Condanna spese legali ed art. 152 disp.att.cpc
Sentenza Corte di Appello di Napoli
Avv. Michele Marra
di Caserta, CE
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la Corte d' Appello di Napoli, ha risolto il problema relativo alla condanna alle spese legali del ricorrente laddove non viè la sottoscrizione ,nelle conclusioni, della dichiarazione prevista dall'art 152 disp. att. cpc, affermando il principio che laddove dagli atti del processo vi è la prova del reddito prodotto ,inferiore al limite posto dall'art 152 disp.att.cpc non è possibile condannare la parte ricorrente alle spese . " Ritiene il Collegio che dalla disamina complessiva del ricorso, con particolare riferimento allo specifico richiamo nelle conclusioni del ricorso alla "dichiarazione allegata in produzione" sia consentito ritenere la conoscibilità della situazione reddituale anche dagli enti pubblici convenuti finché essi possano compiere tempestivamente ogni utile accertamento al riguardo e possano, quindi, sollecitare il giudice a richiedere la produzione della "documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto" indicato in tale dichiarazione, ai sensi di quanto disposto dall'art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, espressamente richiamato nel nuovo testo dell'art. 152."
Sent. N. 2672/09
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Napoli
Sezione lavoro
Composta dai sigg.ri Magistrati:
dott. Giuseppe DEL BENE Presidente
dott. Federico DE GREGORIO Consigliere
dott. Isabella DIANI Consigliere rel
ha pronunciato in funzione di giudice del lavoro all’udienza del 24.4.2009 la seguente
SENTENZA
nella causa d’appello civile iscritta al n. 9910/2008 R.G. sez lav vertente
TRA
G. R. rappresentato e difeso dall’avv. Sergio D’Andrea presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli via Arenaccia 67.
E
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – in persona del Presidente p.t. rappresentato e difeso dall’avv. G. T., elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Distrettuale INPS di Napoli, in via G. Ferraris n. 4
E
Ministero Economia e Finanze in persona del Ministro in carica p.t. rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura dello Stato presso cui domicilia in Napoli alla via Diaz n. 11
Appellati
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso questa Corte il 12.11.2008 G. R. ha proposto appello parziale contro la sentenza emessa il 7.10.2008 dal Giudice del lavoro presso il Tribunale di Napoli che, nel respingere la domanda di riconoscimento di indennità di accompagnamento aveva condannato il ricorrente a pagare all’INPS le spese del giudizio liquidate in € 700,00 oltre IVA e CPA ed alle spese di consulenza tecnica.
L’appellante ha impugnato unicamente il capo della sentenza contenente la condanna alle spese, sostenendo di aver adempiuto a quanto prescritto dall’art. 42, comma 11°, del d.l. n. 269/03.
Si è costituito l’INPS, resistendo al gravame.
Non si è invece costituito il Ministero dell’Economia e Finanze.
All’udienza odierna la Corte ha deciso come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione l’appellante sostiene che la condanna alle spese è ingiusta, perché erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto non assolto l’onere di cui all’art. 42 comma 11 d.l. 269/03, dal momento che la dichiarazione di soccombenza risulta non solo da apposita sottoscrizione autografa resa dal ricorrente ed inserita nella produzione di parte depositata in 1° grado, ma è stata altresì idoneamente inclusa anche nelle conclusioni del ricorso introduttivo, tale dovendosi intendere l’espressione contenuta al Punto 5 delle conclusioni che integralmente si riporta: “manlevare parte ricorrente, nella denegata ipotesi di non accoglimento della domanda, dall’eventuale condanna al pagamento delle spese processuali, in considerazione della posizione reddituale di cui alla deduzione in premessa, nonché dalla dichiarazione allegata in produzione”.
L’appello è fondato.
Nella fattispecie trova applicazione il nuovo testo dell’art. 152 disp. att. c.p.c., così come sostituito dall’art. 42 del d.l. n.269/2003, conv. in l. 326/2003, trattandosi di controversia proposta dopo l’entrata in vigore della nuova norma la cui nuova formulazione è la seguente: “Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3 , e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L’interessato che, con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostituiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo no sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatisi nell’anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 79 e l’articolo 88 del citato testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”.
Dal tenore letterale della norma si evince che la fruizione del beneficio della deroga al criterio della soccombenza è subordinata, innanzitutto, al possesso di un requisito sostanziale, ovverosia la titolarità di un reddito imponibile al limite ivi indicato.
Tale requisito deve sussistere con riferimento all’anno “precedente a quello della pronuncia” che definisce il giudizio, e non all’anno che precede la insaturazione del giudizio: il che significa che deve tenersi conto, ai fini dell’esonero della soccombenza, delle variazioni reddituali – in aumento o in diminuzione – che eventualmente intervengano rispetto al momento di inizio della controversia, come è confermato dalla espressa previsione, contenuta nel successivo periodo dell’art. 152, dell’obbligo di comunicare nelle more del giudizio “le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”.
