L'INPS risponde, con il Fondo di Garanzia, solo per il TFR e non anche per i crediti retributivi degli ultimi 3 mesi
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 1209 del 21 gennaio 2008
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
Letto 5384 volte dal 26/01/2008
Svolgimento del processo I. Con ricorso, ritualmente depositato, Fabiana De Marco conveniva in giudizio l'Inps per sentirlo condannare al pagamento delle ultime tre mensilità, relative a rapporto di lavoro cessato il 27 ottobre 1997 con la S.r.. Aldo Confezioni, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Lecce del 31.1.2000, retribuzioni poste a carico del Fondo di garanzia ai sensi degli artt. 1 e 2 del D. Lgs. n. 80 del 1992. Al riguardo esponeva: - che l'Inps aveva
Svolgimento del processo
I. Con ricorso, ritualmente depositato, Fabiana De Marco conveniva in giudizio l'Inps per
sentirlo condannare al pagamento delle ultime tre mensilità, relative a rapporto di lavoro
cessato il 27 ottobre 1997 con la S.r.. Aldo Confezioni, dichiarata fallita con sentenza del
Tribunale di Lecce del 31.1.2000, retribuzioni poste a carico del Fondo di garanzia ai sensi
degli artt. 1 e 2 del D. Lgs. n. 80 del 1992.
Al riguardo esponeva:
- che l'Inps aveva presentato istanza di fallimento della predetta società in data 6.5.1999;
- che in data 12.1.1998 era stato concluso tra essa ricorrente e la società datrice di lavoro
accordo transattivo, in virtù del quale quest'ultima si obbligava a corrispondere alla
lavoratrice le ultime tre mensilità ed il Tfr entro e non oltre il 30.9.1998;
- che il termine di un anno, fissato dall'art. 2 del D. Lgs. n. 80 del 1992, decorreva dal
30.9.1990, data in cui era divenuto nuovamente esigibile il credito, per insolvenza del
debitore;
- che nel caso di specie, dovendosi far decorrere tale termine a ritroso dall'istanza di
fallimento anzidetta del 6.5.1999, doveva ritenersi sussistente l'obbligo di pagamento
dell'Inps delle ultime tre mensilità insolute ed esigibili dal 30.9.1998, ammontanti ad €
2.388,29, somma ammessa al passivo fallimentare.
Con sentenza n. 3778 del 14.10.2004 il Tribunale di Lecce rigettava la domanda, ritenendo
ininfluente l'accordo transattivo del 12.1.1998, in quanto occorreva far riferimento
tassativamente ai dodici mesi precedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento.
II. Tale decisione veniva appellata dalla De Marco, la quale rilevava che la transazione
anzidetta, pur trattandosi di negozio giuridico cui l'Inps era rimasto estraneo, vertendosi
tuttavia in tema di obbligazione solidale tra l'ente previdenziale e il datore di lavoro, non
avrebbe che potuto spostare in avanti - con decorrenza dalla data di esigibilità del credito
coeva all'inadempimento del negozio transattivo - il periodo da cui far decorrere il termine
sino alla data di avvio della procedura fallimentare, e ciò in base ad una interpretazione
dell'art. 2 D. Lgs. n. 80/1992 diversa da quella puramente letterale accolta dal primo
giudice.
All'esito la Corte di Appello di Lecce con sentenza n. 1701 del 2005, in accoglimento del
gravame, ha condannato l'Inps al pagamento in favore dell'appellante della somma di €
2.388,29, oltre interessi legali dal dì della maturazione al saldo.
La Corte territoriale ha condiviso le argomentazioni svolte dall'appellante, ed in particolare
ha osservato che l'insolvenza si era definitivamente perfezionata con la scadenza del termine
fissato (30 settembre 1998) nel verbale di accordo transattivo per l'adempimento
dell'obbligazione retributiva.
Ciò puntualizzato, la Corte ha ritenuto che tra la data dell'istanza di fallimento (6 maggio
1999) e quella del definitivo perfezionamento dell'insolvenza (30 settembre 1998) vi fosse
uno scarto temporale inferiore all'anno richiesto dal richiamato art. 2 D. Lgs. n. 80/1992.
