Il diritto alla provvigione spetta all'agente immobiliare (e il termine per chiederlo decorre) dal momento della stipula del preliminare fra le parti
Tribunale di Rovigo, sentenza del 19 ottobre 2012
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
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All’agente immobiliare spetta la provvigione in virtù del rapporto di mediazione tipica e non di mandato, per cui è dal momento della stipulazione del contratto preliminare che decorre il dies a quo del termine prescrizionale del diritto al compenso. Infatti la definizione dell’affare coincide con la conclusione del preliminare, atteso che, una volta firmato quest’ultimo, le parti sono tenute alla stipulazione del definitivo, il quale, in assenza di diversa volontà contrattuale, deve presentare il contenuto del primo. Pertanto, le attività poste in essere dall’Agenzia Immobiliare per modificare il definitivo non possono essere collegate alla conclusione dell’affare, in quanto lo stesso era stato già concluso con la firma del contratto preliminare.
Sezione II
Ordinanza 16 novembre 2012
(Giudice dell’Esecuzione ex art. 615, II co., 624, 616 c.p.c. – dott. Claudio Casarano)
(procedimento n. 4295/2012)
Ordinanza
Il mutuo diretto all’estinzione di uno scoperto di conto corrente: assenza di un motivo di nullità
Di per sé la stipula di un mutuo, che abbia come vera finalità, al di là cioè dello scopo dichiarato nell’atto, quella di estinguere uno scoperto di conto corrente, non può implicare assenza di causa e quindi sua nullità, da estendere poi al negozio accessorio di concessione di ipoteca che accompagnava il mutuo (così invece il ricorrente).
In altri termini la causa in concreto perseguita dalle parti può anche essere quella di garantire, pur essendo il conto in rosso, la prosecuzione del rapporto di conto corrente, in luogo della sua risoluzione, in cambio però del rilascio di una garanzia reale per la banca: proprio quanto avveniva nel caso di specie.
Si tratta di tutelare le ragioni creditorie della banca, che finiva pur sempre con l’elargire un ulteriore finanziamento, sia pure per azzerare il passivo di conto corrente (arg. art. 1322, I co., c.c.).
La circostanza allora che la finalità sia diversa da quella pure enunciata nel contratto di mutuo, non integra una forma di nullità, posto che non è dato ravvisare una norma imperativa che per una ipotesi siffatta la contempli.
Si ricordi infatti che la nullità è il risultato di una previsione di legge tassativa; con la conseguenza che ai sensi dell’art. 14 delle Disposizioni della Legge in Generale non può ammettersi un’intepretazione estensiva.
Insomma non si verte in tema di mutuo di scopo propriamente detto, nel quale cioè la finalità perseguita assurge ad elemento costitutivo dela causa, al punto da comportare nel caso di suo mancato perseguimento, la nullità del contratto. A tanto si giunge invece nei casi in cui ricorra un interesse pubblico a che sia garantita la destinazione della somma ad uno scopo tipico (si veda poi l’art. 1418 c.c. in tema di cause tipiche di nullità del contratto).
Sul punto peraltro ha pure avuto occasione di pronunziarsi la S.C.( n. 9511 del 2007):
“Il mutuo fondiario non è mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall'istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili (rustici o urbani) a garanzia ipotecaria. (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la ricorrenza di un mutuo si scopo con riferimento a contratto di mutuo fondiario cui era intervenuto un terzo datore di ipoteca).
Del resto molte volte è lo stesso mutuatario, quando come nel caso in esame risulta un imprenditore, ad avere interesse a che la somma mutuata sia destinata in concreto per la finalità che ritiene più opportuna; e se poi il conto corrente, dopo qualche tempo la concessione del mutuo, si presentava di nuovo in rosso, non si comprende perché la banca mutuante debba subire la sanzione della nullità e la perdita conseguente della garanzia, pur avendo dato, in ogni caso, ulteriore credito all’impresa in difficoltà.
Che poi la banca utilizzi il marchingegno della creazione di un conto ad hoc, per l’elargizione della somma mutuata, unita alla predisposizione ad arte di una richiesta di giroconto della stessa somma sul diveso conto in rosso( così l’opponente con fondamento), può essere indicativa del timore di veder sanzionato il negozio in parola, ma non può certo comportare la insorgenza di una causa di nullità del contratto.
Né allo stato sembra ricorrere - avuto riguardo alla causa in concreto perseguita dalle parti, quale sopra delineata - il prospettato dolo in ordine alla conclusione del contratto( che insomma, per quanto sopra detto, sembra che sia stato voluto anche dal mutuatario).
L’emersione del collegamento negoziale tra mutuo e contratto di conto corrente – la contestazione del quantum del credito posto a base del pignoramento immobiliare
L’aver ammesso la validità del mutuo in parola, non preclude poi la verifica di eventuali addebiti di somme per un titolo nullo, in particolare per anatocismo o per corrispettivi non pattuiti per iscritto, quali commissioni di massimo scoperto o spese; e la censura dell’opponente andava anche in questa direzione.
Nel caso di specie però, avendo la banca fondato l’azione esecutiva sulla base del mutuo e degli interessi maturati, l’accertamento di eventuali nullità dei titoli, in base ai quali la banca addebitava somme sul conto corrente con apertura di credito, può integrare una ragione di controcredito per il mutuatario, suscettibile di essere opposta in compensazione; ovvero idonea a ridurre l’ammontare del credito se, come nel caso in esame, non solo la somma mutuata veniva fatta accreditare sul conto corrente contestato, ma finivano con il confluire in esso anche le rate scadute.
