Per ogni anno di ritardo 1.500 euro di indennizzo .
Cassazione civile, Sezione 1, Sentenza n. 13608 del 4/6/2010
Avv. Michele Marra
di Caserta, CE
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La Corte Europea (con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 Novembre 2004) ha individuato nell’importo compreso fra euro 1.000,00 ed euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo. Il suddetto parametro ordinario puo’ subire, peraltro, una riduzione contenuta quando la posta in giuoco sia modesta ed il ritardo non superiore al triennio.- Il termine ragionevole viene identificato nel triennio per il giudizio di primo grado, ulteriori due anni per quello di appello ed un anno per la Cassazione ;termini che le Corti Italiane non sono in condizioni di rispettare quasi mai . Ad esempio la Cassazione stà fissando ricorsi tra il 2006\2007 nelle sezioni civili che violano la ragionevole durata dei processi . A quanto sembra a nulla è valsa la Legge Pinto che non ha ridotto i termini dei giudizi,nè di maggior sollievo appaiono gli orpelli che ostacolano la strada dell'accesso ai giudizi ( conciliazioni, deposito di atti al momento della costituzione ) . L'unica Magistratura che rispetta i termini è quella dei Giudici di Pace, i quali lavorando "a cottimo " più sentenze più stipendi hanno un notevole incentivo all'emissione della sentenza .
Cassazione civile, Sezione 1, Sentenza n. 13608 del 4/6/2010
Svolgimento del processo
Con decreto emesso il 13 Novembre 2007 la Corte d’appello di Catania condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare la somma di euro 3.606,58, oltre gli interessi e le spese processuali, in favore del sig. M.I., a titolo di equa riparazione, ex articolo 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per il danno da violazione del termine ragionevole del processo da lui promosso con ricorso depositato il 23 luglio 1998 dinanzi al T.a.r. di Sicilia – sezione distaccata di Catania nei confronti dell’Azienda ospedaliera (?), della quale era dipendente, in qualita’ di medico, per ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione di somme dovute per prestazioni extra orario.
Motivava che il processo era tuttora pendente, con un ritardo di anni 5, mesi 10 e giorni 12 rispetto alla durata ragionevole triennale e che la scarsa rilevanza economica della domanda giustificava la liquidazione dell’equo indennizzo in euro 600,00 per ogni anno di ritardo.
Avverso il provvedimento proponeva ricorso per cassazione il dr. M., con atto notificato l’11 novembre 2008.
Deduceva la violazione della Legge 24 marzo 2001, n. 89, articolo 2 e dell’articolo 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella liquidazione riduttiva dell’equo indennizzo, difforme dai parametri consolidati della giurisprudenza della Corte europea.
Resisteva con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
All’udienza del 23 marzo 2010 il Procuratore generale e il difensore del ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Premesso che non e’ stato contestato l’accertamento della violazione del termine ragionevole per anni 5, mesi 10 e giorni 12, appare fondata la censura riguardante il quantum debeatur.
Questa Corte ha più volte precisato (Cass, sez. 1, 1 Marzo 2007, n. 4845; Cass., sez. un., 26 Gennaio 2004, n. 1340; Cass., sez. 1, 23 Aprile 2005, n. 8568) che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della Legge 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice del merito e’ segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale: di tal che e’ configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purche’ in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili.
Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione, quale espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno – per quanto possibile – conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica; con la conseguenza che il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Corte Europea (con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 Novembre 2004) ha individuato nell’importo compreso fra euro 1.000,00 ed euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo. Il suddetto parametro ordinario puo’ subire, peraltro, una riduzione contenuta quando la posta in giuoco sia modesta ed il ritardo non superiore al triennio.
Alla luce dei predetti principi, si deve ritenere effettivamente illegittima, nel caso in esame, la liquidazione in euro 600,00 per anno di ritardo; onde il decreto della Corte d’appello di Catania va annullato sul punto.
In carenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, tenuto conto che la stessa corte territoriale ha determinato in anni cinque, mesi dieci e giorni dodici il ritardo nello svolgimento del processo presupposto, si può procedere alla decisione nel merito (articolo 384 c.p.c., comma 2) e liquidare l’indennizzo dovuto in euro 5.100,00, con gli interessi legali dalla domanda.
Appare infatti giustificata, in forza dei criteri suesposti, la liquidazione di un indennizzo unitario annuo di euro 750,00 per il primo triennio e di euro 1.000,00 per il ritardo successivo, tenuto conto del progressivo intensificarsi del patema d’animo, secondo l’id quod plerumque accidit, col trascorrere del tempo di pendenza del processo.
Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore ritenuto in sentenza e del numero e complessita’ delle questioni svolte.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di M.I. della somma di euro 5.100,00, con gli interessi legali dalla domanda;
Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 1.028,00, di cui euro 378,00 per diritti ed euro 600,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 1.100,00, di cui euro 1.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.
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