Incompetenza Territoriale- Sezione distaccata
Il Tribunale di Catanzaro, II Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del dott. Francesco Agnino
Avv. Monica Mandico
di Napoli, NA
Letto 4340 volte dal 03/05/2012
P.Q.M. Il Tribunale di Catanzaro, quale giudice dell'appello, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte: 1) accoglie l'appello proposto dalla T.I. s.p.a. e, per l'effetto, in riforma della impugnata sentenza, per le causali di cui in motivazione, rigetta la domanda proposta da parte attrice in primo grado; 2) condanna parte appellata alla rifusione in favore dell'appellante delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano complessivamente nella somma di Euro 1.013,56 (di cui Euro 52,56 per esborsi, Euro 446,00 per diritti di entrambi i gradi di giudizio ed Euro 515,00 per onorari di entrambi i gradi di giudizio) oltre a rimborso generale spese di lite, IVA e CPA come per legge. Catanzaro, 24 marzo 2011
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attore odierno appellato conveniva innanzi al Giudice di Pace di Chiaravalle Centrale la T.I. s.p.a. domandando la restituzione delle somme ex adverso riscosse a titolo di contributo di spese di spedizione delle fatture relative alla propria utenza telefonica, compresa IVA; l'attore domandava altresì il risarcimento del danno.
All'esito del procedimento, il giudice di pace adito accoglieva la domanda, condannando la società convenuta al pagamento della somma di euro 20,00, oltre spese di lite.
Avverso tale pronuncia la s.p.a. T., già costituitasi in prime cure, ha proposto appello riportandosi alle eccezioni ed istanze di prime cure e specificamente eccependo:
1) l'insussistenza della violazione (ritenuta dal primo giudice) dell'art. 21 VIII comma DPR 633/72;
2) la prevalenza delle condizioni generali di abbonamento come fonte contrattuale dell'obbligo di pagamento delle spese di spedizione delle fatture;
3) l'inconfigurabilità della vessatorietà della previsione contrattuale relativa alle spese di spedizione della fattura;
4) la mancanza di prova oltre che la mancanza del danno asseritamente subito dall'appellato.
Si costituiva l'appellato, deducendo l'inammissibilità e/o l'improcedibilità e comunque l'infondatezza dell'appello dispiegato.
2. Preliminarmente deve essere scrutinata l'eccezione di improcedibilità dell'appello per violazione degli artt. 347 e 348 c.p.c.
Infondata è la doglianza relativa alla circostanza che la costituzione dell'appellante è avvenuta presso l'Ufficio giudiziario (Cancelleria del Tribunale di Catanzaro) diverso da quello indicato nell'atto di citazione in appello che reca l'indicazione del Tribunale di Chiaravalle Centrale.
Nel caso in esame non si pone alcun problema di identificazione del giudice competente e di competenza per territorio, considerato che il Tribunale di Chiaravalle Centrale non costituisce altro che una sezione distaccata del Tribunale di Catanzaro.
Si richiama il consolidato insegnamento di legittimità secondo il quale: la ripartizione delle cause tra la sede centrale del tribunale e le sezioni distaccate infracircoscrizionali, stabilita dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 quater, introdotto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 15, costituisce una distribuzione degli affari tra articolazioni appartenenti ad un unico ufficio - prevista per ragioni di organizzazione interna e di migliore fruibilità del servizio giustizia e non già un riparto di competenza territoriale, rispetto al quale siano configurabili questioni di competenza (Cass. 8 novembre 2002 n. 15752, cfr. anche Cass. 24 gennaio 2006 n. 1309, 3 ottobre 2005 n. 19299, 31 maggio 2005 n. 11572, 28 gennaio 2005 n. 1814, 18 settembre 2003 n. 13751, 8 novembre 2002 n. 15752, 14 giugno 2001 n. 8025, 11 gennaio 2000 n. 194, 1 ottobre 1997 n. 9582, 13 luglio 1993 n. 7694).