Circa il contenuto della dichiarazione in parola ed i redditi cui essa deve fare riferimento, appare opportuno sottolineare che, atteso il richiamo all’art. 76, commi da 1 a 3, i redditi che rilevano sono costituiti non solo da quelli personali della parte ricorrente ma anche da quelli del coniuge e di tutti gli altri familiari conviventi, dovendosi tenere conto anche “dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta delle persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”.
Poiché la dichiarazione in questione è una dichiarazione sostitutiva di certificazione ed è da ritenere soggetta alle medesime conseguenze penali previste dall’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 per le analoghe dichiarazioni rese al fine di beneficiare del patrocinio a spese dello stato che risultino false o omissive, ulteriore requisito di validità della stessa deve essere ravvisato, ad avviso del Collegio, nella sottoscrizione personale della parte, che è l’unica a potersi assumere la responsabilità della veridicità e completezza di quanto in essa affermato.
Come sottolineato dalla Suprema Corte, l’art. 42, comma 11, della legge n. 326 del 2003 contiene “una disposizione eccezionale in materia di spese processuali nei processi della previdenza e dell’assistenza sociale”, in quanto essa consente di attribuire alla autocertificazione ivi prevista valore di prova per il fine specifico per cui essa è formulata, che tuttavia non vale quando alla prova dei requisiti reddituali necessari per le prestazioni previdenziali, per i quali vale il principio secondo cui “l’autocertificazione non è idonea a sostituire la prova nel giudizio civile” (v. Cass., 3/5/06 n. 10203).
Dal tenore letterale della norma si evince che la fruizione del beneficio della deroga al criterio della soccombenza è subordinata alla formulazione della dichiarazione in ordine ai redditi IRPEF posseduti nell’anno precedente nelle conclusioni nell’atto introduttivo.
Pur se la lettera della norma parla di dichiarazione contenuta nelle conclusioni ritiene il Collegio che nel caso di specie per le modalità con cui è stata formulata la richiesta sussista il requisito sostanziale per il fine specifico richiesto dalla legge.
Infatti si è in presenza di un atto complesso il cui contenuto dichiarativo viene ad estrinsecarsi in più parti ma pur sempre unificate dal vincolo della contestualità.
Invero nel corpo del ricorso vi è il contenuto della dichiarazione laddove si legge “che l’istante nell’anno precedente al deposito del ricorso giudiziario ha dichiarato di avere un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito non superiore ad € 18.952,44 così come previsto dall’art. 76 del d.lgs n. 113 del 30.5.2002 richiamato dall’art. 11 del ddl collegato alla legge finanziaria 2004 e si impegna a dichiarare con ulteriore atto notorio le eventuali variazioni del reddito in questione al momento della decisione della causa”.
Nelle conclusioni è specificata la richiesta di “manlevare parte ricorrente, nella denegata ipotesi di non accoglimento della domanda, dall’eventuale condanna al pagamento delle spese processuali, in considerazione della posizione reddituale di cui alla deduzione in premessa, nonché dalla dichiarazione allegata in produzione”.
La fattispecie viene a completarsi con la dichiarazione sostitutiva di atto notorio in data 12.9.2006, già contenuta nel corpo del ricorso, ma qui estesa al reddito dell’intero nucleo familiare e debitamente sottoscritta dal ricorrente la cui firma è stata autenticata, previa identificazione a mezzo di idoneo documento, dal funzionario incaricato del Comune di Qualiano.
Tale documentazione è stata prodotta contestualmente al deposito del ricorso introduttivo.
Ritiene il Collegio che dalla disamina complessiva del ricorso, con particolare riferimento allo specifico richiamo nelle conclusioni del ricorso alla “dichiarazione allegata in produzione” sia consentito ritenere la conoscibilità della situazione reddituale anche dagli enti pubblici convenuti finché essi possano compiere tempestivamente ogni utile accertamento al riguardo e possano, quindi, sollecitare il giudice a richiedere la produzione della “documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto” indicato in tale dichiarazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, espressamente richiamato nel nuovo testo dell’art. 152.
L’appellante può dunque utilmente invocare, sul piano sostanziale, il possesso del requisito di reddito in presenza del quale l’art. 152 disp. att. prevede che “la parte soccombente (…) non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari”, avendone fornito idonea prova e, pertanto, in accoglimento dell’appello la sentenza di primo grado va riformata nel senso che lo stesso non è tenuto al pagamento delle spese del giudizio di primo grado e di Ctu che rimangono a carico dell’INPS.
Attesa la novità e particolarità della questione sottoposta all’esame della Corte, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti costituite le spese del grado.
P.Q.M.
La Corte d’Appello così provvede:
a) Accoglie l’appello ed in parziale riforma dell’impugnata sentenza dichiara l’appellante non tenuto al pagamento delle spese di primo grado e delle spese di Ctu;
b) Pone a carico dell’INPS le spese di Ctu;
c) Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Napoli 24.4.2009
Il Consigliere est. Il Presidente
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