 1960-e del 1963 non fossero idonei a costituire una servitù prediale, per la mancata individuazione del fondo dominante. A tal fine si fa riferimento alla volontà delle parti, e precisamente ad una dichiarazione resa nel 1973 dal proprietario B******* al Comune di Sesto San Giovanni, nella quale questi aveva riconosciuto il vincolo in perpetuo a verde dell'area, valevole per gli acquirenti e per i loro aventi causa. Si sostiene anche che essendo rimasta in proprietà della venditrice SpA Q******************* una parte dell'area destinata a verde, il vincolo imposto sulle due porzioni (quella venduta ai B***** e quella rimasta alla loro dante causa) integrerebbe una servitù reciproca. Inoltre, non sarebbe decisiva la mancata individuazione del fondo dominante, essendo evidente dal tenore degli atti notarili del 1960 e del 1963 che il vincolo di destinazione a verde era stato posto nell'interesse del Supercondominio, secondo una prassi consueta, riconosciuta dalla costante giurisprudenza, per la quale vincoli alle proprietà individuali (viene fatto l'esempio della servitù altius non tollendi) possono essere apposti nell'interesse del condominio, purchè risultino da un regolamento di natura contrattuale o dai singoli atti di acquisto di immobili di proprietà individuale. Fondo dominante sarebbe, pertanto, il condominio e nel caso di specie il Supercondominio G***********. Non sarebbe decisivo neppure il riferimento, contenuto negli atti del 1960 e1963, all'obbligo degli acquirenti di intervenire alla stipula della convenzione deputata a regolare il costituendo Supercondominio, perché il vincolo di destinazione a verde era concepito come un divieto tassativo ed avente efficacia immediata di dare all'area una destinazione diversa da quella a verde, mentre la clausola obbligatoria che impegnava a partecipare alla costituzione del Supercondominio riguardava la regolamentazione delle concrete modalità di gestione delle aree interne adibite a verde ed a strade, ferma restando, essendo stabile e ben definito il vincolo gravante sull'area, la pregressa creazione di una servitù prediale. Su queste premesse gli appellanti hanno concluso con la richiesta di accertamento del vincolo per cui è causa, con tutte le ulteriori domande propedeutiche e consequenziali, ivi compresa la richiesta di ripristino dell'area, nello stato antecedente all'acquisto di M******. Si è costituita in questa sede l'appellata M******, chiedendo la conferma integrale della sentenza impugnata ed all'udienza dell'11luglio 2012, fissata per la precisazione delle conclusioni davanti a questa Corte, si è costituito anche il Supercondominio G************, per aderire alle conclusioni già rassegnate dagli appellanti S******* e B********. Allo spirare dei termini assegnati la causa è stata trattenuta per la decisione nella camera di consiglio del 23 ottobre 2012. Osserva preliminarmente la Corte che la legittimazione all' appello dei sigg.ri e Barzetti, che al giudizio di primo grado avevano preso parte solo in quanto mini del Supercondominio G***********, non è contestata dall'appellata M*********. L'eccezione di usucapione dell'asserita servitù gravante, in tesi di parte appellante, sull'area della M******, non può ritenersi nuova e, pertanto, inammissibile, perché dedotta solo in questa sede di impugnazione. Infatti, la servitù, al pari degli altri diritti reali, appartiene alla categoria dei diritti "autodeterminati", per i quali la causa petendi si identifica con il diritto, mentre il titolo di acquisto, originario o derivativo, ha solo la funzione di specificare la domanda. Pertanto, l'allegazione di un titolo diverso (ad esempio, l'usucapione) a fondamento del diritto reale (servitù) fatto valere, in luogo di quello (ad esempio,contratto) inizialmente prospettato, costituisce una mera integrazione delle difese, che non è configurabile come una domanda nuova, né implica rinuncia alla valutazione del titolo dedotto in precedenza (da ultimo, cfr. Cass. sent. nr. 22598/2010). L'eccezione degli appellanti, che assumono di aver usucapito, nella veste di condomini del Supercondominio G*************, una servitù che si potrebbe definire di "mantenimento in perpetuo della destinazione a verde" dell'area di proprietà di M********, è, pertanto, ammissibile. Nondimeno, la stessa è, con ogni evidenza, infondata, per il disposto dell'art. 1061 cc, che non consente l'usucapione (e la costituzione per "destinazione del padre di famiglia") di servitù che non abbiano il carattere dell' apparenza, che ricorre quando vi sono opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù. Tale certamente non può ritenersi la siepe che, per quanto riferito dagli appellanti, costituisce la recinzione dell'area per cui è causa. La siepe, che rappresenta un'opera visibile ma non permanente davvero, non è in ogni caso, di per sé rivelatrice dell'esistenza di un qualsiasi peso gravante sul preteso fondo servente ed è in astratto compatibile con qualsivoglia