Secondo Cass. n. 19299 del 2005 cit. la ripartizione delle cause tra la sede centrale del Tribunale e le sezioni distaccate infracircoscrizionali, stabilita dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 quater, introdotto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 15, costituisce una distribuzione degli affari tra le articolazioni appartenenti ad un unico ufficio, prevista, per ragioni di organizzazione interna e di migliore fruibilità del servizio giustizia, con la conseguenza che l'eventuale violazione degli inerenti criteri di ripartizione degli affari non determina un'incompetenza del giudice adito ma può e deve trovare rimedio attraverso il provvedimento ordinatorio di trasmissione degli atti al presidente del tribunale affinchè provveda, con decreto non impugnabile, ai sensi dell'art. 83 ter disp. att. cod. proc. civ., introdotto dal citato D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 128.
Sotto altro aspetto, l'appellato, costituendosi, ha eccepito in comparsa l'improcedibilità dell'appello, per effetto della mancata costituzione nei termini dell'appellante; a tale riguardo, ha richiamato il combinato disposto degli artt. 347, 348 e 165 c.p.c., ritenendo che la costituzione dell'attore non si fosse perfezionata con il mero deposito della cd. "velina". A sostegno della propria tesi, ha invocato anche l'autorità di un precedente giurisprudenziale di legittimità, rappresentato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione 1 luglio 2008, n. 18009.
Ad avviso di questo Giudice l'eccezione è infondata.
Al riguardo, è dato ravvisare un contrasto giurisprudenziale (peraltro, largamente inconsapevole) all'interno della stessa Corte Regolatrice: oltre alla pronuncia invocata dall'appellato, infatti, può citarsi nello stesso senso anche la sentenza 7 febbraio 2008, n. 2946, secondo la quale l'appello è improcedibile allorché l'appellante deposita, nel termine previsto per la sua costituzione, copia informe dell'atto di impugnazione e non l'originale notificato ad almeno una delle controparti. In senso contrario, però, possono annoverarsi le pronunce dello stesso giudice di legittimità, n. 15777 del 13 agosto 2004, 7775 del 29 marzo 2007 e 11783 del 21 maggio 2007; Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027, in Mass.Giust. civ., 2004, 12, la quale cassa la decisione di App. Napoli 18 gennaio 2001, che aveva, al contrario, dichiarato l'improcedibilità dell'appello per non essere stata dimostrata la regolarità e tempestività della costituzione in giudizio dell'appellante; Cass. 30 aprile 2008, n. 10903.
La circostanza di costituirsi depositando copia dell'atto di citazione rappresenta un'irregolarità rispetto alla modalità stabilita dalla legge, tuttavia è un rilievo esclusivamente formale, che stride col concreto svolgimento del processo, della ritualità della notifica dell'atto e del pieno esercizio del diritto di difesa. In altre parole, da una parte, difetta un concreto pregiudizio per la controparte, dall'altra, si verifica un pieno effetto sanante della condotta processuale.
Non è ravvisabile una ragione di improcedibilità dell'appello, in quanto tale sanzione è limitata a cause tassative, tra cui la mancata costituzione nei termini, non assimilabile alla costituzione tramite copia dell'atto, che integra, al contrario, una mera irregolarità della costituzione tempestivamente avvenuta, in relazione alla quale soccorre il principio generale di cui all'art. 156 c.p.c.
La costituzione in giudizio dell'attore mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente una copia, invece che l'originale (che verrà depositato dopo la scadenza del termine prescritto) dell'atto di impugnazione, non determina alcuna nullità della costituzione stessa, che rimane salva, ma integra una irregolarità rispetto alle modalità di legge, proprio perché non si verifica alcuna esclusione dei diritti dell'appellato e il contraddittorio si stabilisce con la notifica dell'atto stesso (in particolare, Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027, cit.).
