Discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia bensì al dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata
Commentatore
super esperto
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Cassazione civile , sez. un., 24 febbraio 2000, n. 41
L'art. 45, comma 17, d.lg. n. 80 del 1998, nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia bensì al dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata; pertanto, se la lesione del diritto del lavoratore &eg
L'art. 45, comma 17, d.lg. n. 80 del 1998, nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia bensì al dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata; pertanto, se la lesione del diritto del lavoratore &eg
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L'art. 45, comma 17, d.lg. n. 80 del 1998, nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia bensì al dato storico costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata; pertanto, se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all'epoca della sua emanazione, mentre laddove la pretesa abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve avere riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e quindi al momento di cessazione della permanenza.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. Manfredo GROSSI - Primo Presidente f.f. -Dott. Giovanni OLLA - Consigliere -Dott. Francesco CRISTARELLA ORESTANO - Consigliere -Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere -Dott. Francesco SABATINI - Consigliere -Dott. Ettore GIANNANTONIO - Consigliere -Dott. Michele VARRONE - Consigliere -Dott. Federico ROSELLI - Rel. Consigliere -Dott. Stefanomaria EVANGELISTA - Consigliere -ha pronunciato la seguente SENTENZAsul ricorso proposto da:AZIENDA SANITARIA LOCALE N. 11 DI VERCELLI, in persona del legalerappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIAPAISIELLO 55-5, presso lo studio dell'avvocato FRANCO GAETANO SCOCA,che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIAN CARLOMORETTI, giusta delega in calce al ricorso; - ricorrente - controGUAZZOTTI GIUSEPPE, MANACHINO DOMENICO, PENSOTTI DONATA, CALIMANLORETTA, RODI MARCELLO, FERRARI VINCENZINA, VIGONE RICCARDO, COLOMBOENRICO, SILVESTRI TULLIO, SALIS ALBERTO, BOSSOLA MAURILIO, DELROSSOGIORGIO, OLIVETTO LUIGI, CONTI PIER GIORGIO, TRADA MARCELLO,CAMPANELLI GIAN MARIO, BORGARELLI CARLO, PEONA CARLA, IMASSIGIANFRANCO, NEBBIA ANTONINO, PORTIGLIOTTI GIAN PIERO, APICE LUIGI,SERENO FRANCESCO, MORTEO GIOVANNA, VERCELLOTTI GIUSEPPE, FILIBERTIOLIVIERO, MAZZA STEFANO, elettivamente domiciliati in ROMA, CORSOVITTORIO EMANUELE FILIBERTO 130, presso lo studio dell'avvocatoLOREDANA PASSARETTI, rappresentati e difesi dall'avvocato PIERO OLMO,giusta delega in calce al controricorso; - controricorrenti - nonché controPOLLO MARIA CRISTINA, BELLAZZI ROSA MARIA, GARIAZZO MARCO, GUASCHINOMARIELLA, NAVAZZOTTI ROSSELLA, CANTONE ROBERTO, VARESE ANNA MARIA,GALLONE FRANCESCA, ROSSI MAURA, GRAZIOLI ORAZIO, GRAZIANO LUCIANO,CANDIANO SIRO, SICAUDO GIUSEPPE, SALIVA GIUSEPPE, BERTONE PAOLO,CORSARO FRANCESCO, MAIRINO MARIA PAOLA, VERCELLINO MARCO, BICHISAOBRUNO, COTEVINO GIOVANNI, GIORDANO GERMANO, CONTI PATRIZIA, NOJELLIPIERO; - intimati -nonché a seguito di ordinanza dibattimentale in data 1-07-1999 diintegrazione del contraddittorio nei confronti diLUIGI BEZZAN - intimato -per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudiziopendente n. 154-98 del Pretore di VERCELLI;udita la relazione della causa svolta nella pubblicaudienza del 16-12-99 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;uditi gli Avvocati Vania ROMANO, per delega dell'avvocato FrancoGAETANO SCOCA, per la ricorrentePier OLMO, per i controricorrenti;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Alberto CINQUE che ha concluso per la giurisdizione dell'autoritàgiudiziaria ordinaria.
Fatto
Con ricorso al Pretore di Vercelli depositato il 29 ottobre 1998 e notificato il successivo 9 novembre, Giuseppe Guazzotti ed altri medici dipendenti dell'Azienda sanitaria locale n. 11 di Vercelli esponevano di avere espresso, in data 31 marzo 1997, l'opzione per l'attività libero-professionale intramuraria, prevista dagli artt. 1, comma 10, l. 23 dicembre 1996 n. 662 e 4 d.l. 20 giugno 1997 n. 175, conv. in l. 7 agosto 1997 n. 272.