destinazione si voglia imprimere al terreno, una volta che lo stesso sia stato dotato degli opportuni accessi, necessari, ovviamente, anche per il godimento quale area verde. In altre parole, la siepe costituisce una mera recinzione del fondo, non è sintomatica di una specifica della destinazione dello stesso e può essere per contro, funzionale sia al mantenimento della destinazione a verde sia, a mero titolo esemplificativo, allo sfruttamento edificatorio dell’area o all'utilizzo della stessa per la realizzazione di un piccolo impianto sportivo (campo da tennis, per il gioco delle bocce o della pallacanestro) o, secondo le intenzioni di M****, di posti auto o ad altre destinazioni, secondo il volere della proprietaria. Il fatto, poi, che il Supercondominio abbia sempre curato il verde presente nell'area della M***** non integra neppure "un'opera" nell'accezione richiesta dall'art.1061 cc. Gli appellanti censurano la sentenza di primo grado anche per non aver ritenuto che la servitù di cui si discute fosse stata costituita per contratto, in base ai due atti notarili del 1960 e 1963 più volte richiamati. E' noto che per una giurisprudenza tanto consolidata e risalente da non richiedere specifici richiami, formatasi nell'interpretazione dell'art. 1058 cc, la volontà di dar vita ad una servitù non richiede l'impiego di formule sacramentali nel contratto a ciò finalizzato, essendo necessario e sufficiente che tale volontà possa essere desunta in modo chiaro ed inequivoco dal tenore delle dichiarazioni sottoscritte dalle parti, non potendo, per contro, farsi riferimento in via esclusiva al loro comportamento successivo, di per sé solo inidoneo a colmare le eventuali lacune del titolo. In applicazione di questo principio (che la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare già nella sentenza nr. 3914/1980), deve escludersi che possa avere una rilevanza significativa il tenore della missiva inviata nel 1973 dalla proprietà B******* al Comune di Sesto San Giovanni. E' comunque indispensabile che l'atto contenga gli elementi necessari per la sicura individuazione della servitù e, quindi, in primo luogo, che vengano individuati i due fondi, servente e dominante, non necessariamente con una loro descrizione puntuale ed analitica, ma in maniera tale che risultino identificabili con certezza in ebase.al contenuto del titolo . Nel caso di specie, la scrittura privata con sottoscrizioni autenticate dal notaio D******* in data 3 aprile 1963 contiene unicamente una precisa identificazione, anche con riferimento agli estremi catastali [mappale 312 sub l) del catasto terreni di Sesto San Giovanni] del terreno venduto dalla SpA Q************ ai sigg.ri B**********, e contiene altresì la menzione del "vincolo in perpetuo a verde" del fondo compravenduto, "con tassativo divieto da parte degli acquirenti e loro aventi causa di erigervi costruzioni di qualsiasi specie e volumetria e di occupazione con autoveicoli od altri ingombri in genere". Potrebbe, quindi, ritenersi che il preteso fondo servente sia stato individuato con sufficiente certezza e che sia stato ben specificato il contenuto dell'asserita servitù. Manca completamente, tuttavia, non solo l'individuazione, ma anche la menzione dell' esistenza di un qualsiasi fondo dominante. In particolare, non può a tal fine ritenersi sufficiente la previsione contenuta nella clausola seconda degli "altri patti e condizioni", ove si legge che: "la parte acquirente si impegna ad intervenire alla convenzione da stipularsi nei confronti del Comune di Sesto San Giovanni per l'edificazione della zona e per la costituzione di cortili comuni nonché ad intervenire alla convenzione che regolerà in un supercondominio tutte le aree interne adibite a verde ed a strada". Da questa clausola si evince, casomai, che alla data del 3 aprile 1963 il supercondominio non era stato ancora costituito e che verosimilmente non era stata neppure iniziata l'edificazione della zona, per la quale doveva stipularsi un'apposita convenzione con il Comune. Non pertinente appare anche il richiamo alla giurisprudenza in tema di c.d. "servitù reciproche", formatasi per i casi di vendite a lotti di aree fabbricabili, per vincolare l'edificazione in ciascun lotto a determinate caratteristiche comuni, per lo sviluppo armonico della zona, in maniera tale che ciascun fondo assuma, ad un tempo, la qualità di fondo servente e di fondo dominante. In questo caso, infatti, manca la formazione dei lotti e non si rinviene alcun riferimento ad un qualsiasi allegato dal quale risulti il frazionamento in lotti di un comparto destinato all' edificazione. Del resto, non si vede sotto quale profilo potrebbe invocarsi la nozione di servitù reciproca, posto che il vincolo contrattualmente previsto per il terreno di 400 mq. venduto nel 1963 ai sigg.ri B****** era tale da svuotare di qualsiasi facoltà di godimento la proprietà del fondo. Ancor meno accettabile pare l'ulteriore argomento di parti