Gli interessi di mora che spettano in caso di risoluzione del mutuo e la capitalizzazione indebita
Con riguardo al mutuo fondiario stipulato nel vigore del d.P.R. 21 gennaio 1976 n. 7 - e, quindi, in epoca anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'art. 38 ss. d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - la S.C. a S.U. ammetteva gli interessi di mora per le rate scadute prima della risoluzione; viceversa per quelle a questa successive imponeva lo scorporo dalle rate a scadere degli interessi convenzionali e quindi l’applicazione degli interessi di mora convenzionali sulla sola sorte capitale.
Così 19 maggio 2008, n. 12639:
“In tema di mutuo fondiario, in ipotesi di inadempimento del mutuatario, l'esercizio della «condizione risolutiva» da parte dell'Istituto di credito mutuante determina la risoluzione del rapporto di mutuo. Ne discende l'obbligo del mutuatario di provvedere alla immediata restituzione della intera somma ricevuta, essendo venuto meno il meccanismo di rateizzazione previsto nel contratto ormai risolto. Ciò rende inattuale ogni discussione in ordine al preteso carattere unitario ed inscindibile delle rate di mutuo. Ne consegue altresì che alla banca compete il diritto di ricevere, oltre all'importo integrale delle semestralità già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata, quale è da ritenersi il mutuo), la sola quota di capitale residua, ma non anche gli interessi conglobati nelle semestralità a scadere e che sul credito così determinato si dovranno calcolare gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello già previsto nel contratto, se superiore al tasso legale, in ossequio al disposto dell'art. 1224, comma 1, c.c..
Viceversa con la nuova disiciplina normativa la possibilità di applicare gli interessi moratori a decorrere anche dalla intervenuta risoluzione è ammessa; così infatti dispone la Delibera CICR( attuativa della dispsozione ex art. 38 e ss. dlg. 385-93): “Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.
Ed il contratto di mutuo dedotto in giudizio – datato 03-07-2007 - riproduceva letteralmente il predetto dato normativo, prevedendo un aumento del tasso convenzionale previsto per la regolare esecuzione del rapporto di due punti percentuali in più.
Di conseguenza, pur in presenza di risoluzione, saranno dovuti gli interessi di mora fino al pagamento; in altri termini in luogo della componente della rata costituita dalla quota interessi, predeterminati in vista della regolare esecuzione del rapporto, sarà applicato il tasso di mora più alto.
Insomma se non segue proprio il pagamento del debito, è giusto che sia sanzionato questo comportamento inadempiente del mutuatario, con l’applicazione della sanzione del tasso di mora più alto( si tratta insomma di liquidazione preventiva e forfetizzata del danno da ritardato e/o mancato pagamento della somma mutuata).
Sotto questo profilo quindi le censure mosse dall’opponente non hanno pregio.
… E la capitalizzazione indebita seguita all’addebito delle rate scadute sul conto corrente
Con l’addebito delle rate – che come è noto contengono la componente sorte capitale ed interessi con sistema di rimborso alla “francese”– sul conto per il quale era applicata la capitalizzazione periodica( si ricordi che per un certo lasso di tempo il rapporto aveva regolare esecuzione), si finiva con il perseguire uno scopo espressamente vietato dalla legge, posto che come sopra ricordato, è ammesso il tasso di mora anche con riguardo alle rate successive alla risoluzione, ma con l’espresso divieto di ogni forma di capitalizzazione periodica.
Va quindi sotto tale profilo rideterminata la somma dovuta, eliminando gli addebiti dovuti alla vietata applicazione della capitalizzazione trimestrale, con riferimento alle rate addebitate sul conto, quando era in essere, prima cioè della risoluzione.
Il controcredito derivante dall’addebito sul conto corrente di somme non dovute
Una ulteriore diminuzione della somma dovuta alla banca potrebbe derivare ( fumus) dall’aver la stessa applicato addebiti a titolo di capitalizzazione trimestrale, commissioni di massimo scoperto e spese, che potrebbero risultare non dovuti, dal momento che non risulta agli atti il contratto di conto corrente( viceversa quelli di apertura di credito con i relativi tassi invece sono documentati); quindi tali corrispettivi( a parte i tassi previsti per le predette aperure di credito) non sarebbero supportati dalla forma scritta ad substantiam prevista in tema di contratti di conto corrente (ma si veda anche l’art. 1284, II co., c.c.).
Insomma la apparente fondatezza( fumus) di questi ultimi motivi di opposizione all’esecuzione (c.d. opposizione parziale all’esecuzione), giustificano l’accoglimento dell’istanza di sospensione della procedura esecutiva e la necessità quindi che sia prima accertata la reale entità della somma dovuta dall’opponente alla banca (la quale peraltro è in possesso altra garanzia, costituita da pegno su polizza).
P.T.M.
Sospende la procedura esecutiva iniziata ai danni dell’opponente con pignoramento del 03-08-2012.
Visto l’art. 616 c.p.c. fissa il termine perentorio di giorni novanta per l’introduzione del giudizio di merito, secondo le modalità previste nel predetto articolo.
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