Giornalisti. Diffamazione. No carcere secondo la Cassazione
Commentatore esperto
.
Corte Cassazione Penale sez 5, n. 38721 del 19 settembre 2019
La pena detentiva inflitta ad un giornalista responsabile di
diffamazione è sproporzionata in relazione allo scopo perseguito di proteggere la
altrui reputazione e comporta una violazione della libertà di espressione
garantita dall'art. 10 Cedu. Più precisamente la Corte, con la sentenza nella
causa Sallusti c. Italia del 7 marzo 2019, «ritiene che l'irrogazione di una pena
detentiva, ancorch
La pena detentiva inflitta ad un giornalista responsabile di
diffamazione è sproporzionata in relazione allo scopo perseguito di proteggere la
altrui reputazione e comporta una violazione della libertà di espressione
garantita dall'art. 10 Cedu. Più precisamente la Corte, con la sentenza nella
causa Sallusti c. Italia del 7 marzo 2019, «ritiene che l'irrogazione di una pena
detentiva, ancorch
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SENTENZA
sul ricorso proposto da
Buonofiglio Fabio, nato a Aschaffenburg (Germania) il 21/01/1974
avverso la sentenza del 15/03/2018 della Corte di Appello di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Michele Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Salerno ha
confermato la sentenza del 21 aprile 2016 del Tribunale di Salerno, che, all'esito
del giudizio ordinario, ha condannato Fabio Buonofiglio alla pena,
condizionalmente sospesa, di mesi tre di reclusione, oltre che al risarcimento del
danno in favore della parte civile Maria Vallefuoco, per il reato di cui all'art. 595
cod. pen., in relazione all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, applicate le
circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.All'imputato si contesta di avere offeso la reputazione di Maria Vallefuoco
pubblicando sul periodico «Altre Pagine», da lui diretto, in data 13 agosto 2011,
un suo articolo titolato «L'allegra compagnia d'una giustizia che va a puttane»
in cui si affermava, per quanto di interesse in questa sede: «... già l'eventuale
reato. E chi lo perseguirebbe? La magistratura? Quella che in carne ed ossa, in
carne soprattutto, parteciperebbe assiduamente a talune feste mondane
organizzate da una ricca imprenditoria troppo spesso border-line e forse pure a
talaltri festini? Mettete per esempio insieme un ipotetico magistrato ed un
altrettanto ipotetico maresciallo che perdono il loro sonno trascorrendo
pomeriggi interi e notti ad indagare "a fondo". Su cosa e sul conto di chi? Sul
loro stesso conto, affusolati tra le lenzuola di un comodo letto. Mettete che la
tresca sessual-amorosa vada avanti per mesi. Un rapporto extraconiugale per
entrambi ed ovviamente clandestino che assume dominio pubblico negli ambienti
deputati all'amministrazione della giustizia. E un marito cornuto che alimenta le
chiacchiere. Che riempiono un palazzo di giustizia stracolmo di fascicoli quanto
vuoto d'imbarazzo. Con avvocati che fanno quotidianamente la fila davanti alla
porta di quel sostituto procuratore al fine di aggraziarselo perché non frapponga
ostacoli alla richiesta di scarcerazione d'un nnalacarne finito in patria galera...
mentre vi à sempre quell'altro magistrato inquirente e quel maresciallo che
insieme, come due conigli, stanno fottendo la Giustizia...».
2. Ricorre per cassazione Fabio Buonofiglio, a mezzo del suo difensore,
chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata ed affidandosi a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo lamenta violazione dell'art. 595 cod. pen., in quanto
i giudici avrebbero errato nel ritenere facilmente individuabile nell'articolo il
riferimento alla persona di Maria Vallefuoco, per essere la stessa l'unico sostituto
procuratore di sesso femminile e coniugata in servizio alla Procura della
Repubblica di Rossano, sebbene l'articolo non facesse riferimento ad un ben
preciso ufficio giudiziario e nonostante che il periodico Altre Pagine fosse diffuso
in tutta la Piana di Sibari, comprendente, oltre a Rossano, anche Castrovillari,
sede di altra Procura della Repubblica.
Inoltre, la Corte di appello si sarebbe basata esclusivamente sulle
deposizioni dei testi Maria Vallefuoco e Fasano, persona di fiducia della stessa
Vallefuoco, la cui attendibilità non era stata adeguatamente valutata.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta della mancata riapertura della
istruttoria dibattimentale ed in particolare della mancata escussione di altri testi,
necessaria per accertare se tutti i lettori del periodico, e non solo le persone
vicine alla Vallefuoco, avessero inteso che l'articolo si riferiva a quest'ultima. Inoltre, secondo il ricorrente l'esame del teste Serafino Trento era
necessario per dimostrare che non era vera la circostanza riferita dalla Vallefuoco
secondo la quale il Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Rossano
Calabro, il lunedì successivo alla pubblicazione dell'articolo, le aveva manifestato
la sua solidarietà. La Corte di appello aveva giudicato la prova superflua senza
indicare le ragioni di tale giudizio.
