Massima: in tema di responsabilità per i reati colposi vale il principio di affidamento in forza del quale ciascuno risponde delle conseguenze della propria condotta, commissiva od omissiva, e nell'ambito delle conoscenze e specializzazioni, mentre non risponde dell'eventuale violazione di regole cautelari da parte di terzi. L'affidamento, tuttavia, trova un limite di operatività nel caso in cui il sanitario percepisca (o avrebbe dovuto percepire) la violazione di regole cautelari da parte di altri partecipi alla medesima attività o se, comunque, si trova in una situazione in cui diviene prevedibile l'altrui inosservanza di regole cautelari.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. IACOPINO Silvana Giovan - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) R.A. N. IL (OMISSIS);
2) G.F. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 14/12/2007 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.
PICCIALLI Patrizia;
Udito il Procuratore Generale in persona del sost. proc. gen. Dott.
CEDRANGOLO Oscar che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per
intervenuta prescrizione e conferma delle statuizioni civili;
udito, per la parte civile, l'avv. RUSSI Giuseppe del Foro di Milano
che chiede la conferma della sentenza impugnata;
udito il difensore avv. CACCIUTTOLO Manuela del Foro di Milano per
R.A. e l'avv. BRASA Mario del medesimo Foro, che concludono
per l'annullamento della sentenza impugnata.
FATTO E DIRITTO
La Corte di Appello di Milano con la sentenza impugnata confermava, per quanto qui rileva, la sentenza del giudice di primo grado nella parte che aveva dichiarato R.A. e G.F. colpevoli del reato di lesioni colpose gravi in danno di Ro.
A. (fatto avvenuto in (OMISSIS)).
La Dott.ssa R. ed il Dott. G. erano stati chiamati a rispondere del reato in questione in qualità di medici, addetti presso la Casa di Cura (OMISSIS), che, rispettivamente quale medico anestesista e medico chirurgo, avevano avuto in cura il paziente nella fase post operatoria a seguito dell'intervento di rimozione dell'ernia iatale.
A carico dei prevenuti, con il conforto degli esiti delle consulenze medico - legali, era stata formulata l'originaria imputazione individuando tre profili di colpa:la scelta di ricorrere, nella fase pre - operatoria, alla rimozione dell'ernia iatale, mediante un intervento di tipo laparoscopico, anzichè laparatomia); l'avere cagionato, nella fase operatoria, lesioni perforanti all'esofago; non avere correttamente diagnosticato la fistolizzazione in mediastino (ossia un versamento pleurico bilaterale dovuto ad una lacerazione della parete esofagea), verificatasi successivamente all'intervento, nella fase post - operatoria.
La sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello, aveva escluso qualsiasi profilo di responsabilità, sia in relazione alla scelta dell'intervento di tipo laparoscopico sia in ordine alle lesioni esofagee verificatesi nel corso dell'intervento, ed aveva individuato quale profilo di colpa esclusivamente quello afferente la fase post - operatoria, a far data dal (OMISSIS) perchè "nei primi giorni dopo l'intervento la diagnosi poteva non essere facile ed era corretto vagliare altre possibili cause della sintomatologia presentata, tra cui quella cardiaca", apparendo chiaro il quadro clinico solo da quella data. Il giudice di appello riteneva, pertanto, che i due sanitari rispondessero di una parte del prolungamento della malattia e del pericolo di vita del Ro.
"non tanto per le sue condizioni cliniche, ma soprattutto perchè egli visse sino al (OMISSIS) tali condizioni in un ambiente del tutto inadeguato a fronteggiarla, senza che venissero approntati atti diagnostici e, di conseguenza, atti terapeutici precisi ed anche perchè la mediastite che ne derivò, allorchè venne diagnosticata dopo oltre cinque giorni dall'esordio, era ormai gravata da una prognosi infausta con mortalità pressochè del 100%".
Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati.
Nell'interesse della Dott.ssa R. vengono proposti due distinti ricorsi. Con il primo, a firma dell'avv. CACCIUTTOLO, si censura come erronea e gravemente carente la motivazione della sentenza di condanna, sia sotto il profilo della ricostruzione del nesso eziologico, sia sotto quello dell'accertamento della colpa.
Si prospetta, in proposito, il travisamento del fatto e l'adozione di soluzioni differenti per posizioni identiche evidenziando come la condotta della Dott.ssa R., medico anestesista, subordinato all'altro medico, responsabile del reparto, il quale era stato assolto, fosse esente da colpa e fosse inapplicabile l'ipotesi di cui all'art. 113 c.p..