L'Azienda si era espressa in senso positivo con una lettera del 25 marzo 1998, nè aveva mai comunicato di aver riscontrato incompatibilità per alcuno degli optanti, ma non aveva provveduto in concreto onde detta attività potesse avere inizio, essendosi anzi limitata ad una riserva, n. 813 del 6 maggio 1997, in attesa di parere delle organizzazioni sindacali, ad un provvedimento interlocutorio, n. 942 del 21 maggio 1997, ove parlava di mancata individuazione di spazi e posti letto, e ad altro atto, n. 1133 del 17 giugno 1997, ove si deliberava di "attivare e organizzare l'attività libero professionale intramuraria" ma che non era stato portato a conoscenza dei medici interessati.
Poiché alla data di deposito del ricorso nulla in realtà era stato "realizzato, ristrutturato o riorganizzato", i ricorrenti chiedevano che il Pretore condannasse il direttore generale dell'Azienda e l'Azienda stessa, in solido, a risarcire il danno derivato dall'impossibilità di esercitare la libera professione e consistente sia nel mancato guadagno sia nella mancata realizzazione di possibilità di carriera nell'ambito del perdurante rapporto di lavoro subordinato ("mancata qualificazione a incarichi direttivi").
L'Azienda non si costituiva ma richiedeva a queste Sezioni unite il regolamento di giurisdizione.
Controricorrevano il Guazzotti e litisconsorti.
La ricorrente ha presentato memoria.
Nell'udienza del lo luglio 1999 la Corte ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti del direttore generale dell'Azienda, al quale il ricorso non era stato personalmente notificato. Eseguita la notificazione, la causa veniva discussa nell'udienza del 16 dicembre successivo.
Diritto
1. La parte convenuta, pur non costituitasi nel giudizio di primo grado, è nondimeno legittimata a chiedere il regolamento di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 cod.proc.civ. (Cass. 4 marzo 1975 n. 809, 15 gennaio 1987 n. 246). 2. Col primo motivo la ricorrente sostiene l'appartenenza della causa non al giudice ordinario bensì a quello amministrativo in sede esclusiva ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. f, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80.
La tesi non è fondata.
L'art. 29 d. lgs. cit. (nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997 n. 59), novellando l'art. 68 d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, stabilisce, per quanto qui interessa:
"Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni... Quando gli eventuali atti amministrativi presupposti! siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi".
La pretesa risarcitoria, fondata su un asserito comportamento omissivo illecito della pubblica amministrazione datrice di lavoro, ossia dell'Azienda sanitaria locale che ingiustificatamente (in tesi) ritarda l'istituzione del servizio libero-professionale intramurario, così arrecando danni economici e di carriera ai medici dipendenti già optanti, trova la sua origine (causa petendi) nel rapporto di lavoro subordinato, e perciò rientra nella previsione ora citata.
Nè il caso di specie può essere sussunto, come vorrebbe la ricorrente, sotto l'art. 33, comma 2, lett. f, dello stesso decreto legislativo, che attribuisce alla giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie "riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controverse meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in materia di invalidità".
Questa previsione concerne bensì le controversie che possano avere origine dall'attività di organizzazione del servizio (salve le eccezioni ivi elencate) ma non da quella che incida direttamente sullo status e sugli interessi patrimoniali dei lavoratori dipendenti: tale attività dev'essere conosciuta, per la ragione di specialità espressa nell'art. 29 cit., dal giudice ordinario del lavoro.
Per quanto concerne il Servizio sanitario nazionale, dunque, il capoverso dell'art. 33 attribuisce, nella lettera f, alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie con i soggetti convenzionati. ossia medici non dipendenti, strutture ospedaliere, ecc., oppure quelle tra soggetti privati (ad es. gestore convenzionato ed altro soggetto privato), con effetti rivolti alla generalità e non al singolo utente.
