Occupazione usurpativa del Comune: quale risarcimento?
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T.A.R. Calabria - Catanzaro - Sentenza 13 ottobre 2017 , n. 1519
Per effetto del venir meno dell'occupazione usurpativa nell'ordinamento nazionale, il risarcimento dovuto al proprietario del fondo occupato deve avvenire sempre in forma specifica, mediante restituzione dei luoghi nello stato originario, salvo che il proprietario rinunci a tale forma di risarcimento, agendo per ottenere il risarcimento per equivalente.
Per effetto del venir meno dell'occupazione usurpativa nell'ordinamento nazionale, il risarcimento dovuto al proprietario del fondo occupato deve avvenire sempre in forma specifica, mediante restituzione dei luoghi nello stato originario, salvo che il proprietario rinunci a tale forma di risarcimento, agendo per ottenere il risarcimento per equivalente.
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N. 1519/2017 Reg. Prov. Coll.N. 92 Reg. Ric.ANNO 2001REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 92 del 2013, proposto da C. R., in proprio e quale procuratrice di C. T. e C. F., rappresentata e difesa dall'avv. Rosario Maletta e domiciliata presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale a norma dell'art. 25 c.p.a.;controil Comune di Cellara, non costituito in giudizio;per la condannadel Comune di Cellara al risarcimento dei danni per l'ammontare di lire 16.800.000, pari al valore venale del terreno di proprietà dei ricorrenti, occupato nell'ambito di procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione della rete fognaria;in subordine,per la condannadel Comune di Cellara al pagamento dell'indennità di esproprio di lire 672.000 e dell'indennità di occupazione di urgenza;Visti il ricorso e i relativi allegati;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del 14 settembre 2017 il dott. Giovanni Iannini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:FATTO E DIRITTOLa sig.ra C. R., in proprio e quale procuratrice dei signori C. T. e C. F., ha adito questo Tribunale al fine di ottenere la condanna il Comune di Cellara al risarcimento dei danni correlati all'occupazione del terreno di proprietà degli stessi, sito in quel Comune, esteso mq 560 e censito in catasto al foglio n. 1 p.lla 127, avvenuta nell'ambito di procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione della rete fognaria, non seguita dall'emissione del decreto di esproprio.Tali danni sono stati quantificati in complessive lire 16.800.000.In via subordinata, la ricorrente ha chiesto che il Comune sia condannato al pagamento dell'indennità di esproprio di lire 672.000 e dell'indennità di occupazione di urgenza.Il Comune, sebbene intimato, non si è costituito in giudizio.Alla pubblica udienza del 14 settembre 2017 la causa è stata assegnata in decisione.Parte ricorrente ha proposto domanda risarcitoria diretta esclusivamente ad una tutela per equivalente, mediante la condanna dell'Amministrazione al pagamento di una somma corrispondente al valore venale del bene oggetto di occupazione, di cui parte attrice assume di avere perso la proprietà a seguito dell'irreversibile trasformazione realizzata mediante l'esecuzione dell'opera pubblica.Giova in proposito richiamare i più recenti indirizzi giurisprudenziali in ordine alla problematica relativa all'acquisto della proprietà in capo al beneficiario dell'espropriazione, in virtù della c.d. accessione invertita.Il Consiglio di Stato, nella sentenza 3 ottobre 2012 n. 5189, si è espresso nei termini seguenti: "Occorre invero dare atto della intervenuta espunzione dal nostro ordinamento dell'istituto dell'acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica a seguito della realizzazione dell'opera.Questa Sezione ha già avuto modo di precisare (Cons. Stato Sez. IV 30 gennaio 2006 n. 290; idem 7 aprile 2010 n. 1983) che l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venir meno l'obbligo di restituire al privato il bene illegittimamente appreso e ciò superando l'interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.La Corte Costituzionale con la sentenza 4 ottobre 2010 n. 293 recante declaratoria della illegittimità costituzionale dell'art. 43 del Testo unico sulle espropriazioni ha ritenuto che la realizzazione dell'opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno (in tal senso anche Cons. Stato Sez. V 2 novembre 2011 n. 5844).La presenza di un'opera pubblica sull'area illegittimamente occupata costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo di acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà per cui solo il formale atto di acquisizione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi della proprietà in altri comportamenti, fatto o contegni" (sul superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, TAR Toscana, sez. I, 20 dicembre 2012 n. 2052; TAR Liguria, sez. I, 14 dicembre 2012 n. 1653; TAR Lazio, sez. II, 6 novembre 2012 n. 9052; Cons. St., sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).La prospettiva del superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva è stata fatta propria anche dalla Corte di cassazione, cui è dovuta, in massima parte, l'elaborazione giurisprudenziale dello stesso istituto, che nella recente sentenza 28 gennaio 2013 n. 1804 ha richiamato le pronunce con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha censurato le forme di "espropriazione indiretta" elaborate nell'ordinamento italiano, configurandole come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell'uomo, garantito dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e sottolineando che giammai l'acquisizione del diritto di proprietà conseguire a un illecito, nessuna rilevanza potendo assumere il dato fattuale dell'intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno interessato (sentenze Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007).La