Il contraddittorio si è stabilito con la notifica della citazione e consente alla controparte di conoscere la domanda e di difendersi. D'altra parte, la costituzione è seguita da tale atto e ha raggiunto il proprio scopo, indipendentemente dal fatto che l'originale sia stato tardivamente depositato.
Sullo sfondo rimane la possibilità di dichiarare l'improcedibilità dell'appello, nel diverso caso in cui, qualora sia contestata la conformità della copia depositata con l'originale dell'atto di impugnazione successivamente restituito dall'ufficiale giudiziario, venga accertata la difformità dei due atti (Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027, cit.; Cass. 29 marzo 2007, n. 7776, cit.).
Tale iniziale posizione ha trovato sviluppo e conforto nei principii enunciati dalla Corte Costituzionale, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo (Corte cost. 2 aprile 2004, n. 107).
Ai sensi dell'art. 647 c.p.c., infatti, l'opposizione a decreto ingiuntivo non potrebbe essere proseguita, a rigore, in caso di tardiva costituzione in giudizio dell'opponente anche quando il mancato rispetto del termine per la costituzione derivi da ritardo nella riconsegna dell'originale notificato dell'atto di opposizione da parte dell'ufficiale giudiziario. Il Giudice di legittimità delle leggi, nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., afferma che l'interpretazione secondo cui l'art. 165 c.p.c. non consentirebbe la costituzione in giudizio dell'attore prima del momento in cui la notificazione si è perfezionata nei confronti del destinatario della notifica stessa, oltre a non tener conto che la possibilità di iscrizione a ruolo della causa prima del perfezionamento della notificazione per il destinatario (con la c.d. velina) è già esplicitamente prevista, nel caso di notificazione a mezzo posta, dalla l. n. 80 del 1982 art. 5 comma 3, non è coerente con i principi affermati dalla stessa Corte costituzionale in tema di momento perfezionativo della notificazione con le sentenze n. 28 del 2004 e n. 477 del 2002 e in forza dei quali, "poiché la notificazione si perfeziona per il notificante con la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario", da tale momento possono essere compiute dal notificante medesimo le attività che presuppongono la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, tra le quali, appunto, l'iscrizione a ruolo della causa.
Sicuramente la questione veniva affrontata sotto un altro punto di vista. Tuttavia, il precedente è stato utilizzato per effettuare una passo in avanti, decisamente innovativo.
Pertanto, sembra che la possibilità di costituirsi depositando una copia dell'atto di citazione sia stata definitamente ed esplicitamente riconosciuta ed acquisita per il giudizio di appello, quasi che non sia neppure più corretto parlare di mera irregolarità (che presuppone pur sempre un discostamento dallo schema legale), ma di un vero e proprio potere-dovere (rectius, onere) legittimo da esercitare per non incorrere nella sanzione dell'improcedibilità.
In concreto, infatti, ci si avvede che dal deposito della c.d. velina (cui seguirà il deposito dell'originale), da una parte, l'appellato non subisce alcun pregiudizio o limitazione al diritto di difesa e, dall'altra, non si rinviene la prioritaria esigenza di ordine e di certezza, posta a fondamento dell'interpretazione più rigorosa, soprattutto in un sistema che conosce frequenti disguidi e ritardi nei mezzi di notificazione.
Sicuramente, il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione nella decisione n. 18009 del 2008 non tiene in alcun conto le indicazioni e i principi fissati dalla Corte costituzionale, anzi si pone in contrasto con le direttive fissate dalla Consulta, riesumando di fatto una ricostruzione teorica bocciata, nel senso che l'illegittimità costituzionale non è stata ravvisata, sotto altro aspetto, nell'art. 647 c.p.c. proprio perché non si tiene conto della possibilità di costituirsi tramite una copia dell'atto di citazione, in ossequio anche alla scissione del momento perfezionativo della notificazione.
Anche sul piano normativo-sistematico, la tesi, in realtà, non convince.