Sotto tale profilo, dopo aver messo in evidenza i compiti spettanti all'anestesista, si sottolinea che nessun profilo di colpa era stato individuato con riferimento al trattamento anestesiologico sia durante l'intervento che nella immediatezza dello stesso, quando era stata verificata nelle ore successive l'avvenuta metabolizzazione di tutti i farmaci impiegati per l'anestesia. La complicanza in cui era incorso il Ro. era una conseguenza diretta dell'insuccesso della riparazione esofagea iatrogena, eseguita dal chirurgo nel corso dell'intervento e non era connessa ad una non corretta esecuzione dell'anestesia.
Si censura la sentenza anche nella parte in cui aveva ritenuto sussistente l'ipotesi della responsabilità medica di equipe, così disattendendo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, che pone a presupposto di tale ipotesi la possibilità per il medico, nel valutare le attività degli altri componenti l'equipe, di porre rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e come tali rilevabili ed emendabili con il sussidio di conoscenze scientifiche del professionista medio.
Nel caso concreto si sostiene che il problema scaturito nel post operatorio (ben cinque giorni dopo l'intervento chirurgico) fosse specifico, settoriale e non conoscibile da un professionista medio, essendo di competenza propria ed esclusiva del medico chirurgo che aveva eseguito l'intervento. In particolare, la complicanza di tipo perforativo esofageo che aveva determinato pneumediastino, mediastinite, idropneumatorace e shock, non poteva essere considerata un errore diagnostico evidente, conoscibile ad un professionista medio, pertanto un anestesista poteva non essere in grado di diagnosticare tempestivamente la predetta complicanza. Esulavano, pertanto, dalla fattispecie i requisiti della cooperazione colposa ex art. 113 c.p. contestata alla ricorrente, alla quale non poteva essere richiesto di porre rimedio all'errore del chirurgo, peraltro, non evidente e strettamente inerente alla patologia trattata, soprattutto tenuto conto che la condotta tenuta dagli specialisti nel caso in esame era stata caratterizzata da plurimi accertamenti, ivi descritti, cosi che nessun dubbio poteva sorgere sulla non corretta condotta tenuta dai medesimi.
Sotto tale profilo, si afferma che nessuna valida critica poteva essere posta nei confronti anche degli altri sanitari del (OMISSIS), anche alla luce delle conclusioni espresse dal consulente nominato dal Tribunale, il quale, dopo aver dato atto che nei primi giorni dopo l'intervento la diagnosi poteva essere non facile ed era corretto vagliare altre possibili cause della sintomatologia presentata, tra cui quella cardiaca, aveva dato atto che solo dal (OMISSIS) il quadro clinico era chiaro e la diagnosi doveva assolutamente essere posta. Siffatta conclusione trovava conferma nei dati emergenti dalla cartella clinica secondo la quale i primi dolori al torace vennero lamentati solo alle ore 17 del (OMISSIS) ed immediatamente vennero espletati gli opportuni accertamenti (TAC e RX al torace, somministrazione di blue di metilene) con la corretta diagnosi di deiscenza della sutura esofagea gastrica non appena tecnicamente possibile e cioè il giorno 14 novembre ed il conseguente trasferimento del paziente in terapia intensiva e ricerca di un ospedale munito di reparto di chirurgia toracica. Nessuna sottovalutazione dei sintomi della diagnosi era pertanto imputabile ai sanitari del (OMISSIS) anche considerato che i sanitari dell'ospedale ove venne ricoverato il Ro. attesero 5 ore prima di effettuare il drenaggio e 29 ore prima di intervenire chirurgicamente.
La sentenza viene censurata anche sotto il profilo del ritenuto nesso di causalità, che si assume insussistente.
In tal senso si richiama la motivazione della sentenza impugnata che a pag. 30 nel riportare le conclusioni del perito nominato dal Tribunale secondo le quali, ipotizzando una diagnosi più tempestiva ed un minore ritardo nell'apposizione del drenaggio pleurico le condizioni del paziente non sarebbero state comunque diverse, aveva affermato che non erano conseguentemente ravvisabili profili di responsabilità a carico dei sanitari del (OMISSIS) per le conseguenze invalidanti perchè in tal senso era stato raggiunto solo un giudizio di probabilità rispetto ad una diagnosi più tempestiva che avrebbe comportato la possibilità di un intervento più conservativo.
