La sentenza analizza le conseguenze derivanti dall’innovazione introdotta con l’art. 3 della legge 8 novembre 2012, n. 189. Secondo tale disposizione, l’esercente una professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida ed a buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Tale disciplina opera una valorizzazione delle linee guida e delle buone pratiche terapeutiche. Esse non danno luogo a norme propriamente cautelari, sia per la loro varietà ed il loro diverso grado di qualificazione, sia per la loro natura di strumenti di indirizzo ed orientamento, privi della prescrittività propria della regola cautelare. Comunque, esse evitano un grave rischio, proprio dei reati colposi, cioè il fatto che si invertano i rapporti fra individuazione della regola cautelare e riscontro della sua violazione. Infatti, solo attraverso la scienza e la tecnologia, che individuano le linee guida e le pratiche terapeutiche, il giudice, consumatore e non produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, può rinvenire la fonte precostituita alla stregua della quale articolare il giudizio di responsabilità. Dunque, il sapere scientifico e le strategie tecniche svolgono un importante ruolo nel garantire legalità, imparzialità e prevedibilità delle valutazioni giuridiche. Tuttavia, occorre sempre vagliare l’attendibilità delle linee guida ed, in particolare, la rigorosità e l’oggettività delle ricerche, nonché il grado di consenso raccolto nella comunità scientifica. Poiché il giudice di merito non dispone delle conoscenze per svolgere tale indagine, diventa fondamentale il ruolo dei consulenti. Essi non sono gli arbitri che decidono il processo, ma gli esperti che devono esporre al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito proprio del giudizio. Da ciò risulta rafforzata la funzione del giudice, peritus peritorum, chiamato ad esplicitare le informazioni scientifiche disponibili e a fornire razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile, dell’apprezzamento compiuto. Dunque, per evitare l’affermazione della responsabilità penale, il medico potrà invocare le linee guida, purché siano solidamente fondate e come tali riconosciute. Proprio perché le linee guida, come si è detto, propongono solo direttive generali o istruzioni di massima, può però accadere che il medico, in alcuni casi, si trovi a doverle adattare alle contingenze del caso concreto o a dovervi addirittura derogare radicalmente. È in tali ipotesi che trova applicazione la nuova normativa, per cui il medico risponderà solo per colpa non lieve quando commetta qualche errore pertinente all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze e alle peculiarità del caso concreto oppure non scorga la necessità di disattenderle per perseguire una diversa strategia che governi i rischi connessi al quadro d’insieme. In mancanza di disposizioni legislative che chiariscano il confine tra la colpa lieve e la colpa non lieve, la Cassazione delinea quali possano essere le ipotesi di colpa non lieve nelle quali deve affermarsi la responsabilità penale del medico, alla luce della nuova normativa. Si tratta, conformemente a quanto appena detto, del caso in cui “l’erronea conformazione dell’approccio terapeutico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente”; nonché del caso in cui “i riconoscibili fattori che suggerivano l’abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente”.