Indubbiamente, il procedimento per una regolare costituzione in giudizio prevede il deposito dell'originale dell'atto di impugnazione.
D'altra parte, non è prevista una specifica sanzione in caso di mancato rispetto di questa disposizione, nel senso che l'art. 348 c.p.c. commina l'improcedibiltà al caso dell'appellante che non si costituisce in termini, cosa ben diversa da una costituzione in termine, anche se si discosta dal modello legale, senza pregiudicarlo.
Già in forza del principio di tassatività delle cause di nullità (art. 156 c.p.c. a mente del quale non può essere pronunziata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto se la nullità non è comminata dalla legge), l'interpretazione più rigida e formale finisce col collegare ad un'irregolarità formale i medesimi effetti di una mancata o tardiva costituzione, mentre la violazione prevista dall'art. 348 c.p.c. riguarda il mancato rispetto delle scadenze temporali previste dal codice di rito. Si verifica un'errata equiparazione di due fattispecie diverse, la prima delle quali (la costituzione tramite copia) non è espressamente sanzionata
Senza considerare che, a mente del comma 3 dell'art. 156 c.p.c., la nullità mai può essere pronunziata, se l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato (c.d. sanatoria per raggiungimento dello scopo).
A monte, quindi, occorre verificare se la costituzione in giudizio tramite c.d. velina violi esigenze inderogabili di ordine processuale e non raggiunga lo scopo.
La costituzione in giudizio è un ulteriore atto di impulso, che l'attore ha l'onere di compiere per far proseguire il processo dopo la notificazione dell'atto introduttivo. La costituzione assume il significato di autopresentazione dell'attore, rivolgendo la sua domanda al giudice, instaurando così un rapporto diretto con lo stesso. D'altra parte, attraverso il deposito del fascicolo, nel quale si concretizza in pratica la costituzione, si offrono in comunicazione non solo al giudice, ma anche alla controparte i documenti prodotti e si esercita il proprio diritto di difesa.
Ebbene, la c.d. velina non incide minimamente sul diritto al contraddittorio, né lede il diritto di difesa del convenuto, che già conosce l'atto e può estrarre copia dei documenti prodotti.
Assume, effettivamente, rilevanza per consentire il controllo da parte del giudice della regolarità dell'atto notificato e della notifica stessa e, nel giudizio di appello, la procedibilità della domanda.
Allora, l'inserimento nel fascicolo dell'originale dell'atto introduttivo è certamente fondamentale per la verifica della regolarità del contraddittorio, soprattutto in caso di mancata costituzione del convenuto. Non è, invece, funzionale, in quel preciso momento, alla costituzione in giudizio, nel senso che la verifica della ricorrenza dei presupposti di procedibilità deve essere sostanziale e non formalistica.
Sono due giudizi diversi e ritenere prevalente la verifica del contraddittorio costituisce una forzatura, nella misura in cui ricollega una sanzione, non prevista dalla legge, alla costituzione in giudizio. Certamente l'atto notificato è indispensabile, ma non condiziona la validità della costituzione in giudizio, ove il deposito dell'originale avvenga in un secondo momento e renda possibile la verifica della sua regolarità.
Infatti, collegare l'improcedibilità del giudizio, che sanziona la sola mancata costituzione nei termini, significa operare un giudizio di validità o tempestività di una costituzione, che è, invero, avvenuta nei termini.
La verifica della regolarità del contraddittorio avviene alla prima udienza di comparizione, che deve ritenersi, pertanto, un termine utile per depositare l'originale dell'atto di impugnazione notificato.
Naturalmente, si verserebbe in un'ipotesi diversa ove venisse in contestazione la conformità della copia depositata alla copia notificata.
La tesi più rigorosa, pur richiamando principi fondamentali ed indiscutibili del nostro sistema processuale (in primis, l'interesse all'acquisizione della certezza del passaggio in giudicato della sentenza non tempestivamente impugnata), appare carente nel motivare il ricollegare una certa sanzione ad una situazione che non è chiaramente sanzionata dalla legge.