Suprema Corte, riportando il testo del precedente ivi richiamato, ha ritenuto che non è più predicabile il principio "... secondo cui occupazione appropriativa per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina, comunque, l'acquisto della proprietà, in capo alla P.A., dell'area occupata per effetto della realizzazione dell'opera pubblica..." e che "...ciò è confermato dalla presenza, nel sistema del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), di una norma, l'art. 42-bis, aggiunto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 34, comma 1, conv., con mod., dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, il quale, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di una utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile - con l'esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto - pervenire ad una acquisizione, non retroattiva, della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo".Da qui la conclusione per la quale "Il trasferimento della proprietà privata in favore dell'Amministrazione può avvenire, oltre che a mezzo dello strumento negoziale o per usucapione, soltanto mediante il procedimento espropriativo ordinario o quello "espropriativo semplificato" previsto dall'art. 42 bis in via eccezionale" (Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2013 n. 1804 cit.).Consegue a quanto sopra che la radicale trasformazione del suolo a seguito dell'occupazione di esso e della realizzazione dell'opera pubblica non determina l'estinzione del diritto del proprietario né, correlativamente, l'acquisto della proprietà in capo all'Amministrazione o al beneficiario dell'espropriazione.La giurisprudenza più recente, tuttavia, sulla scorta di un risalente indirizzo della Corte di cassazione, ammette che l'illecito permanente possa venire a cessare in virtù, tra l'altro, della rinuncia abdicativa da parte del proprietario, implicita nella proposizione della sola domanda di risarcimento per equivalente per perdita del diritto dominicale in conseguenza dell'irreversibile trasformazione del bene (cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2016 n. 4636; Cons. Stato, Ad. Plen. , 9 febbraio 2016 n. 2).Nello stesso senso, peraltro, si è recentemente espressa anche la Suprema Corte, che, ribadito che l'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo all'acquisto dell'area da parte dell'amministrazione, ha però fatto salvo il caso in cui il proprietario decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente (Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2017 n. 10720).Nel caso di specie, parte ricorrente ha chiesto unicamente il risarcimento del danno e ciò, per quanto precisato, implica una rinuncia abdicativa dei proprietari, che non hanno chiesto la restituzione del bene.Per quanto sopra, risultando sussistenti tutti i presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria, anche dal punto di vista soggettivo, essendo indubbio che il mancato perfezionamento dell'iter procedimentale implichi una grave violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento gravanti sulle pubbliche amministrazioni, deve essere disposta la condanna del Comune di Cellara al risarcimento dei danni in favore dei proprietari dell'immobile signori C. R., C. T. e C. F..Con riferimento alla quantificazione del risarcimento, il Collegio dispone che, ai sensi dell'art. 34, co. 4, c.p.a., il Comune di Cellara proponga ai proprietari, entro il termine di centottanta giorni decorrente dalla data di comunicazione della presente sentenza, o da quella di notificazione se anteriore, il pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento dei danni, commisurata al valore venale del bene al momento del perfezionamento della rinuncia abdicativa dei proprietari e, quindi, al momento della proposizione della domanda risarcitoria. Sulla somma così determinata il Comune di Cellara dovrà corrispondere gli interessi compensativi, da computare sull'importo originariamente dovuto e, quindi, sui progressivi adeguamenti correlati all'inflazione, calcolati in via equitativa in base agli indici medi di svalutazione, fino alla data di deposito della presente sentenza (Cass. Civ., Sez. II, 7 giugno 2001 n. 7692).Su tutte le somme dovute decorrono, altresì, gli interessi legali, dalla data di deposito della presente decisione e fino all'effettivo soddisfo.Non vi è luogo a pronuncia in ordine alle domanda di condanna al pagamento dell'indennità di espropriazione e dell'indennità di occupazione legittima, in quanto avanzate in via subordinate. Esse, comunque, esulerebbe dalla giurisdizione del giudice amministrativo, secondo le note norme di legge.In virtù del principio di soccombenza, le spese del presente giudizio devono essere poste a carico del Comune di Cellara.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, condanna il Comune di Cellara, in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento dei danni in favore dei signori C. R., C. T. e C. F., da determinare nei modi indicati nella parte motiva.Condanna il Comune di Cellara, in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione in favore di parte ricorrente di spese e competenze del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 14 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati: IL PRESIDENTEVincenzo SalamoneIL CONSIGLIERE ESTGiovanni IanniniIL REFERENDARIOFrancesco Tallaro Depositata in Segreteria il 13 ottobre 2017
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Avvocato Alessandro Zanmarchi
Professore a contratto di Legislazione urbanistica e dei beni culturali presso l'Università di Trieste.
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Già avvocato della Regione Puglia per oltre 35 anni, faccio abitualmente ricorsi al TAR E CONSIGLIO DI STATO su URBANISTICA ED EDILIZIA, DIRITTO AMMINISTATIVO IN GENERE, RICORSI PER RISARCIMENTO DANNI...