In tal modo era stato violato il diritto di difesa, dovendosi consentire
all'imputato, a seguito della modifica dell'originaria imputazione, di assumere
nuove prove.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell'entità della pena, fissata in
misura eccessiva rispetto alla gravità del fatto senza che fosse fornita alcuna
motivazione in proposito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Nella sentenza impugnata si afferma che l'articolo sopra descritto consentiva
di intendere in modo univoco il suo riferimento all'odierna parte civile, in quanto
unico magistrato coniugato di sesso femminile in servizio presso la Procura della
Repubblica di Rossano; il periodico si occupava principalmente del territorio di
Rossano Calabro. Nella sentenza di primo grado si dà pure atto, sulla base della
deposizione del teste Francesco Panebianco, che il periodico era diffuso
esclusivamente in ambito locale e che l'articolo in questione si inseriva in una
sequenza di pubblicazioni, riferite dai numerosi testi escussi, in cui si faceva
espresso riferimento all'attività giudiziaria del Tribunale di Rossano Calabro e
della Procura della Repubblica presso il medesimo Tribunale, cosicché appariva
evidente che l'articolo si riferiva in modo univoco alla Vallefuoco.
Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un
unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le
censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo
giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione,
quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano
limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella
decisione impugnata (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 2012, Valerio, Rv.
25261501).
Il motivo del ricorso in cassazione poggia, pertanto, su un dato fattuale (che
il periodico fosse diffuso anche nel territorio del Tribunale di Castrovillari e che l'articolo non consentisse di individuare il riferimento alla Vallefuoco) che è
estraneo alla ricostruzione del fatto operata dalle due sentenze di merito.
In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito
(Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 2015, Musso, Rv. 26548201).
Peraltro, il Tribunale e la Corte di appello, nella ricostruzione del fatto non si
sono basati esclusivamente sulle deposizioni della teste Vallefuoco e del teste
Fasano, ma anche sulle dichiarazioni degli altri testi escussi, che secondo quanto
affermato nelle due sentenze, hanno fornito validi riscontri alla deposizione della
persona offesa.
2. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la mancata
riapertura dell'istruttoria per escutere i testi a prova contraria, è inammissibile.
E' inammissibile, ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., nella parte
in cui si lamenta la mancata ammissione dei testi, non meglio individuati, per
verificare se tutti i lettori avessero inteso che il magistrato al quale si faceva
riferimento nell'articolo fosse la Vallefuoco, trattandosi di motivo nuovo dedotto
per la prima volta nel giudizio di legittimità e non dedotto con uno specifico
motivo di appello.
Nel resto, il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. La
violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove
dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove
che l'imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini
della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto
dell'imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, trova un
limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art.
495 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015 - dep. 2016, Lanzafame,
Rv. 26755901).
Nel caso di specie, dalla sentenza di secondo grado emerge che la Corte di
appello non ha accolto la richiesta di escussione del teste Serafino Trento
ritenendo la prova superflua.
Peraltro, dalle due sentenze di merito risulta che la circostanza che il
ricorrente intendeva confutare attraverso l'esame del teste non è stata affatto
presa in considerazione dai giudici di merito per fondare su di essa la
affermazione della penale responsabilità dell'imputato, che ha le sue basi nel contenuto stesso dell'articolo, nella sua diffusione in ambito locale e
nell'assunzione da parte dell'imputato della paternità dell'articolo medesimo.
Ne consegue che risulta evidente che del tutto correttamente la Corte di
appello ha ritenuto non necessaria la deposizione del teste indicato dal
ricorrente, in quanto avente ad oggetto una circostanza irrilevante ai fini del
giudizio.
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
La Corte EDU, con la sentenza pronunciata nella causa Sallusti c. Italia del 7
marzo 2019 e ancor prima con la la sent. Belpietro c. Italia, 24 settembre 2013,
ha affermato che la pena detentiva inflitta ad un giornalista responsabile di
diffamazione è sproporzionata in relazione allo scopo perseguito di proteggere la
altrui reputazione e comporta una violazione della libertà di espressione
garantita dall'art. 10 CEDU. Più precisamente la Corte, con la sentenza nella
causa Sallusti c. Italia del 7 marzo 2019, «ritiene che l'irrogazione di una pena
detentiva, ancorché sospesa, per un reato connesso ai mezzi di comunicazione,
possa essere compatibile con la libertà di espressione dei giornalisti garantita
dall'articolo 10 della Convenzione soltanto in circostanze eccezionali,
segnatamente qualora siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali,
come, per esempio, in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza» e
precisa che la violazione sussiste anche se la pena detentiva è stata sospesa,
come nel caso di specie.
In applicazione dei suddetti principi, non ricorrendo alcuna delle circostanze
eccezionali indicate dalla Corte EDU, la pena inflitta all'odierno ricorrente risulta
eccessiva ed il suo ricorso è fondato in parte qua.
4. Non risultando il ricorso inammissibile deve rilevarsi che il reato
contestato al Buonofiglio si è ormai estinto per prescrizione.
Il reato è stato commesso il 13 agosto 2011 e considerando anche giorni 28
di sospensione conseguenti a due rinvii per impedimento disposti alle udienze del
14 maggio 2014 e del 9 aprile 2015, il termine massimo di prescrizione pari ad
anni sette e mesi sei ai sensi degli artt. 157 e 161, secondo comma, cod. pen. è
maturato in data 13 marzo 2019.
Non risultando la evidenza di alcuna delle cause di proscioglimento previste
dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., deve dichiararsi la estinzione del reato
per prescrizione e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli
effetti penali.
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