Al giudice del lavoro appartengono invece, ex art. 29 cit., le controversie di lavoro quand'anche presuppongano la conoscenza incidentale di atti amministrativi di organizzazione. Del resto, che atti organizzativi di un pubblico servizio (ad es. emessi da un ente pubblico economico) incidenti in via soltanto mediata su singoli rapporti di lavoro (ad es. quale presupposto di trasferimenti o di licenziamenti o di attribuzione di qualifiche) non siano sufficienti a sottrarre la causa al giudice ordinario è un principio affermato già nella giurisprudenza anteriore alla riforma attuata col d. lgs. n. 80 del 1998 (Cass. Sez. un. 6 dicembre 1994 10465, 3 ottobre 1996 n. 8632). 3. Tale devoluzione delle controversie al giudice ordinario vale per le questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998 (art. 45, comma 17, prima parte, d. lgs. cit.). La dottrina propugna un'interpretazione di questa disposizione tale da evitare la sottoposizione del diritto, affermato dal pubblico dipendente, ad un frazionamento, con dispersione della tutela processuale fra giurisdizioni diverse, e propone, quando l'asserita lesione del diritto sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, di aver riguardo - per determinare la giurisdizione - unicamente al momento della sua emanazione, che segnerebbe il momento costitutivo della pretesa giudiziale: il detto frazionamento rimarrebbe così inevitabile solo nel caso in cui il diritto soggettivo dell'impiegato nasca direttamente dallo svolgimento del rapporto (ad es. per il pagamento di lavoro straordinario prestato prima e dopo il 30 giugno 1998). Quando, invece, la causa petendi dell'azione giudiziaria esercitata dall'impiegato si fondi su una situazione di fatto permanente, quale una situazione dannosa, il criterio di economia dei giudizi, proposto dalla dottrina, ben può armonizzarsi con la sentenza 20 novembre 1999 n. 808 di queste Sezioni unite, secondo cui il citato comma 17 pone il discrimine temporale tra giurisdizioni, amministrativa e ordinaria, con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito dal verificarsi di certi fatti o di certe circostanze. Il detto criterio d'economia, aderente all'art. 24 Cost. e idoneo ad evitare il contrasto di giudicati in ordine a pretese eguali nel contenuto, seppure differenziate ratione temporis, comporta che, ove la pretesa del dipendente abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si debba aver riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente al momento di cessazione della permanenza.
Nel caso di specie, quando fu proposta la domanda, nell'ottobre 1998, l'omissione, asseritamente illegittima, della datrice di lavoro ancora permaneva, onde gli attori hanno esattamente ritenuto applicabile l'art. 29 cit. 4. Col secondo e subordinato motivo la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 d. lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui, attribuendo al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, sembra contrastare con l'art. 103, primo comma, Cost., che attribuisce ai giudici amministrativi le controversie "per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi".
A giudizio della ricorrente, tale norma costituzionale vieterebbe di attribuire al giudice ordinario la tutela degli interessi legittimi nascenti dal rapporto di pubblico impiego.
La questione è manifestamente infondata.
Per effetto della legge 23 ottobre 1992 n. 421, con cui è stata conferita delega al Governo per la riforma, tra l'altro, del pubblico impiego, questo è stato ricondotto "sotto la disciplina del diritto civile" (art. 2, comma 1, lett. a). Più in particolare, attraverso il d. lgs. n. 29 del 1993, che ha dato attuazione alla detta legge di delega, le posizioni soggettive dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono state modificate, nel senso che nei rapporti di lavoro non è dato di identificare interessi legittimi di diritto pubblico, ai quali si riferisce l'art. 103 Cost., come è dimostrato dall'applicazione del codice civile, sia pure nei limiti della specialità del rapporto e del perseguimento degli interessi generali (art. 2, comma 2, d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29); dal fatto che l'amministrazione opera coi "poteri del privato datore di lavoro", adottando tutte le misure inerenti al l'organizzazione ed alla gestione dei rapporti (art. 4, comma 2, d. lgs. ult.cit.); nonché dall'art. 68, comma 2, d. lgs. n. 80 del 1998, che parla espressamente di "diritti" dell'impiegato, coi connesso potere del giudice ordinario di emettere nei confronti delle pubbliche amministrazioni tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna.
Una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane estranea ogni connotazione autoritativamente discrezionale (così Corte cost. 16 luglio 1987 n. 268). Più precisamente, quand'anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi dall'esercizio di poteri discrezionali del l'amministrazione datrice di lavoro, la situazione soggettiva lesa dovrà qualificarsi, alla stregua delle più recenti classificazioni civilistiche, come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, all'ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907 cod.civ.
Di recente la sentenza di queste Sezioni unite n. 500 del 22 luglio 1999 ha notato come la concentrazione della tutela, operata dal d. lgs. n. 80 del 1998 attraverso la ripartizione per materie, delle posizioni soggettive lese dall'esercizio illegittimo della funzione pubblica implica la volontà di Collocare, quanto alla giurisdizione, le due posizioni soggettive poste dagli artt. 24 e 113 Cost. su un piano di pari dignità (e comunque non definite in modo immutabile sulla Carta fondamentale).
In conclusione dev'essere affermata l'appartenenza della lite alla giurisdizione ordinaria, mentre la novità della questione induce a compensare le spese.
P.Q.M
La Corte dichiara la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria e compensa le spese. Così deciso in Roma il 16 dicembre 1999
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