Non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita. E' quanto ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con la sentenza 17 luglio 2014 nella quale vengono confermate le conclusioni 10 aprile 2014 dell'avvocato generale Nils Wahl. L'articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, intende facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica e gli Stati Membri (nel caso specifico l'Italia) non possono dunque rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l'iscrizione all'albo degli avvocati.