Anche nel caso di una pronta e tempestiva diagnosi, il medico avrebbe dovuto ricorrere ad un nuovo intervento chirurgico, giacchè, come emergeva dalle conclusioni concordi di tutti i periti, in caso di lesione esofagea l'intervento ideale (costituito dalla sutura diretta della discontinuità esofagea con punti riassorbibili) è possibile solo qualora la diagnosi venga posta entro le 24 - 36 ore dal verificarsi dell'intervento.
In ogni caso le lesioni di cui era rimasta vittima la parte offesa (disformismo del tratto prossimale, cervicale dell'esofago) erano riconducibili all'intervento praticato presso l'altro Ospedale e difetterebbe la prova che in caso di pronta e tempestiva diagnosi tali lesioni non si sarebbero verificate ovvero si sarebbero manifestate in modo meno intenso. Con lo stesso motivo la ricorrente lamenta la violazione della normativa in tema di valutazione della prova, sostenendo che la decisione era fondata su indizi scollegati privi dei requisiti prescritti dall'art. 192 c.p.p..
Con il secondo motivo si rileva l'erronea conversione della pena da parte del giudice di appello, che, in violazione della L. n. 689 del 1981, art. 53, secondo il quale un giorno di carcere corrisponde ad Euro 38,00 di pena pecuniaria, aveva convertito i 20 giorni di reclusione in Euro 1.000,00.
Con il terzo motivo e quarto motivo lamenta che il giudice di appello, avendo esclusa l'aggravante e ridotta la pena, non aveva però indicato la pena base nè l'eventuale diminuzione del beneficio di cui all'art. 62 bis c.p..
Inoltre, sempre con riferimento al trattamento sanzionatorio, censura la sentenza che in ogni caso non avrebbe sufficientemente tenuto conto degli elementi di cui all'art. 133 c.p..
Con il secondo ricorso, presentato dall'avv. Bruno M. Giordano, viene proposto un unico e articolato motivo con il quale si denuncia la carenza della motivazione in ordine alla pretesa sussistenza del nesso di causalità tra l'asserita omissione di tempestiva diagnosi della complicazione esofagea e l'evento lesivo.
In tal senso si richiama la motivazione della sentenza impugnata che a pag. 30 nel riportare le conclusioni del perito nominato dal Tribunale secondo le quali, ipotizzando una diagnosi più tempestiva ed un minore ritardo nell'apposizione del drenaggio pleurico le condizioni del paziente non sarebbero state comunque diverse, aveva affermato che non erano conseguentemente ravvisabili profili di responsabilità a carico dei sanitari del (OMISSIS) per le conseguenze invalidanti perchè in tal senso era stato raggiunto solo un giudizio di probabilità rispetto ad una diagnosi più tempestiva che avrebbe comportato la possibilità di un intervento più conservativo.
L'affermazione di responsabilità dei medici R. e G. si pone, pertanto, in contraddizione con tale affermazione, la cui logica conseguenza avrebbe dovuto essere l'assoluzione di tutti i sanitari dell'Ospedale (OMISSIS).
In particolare, l'affermazione di responsabilità della Dott.ssa R., medico anestesista, è contraddittoria rispetto all'assoluzione pronunciata dalla stessa sentenza nei confronti dell'altro anestesista, del quale la Corte di merito ha escluso ogni profilo di colpa sulla base della considerazione che lo stesso, dopo l'operazione svoltasi regolarmente ed avere esaurito il suo compito primario fino al (OMISSIS), si era legittimamente disinteressato della vicenda. Nel dichiarare la penale responsabilità della Dott.ssa R. i giudici di merito non avevano tenuto conto del diverso ruolo e funzione dell'anestesista negli ospedali, fissato dalla L. n. 653 del 1954, rispetto a quello svolto dal chirurgo, il quale solo era tenuto a svolgere quella attività diagnostica la cui omissione è stata censurata penalmente.
Si denuncia la contraddittorietà della sentenza laddove nelle conclusioni esclude l'aggravante contestata del permanente indebolimento dell'organo della digestione e nella motivazione afferma che dal ritardo diagnostico sono conseguiti per il paziente pericolo di vita e prolungamento della malattia ed invalidità permanente e temporanea.
Nell'interesse del Dott. G., l'avv. BRASA propone un unico ricorso con il quale articola cinque motivi.