Contro la sentenza di appello ricorre per cassazione l'Inps con due motivi. La De Marco
resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c., trattandosi di
impugnazioni contro la medesima sentenza
2. Con il primo motivo, nel lamentare violazione e falsa applicazione e vizio di motivazione
su un punto decisivo della controversia, l'Inps denuncia che la Corte di Lecce ha violato il
disposto del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, comma 1, siccome le tre mensilità
richieste non rientravano nel periodo di dodici mesi antecedenti la data di presentazione
dell'istanza di fallimento, né la norma era suscettibile di essere interpretata, in violazione
dell'art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, nel senso che il differimento del
termine di adempimento, concordato con il datore di lavoro, potesse valere a collocarle nel
detto periodo, stante l'irrilevanza dell'accordo per l'Istituto previdenziale ai sensi dell'art.
1372 c.c., anche sotto il profilo della regola dettata in tema di obbligazioni solidali dall'art.
1304 Cod. Civ.; aggiunge, infine, che un accordo stipulato con il datore di lavoro, al fine di
realizzare il risultato descritto, dovrebbe reputarsi nullo per frode alla legge (art. 1344 Cod.
Civ.).
Il ricorso va accolto, ancorché alcune delle prospettazioni in diritto del ricorrente necessitino
di correzione, dovendo confermare la Corte, in assenza di argomentazioni non esaminate in
precedenza, l'indirizzo già espresso sulla stessa questione con la sentenza 21 giugno 2006,
n. 14312.
La giurisprudenza più recente della Corte si esprime nel senso che il diritto del lavoratore di
ottenere dall'Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del
trattamento di fine rapporto, ovvero le ultime tre mensilità di retribuzione, a carico dello
speciale fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una
prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei
confronti del datore di lavoro - restando esclusa, di conseguenza, la fattispecie
dell'obbligazione solidale - diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di
lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge indicata (insolvenza del datore di
lavoro, verifica dell'esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero
all'esito di procedura esecutiva: Cass. n. 4183/2006, 27917 del 2005, n. 23930 del 2004; n.
21595 del 2004).
Ciò premesso, si osserva che la controversia concerne l'applicazione del d.lgs. 27 gennaio
1992, n. 80, art. 2, comma 1, - Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela
dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro -, nella parte in cui
dispone: Il pagamento effettuato dal Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 1 è relativo ai crediti
di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi
tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono:
a) la data del provvedimento che determina l'apertura di una delle procedure indicate
nell'art. 1, comma 1;
b) la data di inizio dell'esecuzione forzata;
c) la data del provvedimento di messa in liquidazione o di cessazione dell'esercizio
provvisorio ovvero dell'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio di impresa per i
lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la data di cessazione
del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell'attività
dell'impresa.
La lettera della legge rende manifesta la ratio di stabilire un collegamento certo tra epoca di
insorgenza del credito retributivo e insolvenza del datore di lavoro, escludendo, pertanto,
che i crediti inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro possano farsi rientrare nei
dodici mesi precedenti il dies a quo fissato per il fatto che il termine di adempimento risulti,
per qualsiasi ragione, fissato in epoca successiva.
In altri termini, all'autonomia privata non è consentito modificare la previsione legislativa,
cosicché, al fine di verificare se il credito rientri o meno nell'arco dei dodici mesi, rileva
esclusivamente la sua riferibilità agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro. Rileva, cioè,
esclusivamente il periodo di riferimento delle mensilità, indipendentemente dalla circostanza
che, per effetto di pattuizioni individuali, il datore di lavoro non possa essere considerato
inadempiente alla scadenza di ciascuna mensilità. La constatata indifferenza della norma
rispetto all'esigibilità dei crediti di lavoro assorbe l'esame di tutte le altre argomentazioni del
ricorso.