Ad colorandum, volgendo l'attenzione al passato, è difficile comprendere questo improvviso formalismo.
Infatti, nel sistema processuale anteriore alla riforma del 1990, l'art. 348 c.p.c. prevedeva la sanzione dell'improcedibilità anche in un'ulteriore ipotesi, ossia che l'appellante, pur costituitosi, non avesse presentato il proprio fascicolo entro la prima udienza. Ebbene, dal momento che nel fascicolo doveva essere inserita anche la copia autentica del provvedimento impugnato, sorgeva il problema che il Collegio, nella fase decisoria, non era in grado di prendere visione del provvedimento oggetto di gravame.
In tale sistema, la giurisprudenza era giunta alla conclusione che, in linea di principio, il mancato assolvimento dell'onere di produrre la copia della sentenza impugnata comportava l'improcedibilità del giudizio di appello ai sensi dell'art. 348 comma 2 c.p.c. (vigente ante 1990), il quale, pur riferendosi alla mancata presentazione del fascicolo di parte, doveva ritenersi applicabile anche all'ipotesi di presentazione di un fascicolo incompleto, ovvero privo di quegli atti essenziali per permettere al giudice del gravame di procedere al riesame della causa oggetto di impugnazione.
La stessa giurisprudenza, tuttavia, aveva adottato anche un criterio elastico ed antiformalistico nel valutare l'assolvimento di tale onere di allegazione, in quanto, se il giudice era posto altrimenti in grado di conoscere il contenuto della sentenza di primo grado, anche tramite una copia non conforme e non contestata da parte appellata (o tramite copia autentica allegata dalla medesima parte appellata), non si poteva dichiarare l'improcedibilità dell'appello (ex multis, Cass. 10 aprile 1979, n. 2059; Cass. 18 giugno 1979, n. 3416; Cass. 23 ottobre 1979, n. 5549; Cass. 25 luglio 1981, n. 4816; Cass. 23 luglio 1987, n. 6429; Cass. 7 agosto 1989, n. 3620; Cass. 16 aprile 1991, n. 4043; Cass. 20 gennaio 1992, n. 662; Cass. 20 marzo 1998, n. 2948; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2300; Cass. 29 dicembre 2005, n. 28786).
Al di là di questa nota storica e di coerenza, possiamo trarre un'argomentazione più solida a favore della tesi possibilista. Proprio la modifica dell'art. 348 comma 2 c.p.c. consente di affermare che nell'attuale testo "non sono rilevanti, ai fini della procedibilità dell'appello, eventi diversi dall'assenza pura e semplice dell'appellante già regolarmente costituito".
Da tale punto di vista, non ha più alcun significato porsi in un'ottica di costituzione incompleta, sanzionata come costituzione mancata.
In una visione più ampia, poi, la Suprema Corte, sempre in tema di omessa produzione della copia completa della sentenza appellata, ha escluso l'automatica irrogazione della sanzione dell'improcedibilità, in quanto tale sanzione deve sempre ricollegarsi ad un comportamento colpevole dell'appellante e così ad una condotta a lui imputabile sotto il profilo dell'inerzia (o negligenza) o imprudenza (Cass. 25 luglio 2006, n. 16938; Cass. 20 marzo 1998, n. 2948; Cass. 19 novembre 1992, n. 12365).
Da questo punto di vista, l'orientamento più rigoroso non tiene in considerazione la ratio sottesa a questa particolare sanzione nel sistema processuale.
Infatti, l'improcedibilità si verifica quando difettano talune determinate attività di parte ed espressamente richieste dalla legge. In altre parole, la sanzione dell'improcedibilità consegue a condotte omissive di attività che la legge configura come atti di impulso necessari, posti a carico della parte (onere), perché il giudizio possa avere il suo corso (principio della domanda - artt. 99 e 112 c.p.c. e 2907 c.c. - e dispositivo - art. 115 c.p.c. -, nel senso che non è sufficiente proporre una domanda, ma bisogna anche coltivarla).