Con il primo motivo lamenta la mancata identificazione delle regole di cautela che non sarebbero stata osservate dal sanitario. Censura, in particolare, la valutazione della Corte di merito che aveva individuato la condotta colposa del G. nella tardiva diagnosi del versamento pleurico con il conseguente ritardo terapeutico.
Quanto al ritardo diagnostico si sostiene che il comportamento del sanitario ben lungi dal presentarsi acritico ed incongruo, come definito dai giudici di appello, era stato immediatamente improntato ad individuare eventuali problemi di natura cardiovascolare della persona offesa a fronte di segni clinici che fino al (OMISSIS) non erano manifesti e significativi con certezza di lesione esofageo.
Nessuna sottovalutazione della sintomatologia - si sostiene- può essere imputata al Dott. G. ed alla sua equipe che in data (OMISSIS) sottopose il .Rossattini a.u.r.t.
i.u.v.p.a.l.d.q.e.s.
f.l.d.d.l.e.c.n.v.
p.c.d.p.d.b.d.m.a.q.f.
s.i.g.s.i.g.
I.a.i.l.d.
t.(.n.e.a.
(OMISSIS)San Camillo (OMISSIS) era un dato smentito dai periti e dal giudice di primo grado, che avevano riconosciuto che la situazione problematica era sorta tra il pomeriggio del (OMISSIS), in cui si era resa manifesta la complicanza della mediastinite, e la mattina del (OMISSIS). Gli stessi periti, in sede di audizione dibattimentale avevano riconosciuto la correttezza della impostazione terapeutica seguita, indirizzata in primo luogo verso controlli diretti ad escludere una patologia di tipo cardiovascolare.
Con il terzo motivo si lamenta la carenza di motivazione e la violazione di legge con riferimento alla contestazione dell'aggravante del pericolo di vita di cui all'art. 583 c.p., comma 1, n. 1. In proposito si osserva che il giudizio sul pericolo di vita è un giudizio diagnostico attuale, che deve tener conto di quelle che in concreto sono state le conseguenze della lesione sulle condizioni vitali dell'organismo e non un giudizio prognostico potenziale, formulabile in via astratta, desunto da possibili o prevedibili complicazioni future. L'espressione adottata dai periti, secondo i quali "si poteva ragionevolmente disperare per la sopravvivenza" non era sufficiente a fondare tale giudizio, essendo necessario un accertamento specifico delle fondamentali funzioni organiche del soggetto per poter sostenere la sussistenza o meno del pericolo di vita di cui all'art. 583 c.p.. Si censura, poi, la sentenza impugnata che, riportando integralmente quanto sostenuto dai periti nell'elaborato peritale, aveva affermato che il pericolo di vita si sarebbe concretizzato per effetto della insufficienza multi organo da shock settico con necessità di supporto farmacologico per il sostegno delle funzioni vitali e coma farmacologico con la necessità di supporto esterno per tutte le funzioni vitali.
Siffatta conclusione non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni difensive contenute nei motivi di appello con le quali si esponevano le dichiarazioni rese in proposito dai periti nel corso dell'audizione dibattimentale all'esito del controesame da parte del consulente della difesa.
Da tale deposizione emergeva che sia in relazione alla funzione neurologica sìa a quella respiratoria cardiocircolatoria era da escludere la configurabilità del pericolo di vita.
Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge con riferimento al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.: una volta esclusa l'aggravante delle conseguenze invalidanti ex art. 583 c.p., comma 1, n. 2, in forza delle quali il Tribunale aveva espresso un giudizio di equivalenza, la Corte di appello avrebbe dovuto procedere ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p..
Con il quinto motivo si duole della violazione di legge e della carenza di motivazione con riferimento al giudizio espresso in merito alla concessa provvisionale, della quale con i motivi di appello era stata sottolineata l'esorbitanza rispetto a quanto emerso dall'istruttoria dibattimentale di primo grado che, ridimensionando l'impostazione accusatoria, aveva individuato quale profilo di colpa la ritardata diagnosi della fistolizzazione e la mancata adozione di misure opportune.
Va preliminarmente evidenziato che il reato è prescritto e ciò indubbiamente determina effetti di rilievo ai fini delle determinazioni che questa Corte ritiene di dovere assumere, diverse per i due ricorrenti.
In presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione), la formula di proscioglimento nel merito (art. 129 c.p., comma 2) può essere adottata solo quando dagli atti risulti "evidente" la prova dell'innocenza dell'imputato, sicchè la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di "constatazione" che di "apprezzamento", e non invece nel caso di insufficienza o contraddittorietà della prova di responsabilità (art. 530 c.p.p., comma 2).