Questione diversa, che pure è necessario porsi ai fini della decisione della controversia, è se
l'accordo con il datore di lavoro del 12 gennaio 1998, con la pattuizione della scadenza del
30 settembre 1998 per il pagamento delle retribuzioni non corrisposte, costituisca evento
idoneo ad incidere sul dies a quo del termine (a ritroso) di dodici mesi. Ed invero, la
sentenza impugnata parla del 30 settembre 1998 come data coincidente con l'insolvenza. Si
osserva al riguardo che gli eventi indicati dall'art. 2, comma 1, lett. a (data del
provvedimento che determina, per i datori di lavoro che vi sono assoggettati, l'apertura delle
procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, ovvero
procedura di amministrazione straordinaria) vanno intesi (per effetto della sentenza della
Corte di giustizia UE. 10 luglio 1997, nella causa C - 373/95) quali presupposti condizionanti
la garanzia, che non può essere concessa prima della decisione di apertura della procedura
concorsuale, ma che non rilevano ai fini del dies a quo per il computo del periodo di
copertura. In questa prospettiva di lettura della norma, la giurisprudenza di questa Corte ha
precisato come non necessariamente si debba aver riguardo alla data di proposizione della
domanda volta all'apertura della procedura, cui spesso il dipendente non è neppure abilitato,
ma rileva anche la data in cui il lavoratore ha proposto atti d'iniziativa volti a far valere in
giudizio il credito (Cass. n. 1885 del 2005).
Neppure questa interpretazione, però, può giovare al fondamento della pretesa avanzata nei
confronti dell'Inps.
La norma, infatti, nella parte in cui consente la lettura estensiva sopra riferita prevedendo,
sia pure letteralmente con riferimento ai soli datori di lavoro sottratti alle procedure
concorsuali, che il dies a quo sia determinato dall'iniziativa giudiziaria del lavoratore, esclude
che vi possano essere equiparate iniziative di tipo diverso, quali la ricerca di un accordo
transattivo e la dilazione del pagamento
In conclusione, al termine di scadenza, consensualmente fissato per l'adempimento del
datore di lavoro, non può attribuirsi l'effetto di determinare il calcolo del periodo dei dodici
mesi a ritroso, siccome, nell'interpretazione più estensiva possibile della legge, solo
un'azione giudiziaria è a tanto idonea, non rilevando la mancanza di esigibilità determinata
dalla volontà dello stesso lavoratore- creditore.
3. Con il secondo motivo l'Inps denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2-comma 5-
del D.Lgs. n. 80 e dell'art. 12 delle preleggi, nonché vizio di motivazione circa un punto
decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), ossia sulla decorrenza degli interessi
legali liquidati a far data dalla maturazione del diritto in ordine al credito retributivo delle
ultime tre mensilità riconosciute alla lavoratrice.
Il motivo può ritenersi assorbito e superato in conseguenza e per effetto dell'accoglimento
del primo.
4. Da parte sua la controricorrente propone ricorso incidentale con riguardo alla parte
motiva e ali dispositivo della sentenza, che non ha previsto la condanna al pagamento, oltre
agli interessi, della rivalutazione monetaria in relazione all'art. 429-comma 3- c.p.c. e
dell'art. 2 – comma 5 - del D.Lgs. n. 80/1992. Anche questo ricorso, in conseguenza e per
effetto dell'accoglimento di quello principale, può ritenersi assorbito.
L'accoglimento del ricorso principale priva altresì di ogni rilevanza la questione, che non
merita di essere esaminata, di legittimità costituzionale- sollevata dalla controricorrentedelle
norme richiamate (art. 2-comma 5- del D.Lgs. n. 80 del 1992 e art. 429- comma 3 –
c.p.c.) nella parte in cui non prevedono la liquidazione degli interessi e della rivalutazione
dalla maturazione del diritto, anziché da data della domanda amministrativa, e ciò con
riferimento all'art. 3 e all'art. 36 della Costituzione. 5. In conclusione all'accoglimento del
ricorso principale consegue la decisione nel merito (art. 384 c.p.c.), non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, con la statuizione del rigetto della domanda proposta nei
confronti dell'Inps. Per le spese dell'intero processo nessuna statuizione va emessa,
ricorrendo i presupposti per l'esonero del soccombente dal rimborso a norma dell'art. 152
disp. att. c.p.c., nel testo originario, previgente rispetto alle modificazioni introdotte dal D.L.
n. 269 del 30.9.2003 (convertito nella legge n. 326 del 24.11. 2003), non applicabili a
giudizio iniziato prima del 2.10.2003 (data di entrata in vigore del decreto).
PQM
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il principale, assorbito l'incidentale, cassa e, decidendo
nel merito rigetta la domanda originaria. Nulla per le spese dell'intero processo.
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