La fattispecie qui in esame è, invece, diversa: a parte la differenza di contesto, essa delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, il carattere dell’obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega. Né varrebbe addurre che l’ordinamento conosce varie procedure obbligatorie di conciliazione, trattandosi di procedimenti specifici, per singoli settori, in relazione ai quali nessun rapporto di derivazione è configurabile in riferimento all’istituto in esame. Infine, quanto alla finalità ispiratrice del detto istituto, consistente nell’esigenza di individuare misure alternative per la definizione delle controversie civili e commerciali, anche al fine di ridurre il contenzioso gravante sui giudici professionali, va rilevato che il carattere obbligatorio della mediazione non è intrinseco alla sua ratio, come agevolmente si desume dalla previsione di altri moduli procedimentali (facoltativi o disposti su invito del giudice), del pari ritenuti idonei a perseguire effetti deflattivi e quindi volti a semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia. In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. La declaratoria deve essere estesa all’intero comma 1, perché gli ultimi tre periodi sono strettamente collegati a quelli precedenti (oggetto delle censure), sicché resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi. Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e quindi in via consequenziale alla decisione adottata, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2010, limitatamente al secondo periodo («L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale») e al sesto periodo, limitatamente alla frase «se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1»; b) dell’art. 5, comma 2, primo periodo, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e», c) dell’art. 5, comma 4, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «I commi 1 e» ; d) dell’art. 5, comma 5, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e»; e) dell’art. 6, comma 2, del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo cinque,»; f) dell’art. 7 del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1»; g) dello stesso articolo 7 nella parte in cui usa il verbo «computano», anziché «computa»; h) dell’art. 8, comma 5, del detto decreto legislativo; i) dell’art. 11, comma 1, del detto decreto legislativo, limitatamente al periodo «Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13»; l) dell’intero art. 13 del detto decreto legislativo, escluso il periodo «resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile»; m) dell’art. 17, comma 4, lettera d), del detto decreto legislativo; n) dell’art. 17, comma 5, del detto decreto legislativo; o) dell’art. 24 del detto decreto legislativo.