Consegue che non pare giustificato, all'interno del sistema processuale, collegare tale sanzione a tutti quei casi, nei quali non sia configurabile l'inerzia o la negligenza della parte (come quando non dispone dell'originale dell'atto introduttivo, in quanto non ancora riconsegnato dall'ufficiale giudiziario).
La costituzione tramite una semplice copia dell'atto di appello non costituisce, in questo stadio, un vulnus al sistema e alle esigenze processuali, tale da essere così severamente considerato. Come già detto, non viene in considerazione il diritto al contraddittorio e il diritto di difesa dell'appellato, né il contatto col giudice.
L'eccezione di improcedibilità, pertanto, deve essere rigettata.
3. Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione all'eccepita nullità ed inammissibilità dell'appello per difetto di potere rappresentativo del procuratore speciale T. avv. Amedeo Parente.
Al riguardo, si osserva che risulta allegata al fascicolo di parte appellante copia della procura con cui Guglielmo Bove, in qualità di procuratore della T.I. S.p.a., ha conferito procura speciale ad Amedeo Parente (atto ai rogiti notar M. Bellezza di Milano rep. 70175 racc. 5899 del 6.3.2006), il quale, a sua volta, esercitando i poteri conferitigli, ha conferito mandato ad litem agli avv.ti Riccardo e Rosario Imperiali.
L'appellato eccepisce tuttavia l'assenza dell'atto con cui è stato nominato procuratore Guglielmo Bove, deducendo che detta mancanza impedisce di verificare la regolarità e la validità della procura speciale in atti.
Tale doglianza deve essere disattesa perché nell'atto di nomina di Amedeo Parente a procuratore della Telecom s.p.a. espressamente si legge: "si costituisce il signor Guglielmo Bove (...), il quale valendosi dei poteri conferiti con atto a mio rogito, del 4 novembre 2005 rep. 69768/5680..." in guisa che la sussistenza del potere di nomina si deve intendere ricompreso in quelli conferiti al Bove, così come accertato dal pubblico ufficiale rogante.
4. Infondata altresì la richiesta di riunione ai sensi dell'art. 274 cpc formulata da parte appellata in sede di comparsa conclusionale.
Invero, in tema di riunione il giudice è titolare di poteri discrezionali che potranno essere esercitati solo dopo aver bilanciato i valori in gioco: da una parte quello del regolare e celere svolgimento della causa c.d. attraente, e dall'altra parte quello della realizzazione del simultaneus processus che è anche lo strumento deputato alla realizzazione e dell'economia processuale e del coordinamento dei giudicati.
Ebbene nel caso di specie la richiesta riunione in sede di precisazione delle conclusioni non risponde certamente a quelle esigenze di economia processuale di trattazione unitaria di impugnazioni diverse, fermo restando che per pacifica giurisprudenza di legittimità il provvedimento di riunione lascia impregiudicata l'autonomia dei singoli giudizi anche ai fini della liquidazione delle spese processuali (Cass., 13 luglio 2006, n. 15954).
5. Nel merito, l'appello è fondato e merita accoglimento in relazione alle argomentazioni prospettate dalla società appellante.
Si ritiene, infatti, di condividere quanto sostenuto dalla società, secondo cui l'addebito è stato operato in forza delle condizioni generali di abbonamento che riproducono la previsione contenuta nell'art. 30 del D.M. n. 197 dell'8.5.1997, secondo la quale ogni spesa, imposta o tassa comunque inerente al contratto di abbonamento è a carico dell'abbonato.
Al contrario non sono condivisibili le argomentazioni del giudice di primo grado con le quale sono state accolte le difese di parte attrice in merito alla ritenuta applicabilità del disposto di cui all'art. 21 del d.p.r. n. 633/72, co. 8, secondo cui "le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo".
