Reato di falso ideologico per l’autocertificazione di reddito più basso.
Corte di Cassazione- Quinta Sez. Pen. Sentenza N. 33218 del 23 Agosto 2012.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
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La Corte Suprema di Cassazione, respingendo il ricorso dell’imputata, ricorda la sua Giurisprudenza consolidata che stabilisce come l'articolo 76 del Testo Unico delle Disposizioni Legislative e Regolamentari in materia di documentazione amministrativa, stabilendo la sanzione penale per dichiarazioni mendaci e atti falsi, rimanda al Codice Penale e alle Leggi speciali in materia: dunque, per il reato dell'articolo 483, risponde il privato che pone false attestazioni circa gli stati, le qualità personali e i fatti così come da articolo 46 del Testo Unico per ottenere determinati benefici.
La vicenda trae inizio dal fatto che una contribuente rendeva false dichiarazioni sul reddito in una dichiarazione sostitutiva affermando di essere titolare di redditi pari a zero.
Considerando questo, partiva il processo per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex articolo 483, codice penale.
Il Tribunale di Foggia condannava la contribuente che proponeva ricorso in Corte di Appello.
La Corte d’Appello confermava la condanna di primo grado condannato l’imputata per il delitto di false dichiarazioni sul reddito, rese in dichiarazione sostitutiva di certificazione.
L’imputata propone ricorso per Cassazione sostenendo che nella specie mancava sia l’elemento soggettivo poiché il delitto era stato compiuto per distrazione sia l’elemento oggettivo, poiché l’autocertificazione prodotta, e quindi, le dichiarazioni del privato rese al Pubblico Ufficiale, non è da considerarsi atto pubblico.
Ancora la parte sostiene l’intervenuta prescrizione del reato atto pubblico.
La Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Sentenza Corte di Cassazione, Quinta sezione penale, n. 33218 del 23 Agosto 2012:
Ritenuto in fatto
Il legislatore non vuole punire tutte le dichiarazione o false attestazioni del privato, ma ha valutato il valore di prova dato al documento dall'ordinamento giuridico: dunque, si è voluto delineare un interesse legato alla funzione probatoria specifica che al documento viene assegnata dalle norme giuridiche a prescindere dall'uso concreto dall'atto, che non fa parte della struttura normativa né è richiesto per l’incriminazione..
La Cassazione considera non avvalorata la dichiarata buona fede della contribuente poiché, si sostiene, che la stessa non poteva disconoscere la sua reale posizione reddituale: considerato ciò, non necessitava la prova del dolo legato all'operazione stessa, poiché, nel delitto di cui si scrive, il dolo è escluso tutte le volte che la falsità è dovuta a una leggerezza o negligenza.
Si ricordi, a tal proposito, che la Corte di Cassazione, relativamente all’elemento soggettivo del reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico, si incentra sulla necessità di indagare la rappresentazione e la volontà dell’agente del falso.
Infatti, nella Sentenza nr. 47867/2003, si affermava che “il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 cod. pen. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero”; nella Sentenza nr. 27770/2004, in tema di falso ideologico affermava che, anche se veniva richiesto il dolo generico per il delitto si doveva escludere la sua sussistenza per il solo fatto che l’atto contenga un asserto obiettivamente non veritiero, dovendosi invece verificare, che la falsità non sia dovuta ad una leggerezza dell’agente come pure ad una incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi amministrativa.
Dunque, alla luce di quanto affermato dalla stessa Suprema Corte, l’analisi della sussistenza dell’elemento soggettivo deve essere oggetto di una ricerca del Giudice che deve valutare che la dichiarazione sia frutto di un volontario e consapevole atteggiamento di falsità.
In particolare, l’imputata propone ricorso per Cassazione:
- con il primo motivo, si eccepisce che il dolo, elemento per il delitto di falsità ideologica, ex articolo 483 cod. pen., è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto con la consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero escludendo il dolo nel caso in cui la falsità è derivante da una leggerezza o da una negligenza. Nel caso concreto, non è possibile dimostrare che l’imputata abbia redatto la propria dichiarazione con leggerezza essendo consapevole che la sua posizione reddittuale non poteva essere pari allo zero;
- con il secondo motivo, si analizza l’articolo 483 cod.pen.. Si considera che lo stesso ha natura di norma in bianco e, quindi, per la definizione del suo contenuto, è necessario il collegamento con una diversa norma, anche di carattere extrapenale, che possa portare valenza probatoria all’atto della dichiarazione non veritiera.