appellanti, secondo i quali potrebbe invocarsi la costituzione di una servitù reciproca perché con il primo atto del notaio D***** (in data 10 novembre 1960) la SpA Q************* aveva venduto ai B******* una parte della più ampia area vincolata a verde [quella contraddistinta al mappale 312 sub m)], rimanendo proprietaria della restante porzione vincolata, successivamente venduta agli stessi acquirenti con l'atto del 1963. Non può parlarsi di servitù reciproca, perché è evidente dal tenore degli atti notarili e dalla stessa impostazione di causa degli appellanti, che legano la costituzione della pretesa servitù alla formazione del supercondominio, che il vincolo a verde di ciascuna delle due porzioni non è reciprocamente istituito per l'utilità dell'altra. E d'altro canto, ove si seguisse questo ragionamento fino alle inevitabili conseguenze si dovrebbe sostenere che la servitù costituita, in tesi, nel 1960, al momento dell' alienazione ai B******* di una parte dell' area vincolata a verde, si sarebbe comunque estinta nel 1963, quando la proprietà dei due fondi, in tesi, reciprocamente serventi e dominanti, si era riunita in capo ai medesimi soggetti. Ad ulteriore conforto della soluzione anche qui accolta va detto che nel contratti invocati a sostegno della tesi della costituzione della servitù in forza di un titolo si fa espresso e puntuale riferimento alla effettiva costituzione di servitù di altro genere (di passo pedonale e carraio ed altre), a riprova del fatto che nei casi in cui la volontà dei contraenti era stata finalizzata alla creazione di un diritto reale, si era tradotta in clausola contrattuali chiare ed esplicite in tal senso, sicchè non può essere senza significato, in senso contrario, alla luce dei principi generali in tema di interpretazione, il fatto che a proposito del vincolo di destinazione a verde dell'area venduta nel 1963 ai sigg.ri B******* i contraenti si fossero astenuti dal menzionare in qualsiasi modo l'istituto della servitù prediale. Le ulteriori censure degli appellanti investono profili della sentenza di primo grado che sono con ogni evidenza degli obiter dieta nello schema argomentativo del Tribunale (ci si riferisce, in particolare, all'affermazione per la quale il Supercondominio non sarebbe legittimato a pretendere il rispetto della ritenuta obbligazione contrattuale di mantenere la destinazione a verde del terreno per cui è causa, trattandosi di soggetto terzo rispetto alla SpA Q***************, nei confronti della quale l'obbligazione era stata assunta, così come, pure, è terza la Srl M***** rispetto ai sigg.ri B******** che si erano originariamente obbligati ed, a maggior ragione, l'assunto per cui l'obbligazione contratta nel 1963 sarebbe, in ogni caso, invalida per il contenuto fortemente limitativo del diritto di proprietà e l'assenza di qualsiasi limitazione temporale, stante il disposto dell' art. 1379 cc, applicabile analogicamente alla fattispecie per cui è causa) e non appare necessario esaminarli in questa sede, dal momento che le questioni poste in tal modo risultano superate dalle conclusioni essenziali alle quali, in piena identità di vedute con il primo giudice, è giunta anche la Corte: 1) la cosiddetta di servitù di mantenimento a verde dell'area di proprietà M***** non era apparente e, quindi, non era usucapibile; 2) con i contratti di compravendita del 1960 e 1963 più volte richiamati non è stata costituita alcuna servitù del genere invocato dagli appellanti e dal Supercondominio. La sentenza di primo grado merita, quindi, integrale conferma. Le spese di lite sostenute da M***** per questo grado d'appello, liquidate come da dispositivo, dovranno essere poste a carico per i 2/3 dei soli appellanti S******* e B******, in solido fra loro e per la residua quota di 1/3 a carico del Supercondominio (e, quindi, ulteriormente a carico di S****** e B****** per la quota di competenza), che dopo aver prestato acquiescenza alla corretta decisione del Tribunale, si è poi costituito n questo procedimento di appello per aderire alle domande degli appellanti. PQM la Corte definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, nella causa civile in grado d'appello proposta con atto di citazione in appello notificato il 7 giugno 20 Il, disattesa o assorbita ogni diversa domanda, eccezione, deduzione, così provvede: • rigetta l'appello di S****** ed B***** e, per l'effetto, conferma integralmente la sentenza nr. 667/2011 del Tribunale di Monza; • condanna gli appellanti e l'appellato Supercondominio G********** di Sesto San Giovanni a rifondere all' appellata Srl M****** spese di lite del grado d'appello, che si liquidano in € 6.000,00 complessivamente, oltre IVA e CPA come per legge, ponendo l'onere di tale spesa per i 2/3 a carico degli appellanti S******* e B******* in solido fra loro e per 1/3 a carico del Supercondominio G********** di Sesto San Govanni. Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 23 ottobre 2012 . Il Presidente