Scopo della norma sopra richiamata è di segnare la distinzione tra ciò che fa capo all'operazione commerciale, ed è valutabile come sua base imponibile per l'applicazione dell'imposta e della rivalsa, e ciò che pertiene alla fatturazione dell'operazione, che il legislatore ha voluto restasse estraneo sia all'applicazione dell'imposta sia alla rivalsa.
Ciò posto, le spese di spedizione non afferiscono necessariamente all'emissione della fattura né agli adempimenti e formalità previste dalla suddetta norma, poiché dette spese sono solo eventuali, non essendo prevista l'obbligatorietà della spedizione per posta della fattura una volta emessa, potendo questa essere consegnata a mani al cliente o tramite un dipendente incaricato del recapito o per "e-mail' o via fax.
Le spese postali di spedizione della fattura, che sono solo eventuali ove l'utente non si obblighi a ritirare la fattura presso gli uffici della Telecom, vengono addebitate all'utente secondo le formalità oggetto di esplicita previsione contrattuale, non rientrando detto ultimo incombente nelle formalità ed adempimenti che seguono necessariamente l'emissione della fattura, quali la redazione con gli elementi contenutistici prescritti, la sua conservazione per la durata prescritta, l'annotazione sul prescritto registro e le conseguenti dichiarazioni mensili, trimestrali ed annuali da fornire al competente ufficio IVA. Tali adempimenti fanno obbligatoriamente carico all'emittente, mentre le formalità di consegna ed il relativo costo sono lasciati alla libera determinazione delle parti, con la conseguenza che, alla luce delle norme che nella legge iva determinano la base imponibile e le esclusioni del computo della base imponibile, se le parti prevedono come forma di consegna della fattura la sua spedizione ed il costo ne è anticipato da chi la emette, il relativo rimborso non fa parte della base imponibile (cfr. Cass. 13.2.2009, n. 3532).
Né, d'altra parte, può essere invocata la disposizione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 21, seconda la quale "la fattura si ha per emessa all'atto della sua consegna o spedizione all'altra parte". Secondo l'orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. già citata), la spedizione della fattura non può essere ricondotta all'operazione di emissione, in quanto consegna o spedizione della fattura non costituiscono un segmento della fatturazione, ma il momento fino al quale e prima del quale la stessa non si può considerare compiuta.
Per i motivi suesposti, in accoglimento dell'appello proposto dalla T.I. s.p.a. ed in riforma dell'impugnata sentenza, la domanda proposta da parte attrice con l'atto introduttivo del giudizio di primo grado deve essere rigettata.
6. Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
CONDIVIDI
Commenta questo documento
Filtra per
Argomenti correlati
-
comodato gratuito vendita dell'immobile a terzi ;non opponibilita'
Letto 0 volte
-
Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 febbraio 2023, n. 3700 - Adibizione a mansioni inferiori dei collaboratori sanitari
Letto 0 volte
-
lavaggio e manutenzione indumenti dell'operatore ecologico a carico del datore di lavoro
Letto 0 volte
-
difesa avvocato libero foro agenzia entrate nullita'
[New]
Letto 0 volte
Altri 132 articoli dell'avvocato
Monica Mandico
-
Sentenza sull'art. 119 TUB.
Letto 882 volte dal 29/05/2017
-
Provvedimento di rigetto del reclamo proposto dalla banca nei confronti del correntista erroneamente segnalato in centra...
Letto 242 volte dal 17/02/2016
-
Art. 117 TUB difetto della forma scritta. Mancato accoglimento dell'ordinanza ingiunzione
Letto 261 volte dal 17/02/2016
-
Intermediazione finanziaria
Letto 179 volte dal 13/02/2016
-
Usura mutui. Interessi moratori. Estinzione anticipata
Letto 339 volte dal 13/11/2015