Or bene, relativamente alla posizione della Dott.ssa R., deve pervenirsi ad un annullamento senza rinvio per non aver la medesima commesso il fatto, risultando l'estraneità all'addebito in tutta evidenza dalla lettura della motivazione della sentenza gravata che risulta, sul punto dell'affermazione della responsabilità, gravemente carente ed illogica.
In effetti, la sentenza gravata risulta avere trascurato di considerare i principi fondamentali che presiedono la responsabilità di equipe, allorquando l'addebito sia formulato nei confronti di un sanitario che, come l'anestesista, svolge un ruolo peculiare prima e durante lo svolgimento dell'intervento chirurgico, ma non è immediatamente coinvolto nel decorso post operatorio se non ne è espressamente richiesto l'intervento o se tale intervento non è imposto da particolari condizioni del paziente.
Ebbene, in tema di responsabilità per i reati colposi, vale il "principio di affidamento", che è coerente applicazione del principio di personalità della responsabilità penale, in forza del quale ciascuno risponde delle conseguenze della propria condotta, commissiva od omissiva, e nell'ambito delle proprie conoscenze e specializzazioni, mentre non risponde, invece, dell'eventuale violazione delle regole cautelari da parte di terzi. Peraltro, il principio di affidamento non è di automatica applicazione quando esistano altri partecipi della medesima attività o che agiscano nello stesso ambito di attività o nel medesimo contesto. In questi casi tra cui rileva, appunto, quello dell'equipe sanitaria, si pone il problema dell'influenza della condotta colposa del terzo su quella dell'agente, che va risolto secondo la regola per cui l'agente ha l'obbligo di attivarsi, se ha la percezione (o dovrebbe averla) della violazione delle regole da parte degli altri partecipi nella medesima attività per esempio, un'operazione chirurgica svolta in equipe o se, comunque, si trova in una situazione in cui diviene prevedibile l'altrui inosservanza delle regole cautelari (che deve, quindi, avere caratteristiche di riconoscibilità).
Qui, come detto, non è dato rinvenire, nella sentenza gravata, nè, per vero, neppure dalla sentenza di primo grado, invocabile per integrare gli argomenti della conforme statuizione del secondo giudice, lo specifico ruolo colpevole e colpevolmente svolto dall'anestesista, rispetto ad una situazione fattuale in cui il profilo dell'addebito è stato tra l'altro circoscritto ad uno specifico spazio temporale del decorso post operatorio in cui la posizione di garanzia veniva individuata in via principale a carico dell'altro imputato, il qui ricorrente Dott. G., in ragione del suo ruolo di medico chirurgo.
Nè risultano indicate le specifiche circostanze che avrebbero imposto o dovuto imporre l'intervento dell'anestesista, sì da potere estendere alla medesima la posizione di garanzia e, quindi, conseguentemente, l'addebito colposo omissivo in contestazione.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio nei confronti della Dott.ssa R..
Diversa determinazione deve assumersi con riguardo alla posizione del Dott. G., medico chirurgo che ha sempre seguito il paziente.
Rispetto a tale posizione non si può negare che la sentenza gravata abbia sviluppato un ragionamento, certamente non illogico, a supporto dell'affermazione della responsabilità, attraverso una analisi stavolta corretta non come per l'anestesista circa il ruolo svolto durante il decorso post operatorio e circa le sottovalutazioni colpevoli che avevano determinato la condizioni patologica di cui in contestazione. A tale ricostruzione, in astratto, potrebbe opporsene altra di segno opposto, altrettanto logica, ma si finirebbe in tal modo nel trasferire in questa sede valutazioni proprie del giudizio di merito.
Ed allora, valgono anche qui i già richiamati principi in tema di provvedimenti adottabili dal giudice di legittimità in presenza di un'accertata causa estintiva del reato.
Va quindi ricordato che la declaratoria di estinzione del reato, a fronte della pronuncia di condanna in primo e secondo grado, non esime il giudice dell'impugnazione,in ossequio al disposto dell'art. 578 c.p.p. dal decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili e, per tale decisione, è necessario ovviamente esaminare e valutare i motivi della impugnazione proposta dall'imputato (in tal senso, ex plurimis, Sez. 4°, 22 gennaio 2006, Pedone ed altri).