Infatti, l’autocertificazione, ex D.P.R. 28 Dicembre 2000, n. 445, ha proprio la funzione di norma integratrice del precetto penale portando efficacia probatoria alla dichiarazione del privato di provare i fatti attestati. Si evita, così, di provare i fatti con la produzione della dichiarazione dei redditi;
- con il terzo motivo si prospetta la prescrizione del reato. La Suprema Corte osserva che applicando i termini ex articoli 157 e 161 cod.pen. dopo l’emanazione della Sentenza successivamente all’entrata in vigore della novella 251/2005 e non ravvisandosi violazione del dettato costituzionale in tale normativa, i fatti accertati il 2 Dicembre 2004 sono prescritti il 2 Giugno 2012, termine non ancora decorso alla presente decisione.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
1. La Corte di Appello di Bari, con Sentenza dell’11 Aprile 2011, ha confermato la Sentenza del Tribunale di Foggia del 30 Giugno 2010 ed ha condannato LMM per il delitto di false dichiarazioni sul reddito, rese in dichiarazione sostitutiva di certificazione.
2. Avverso tale Sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, lamentando l’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’ascritto reato compiuto per mera disattenzione, l’insussistenza dell’elemento oggettivo per non essere le dichiarazioni del privato rese al pubblico ufficiale né destinate a confluire in atto pubblico, infine per l’intervenuta prescrizione del reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Quanto al primo motivo, si osserva come il dolo integratore del delitto di falsità ideologica, di cui all’articolo 483 cod. pen., sia costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Cass. Sez. II 28 Ottobre 2003 n. 47867).
Si esclude, inoltre, il dolo del delitto di falso tutte le volte in cui la falsità risulti essere semplicemente dovuta ad una leggerezza o ad una negligenza, non essendo prevista nel vigente sistema la figura del falso documentale colposo (Cass. Sez. VI 24 Marzo 2009 n. 15485).
Nella specie non v’è affatto prova che l’imputata abbia redatto la propria dichiarazione con leggerezza, ben conoscendo, al contrario, la propria situazione reddituale sicuramente non pari allo zero.
3. l’articolo 483 cod.pen. ha, poi, natura di norma in bianco che, quindi, richiede, per la definizione del suo contenuto precettivo, il collegamento con una diversa norma, eventualmente di carattere extrapenale, che conferisca attitudine probatoria all’atto in cui confluisce la dichiarazione non veritiera, così dando luogo all’obbligo per il dichiarante di attenersi alla verità.
In tal senso si è costantemente espressa la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite Cass. Sez.Un. 13 Febbraio 1999 n. 6; 15 Dicembre 1999 n. 28 e a Sezioni semplici Cass. Sez. V 13 Febbraio 2006 n. 19361 e Sez. V 4 Dicembre 2007 n. 5365).
L’autocertificazione, prevista dal D.P.R. 28 Dcembre 2000, n. 445 svolge, proprio, la funzione di norma integratrice del precetto penale attribuendo efficacia probatoria ai fini amministrativi alla dichiarazione del privato di provare i fatti attestati, evitando l’onere di provarli con la produzione nella specie, della dichiarazione dei redditi e così collegando l’efficacia probatoria dell’atto al dovere dell’istante di dichiarare il vero.
4. Quanto alla prescrizione, deve osservarsi come, applicando i termini di cui ai novellati articoli 157 e 161 cod.pen., a cagione della emanazione della Sentenza di prime cure dopo l’entrata in vigore della novella 251/2005 e non ravvisandosi per quanto ripetutamente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte alcuna violazione del dettato costituzionale in tale normativa (Cass. Sez. Un. 29 Ottobre 2009 n. 47008 e 24 Novembre 2011 n. 15933), deve osservarsi come i fatti accertati il 2 Dicembre 2004 sarebbero prescritti solo il 2 Giugno 2012, termine non ancora decorso all’atto della presente decisione, senza neppure tener conto del periodo di sospensione di cui al giudizio di prime cure.
5. Dal rigetto del ricorso deriva, infine, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Antonietta Savino
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