In senso assolutamente conforme, la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che in presenza di una causa estintiva del reato (come, nella specie, la prescrizione), il giudice deve pronunciare l'assoluzione nel merito solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale o la non commissione da parte dell'imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile, tanto che la valutazione da compiere in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". Ciò in quanto il concetto di "evidenza", richiesto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così palese da rendere superflua ogni dimostrazione, concretandosi in una pronuncia liberatoria sottratta ad un particolare impegno motivazionale.
In altri termini, in presenza di una causa estintiva, il proscioglimento nel merito, a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, si impone solo quando sussista l'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato, alla quale è equiparata la mancanza totale della prova di responsabilità; mentre non trova applicazione allorquando sussistano le condizioni per il proscioglimento ex art. 530 c.p.p., comma 2, giacchè in tal caso non sussisterebbe il criterio dell'"evidenza" della prova richiesto nell'art. 129 c.p.p..
In questa prospettiva, nel caso in esame, l'evidenza dell'innocenza non è affatto apprezzabile relativamente ad un motivazione che, pur in modo sintetico ma in tal senso va integrata con quella della decisione di primo grado, ha ritenuto di evidenziare l'incongruità dell'approccio terapeutico nella fase post operatoria in relazione al ritardo nell' apprezzamento del versamento pleurico, con il conseguente ritardo terapeutico della complicanza dell'intervento chirurgico eseguito, la cui prevedibilità non è stata posta in discussione dalle consulenze in atti. E' una ricostruzione qui certo incensurabile, sia con riferimento alla individuazione della norma cautelare violata sia con riferimento alla sussistenza del nesso eziologico tra la condotta colposa e l'evento, inevitabilmente conducente all'applicazione della causa estintiva.
Le contestazioni contenute nel ricorso sulla ricostruzione della "colpa" del prevenuto nell'approccio terapeutico alla complicanza insorta nel paziente e sulla efficienza causale del ritardo diagnostico non possono qui essere prese in considerazione in quanto propongono, solo una diversa lettura del compendio probatorio e si sostanziano nel sindacato di merito sulla valutazione dei mezzi di prova che non può qui essere censurato a fronte di una motivazione non manifestamente illogica che regge il vaglio di legittimità.
Infatti, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità, giacchè, con riferimento al sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla questione proposta con il terzo motivo afferente la ritenuta sussistenza dell'aggravante del pericolo di vita di cui all'art. 583 c.p., comma 1, n. 1, logicamente fondata dai giudici di merito sulla conclusioni adottate dai periti, in questa sede non rivisitabili, a fronte di un'argomentazione adeguata che ha valorizzato la negativa concatenazione degli eventi innescata dal fallito intervento del (OMISSIS) e la prognosi infausta con mortalità pressochè del 100% conseguente al ritardo nella diagnosi della mediastite.
Infondata è anche la censura afferente il trattamento sanzionatorio, contenuta nel quarto motivo, con riferimento alla mancata concessione con giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, che, peraltro,non risulta essere stata proposta con i motivi di appello. Per quanto qui rileva (il motivo è, di fatto assorbito, dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione), la determinazione è, comunque, incensurabile, giacchè il giudicante ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado, in modo non arbitrario e facendo esercizio del proprio potere discrezionale ha proceduto ad una riduzione della pena inflitta dal giudice di primo grado.
Inaccoglibile, infine, è la doglianza in ordine alla provvisionale, rectius in ordine alla richiesta di ridimensionamento della provvisionale, proposta con il quinto motivo.
Sul punto vale il rilievo che la condanna al pagamento di una provvisionale costituisce un provvedimento di natura parziale e provvisoria, che anticipa in sede penale la valutazione definitiva della sussistenza del danno e non fa stato per sua natura nel processo civile di liquidazione, nè è impugnabile per cassazione, in quanto la sua efficacia è destinata a cessare con la pronuncia della sentenza definitiva che, decidendo il ricorso per cassazione anche con riferimento alle statuizioni sul risarcimento del danno, chiude definitivamente il processo (Sezione 4°, 11 aprile 2007, Morami).
In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti della Dott. R. per non aver commesso il fatto e, per intervenuta prescrizione, nei confronti del Dott. G., con la conseguente conferma delle statuizioni civili nei confronti di quest'ultimo e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la senza impugnata senza rinvio nei confronti di R. A. per non avere commesso il fatto; annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di G.F. per essere il reato estinto per prescrizione; rigetta il relativo ricorso in ordine alle statuizioni civili; condanna G.F. a rinfondere le spese alla parte civile che liquida in Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2009