Maltrattamenti in famiglia per gelosia? Non si si applica l'aggravante dei futili motivi.
Corte di Cassazione, Sentenza n. 28111/2012.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
Letto 571 volte dal 24/07/2012
La configurabilità della circostanza aggravante dei futili motivi di cui all'art. 61, n. 1, c.p. ricorre quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno, così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.
La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 28111/2012, ribadendo il principio di diritto, consolidato nella Giurisprudenza di Legittimità, ha accolto il ricorso di un cittadino straniero, annullando la Sentenza che lo condannava a 2 anni e sei mesi dopo la derubricazione del tentato omicidio in maltrattamenti in famiglia. La Suprema Corte, ha precisato che, è sempre necessario, che il giudizio sulla futilità del motivo, non sia riferito ad un comportamento medio, ma sia ricondotto agli elementi concreti del caso, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono avere condizionato la condaotta criminosa. in tal caso la Suprema Corte afferma che la Corte d'Appello non si è attenuta a tale rigoroso quadro di prinicipii. Infatti, la Corte territoriale ha, da un lato, correttamente escluso che il motivo della gelosia possa integrare la contestata aggravante, dall'altro lato, ha affermato che i futili motivi "sfumano in una confusa reattività" imputandola, contraddittoriamente, alla stessa gelosia, omettendo così di identificare in concreto la natura e la portata della ragione giustificatrice della condotta delittuosa posta in essere, quale univoco indice di un istinto criminale più spiccato e di un più elevato grado di pericolosità dell'agente. La sussistenza dell'aggravante - così come configurata - secondo la Corte, deve essere esclusa.
Pertanto, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, confermando la Sentenza di condanna del Giudice di Secondo Grado pronunciata nei confronti di un immigrato ‘reo’ di aver ucciso sua moglie dopo una scenata di gelosia, ha stabilito che il movente della cd. “gelosia morbosa” non può essere considerato un’aggravante e ciò in quanto stato passionale e causa frequente di delitti, anche gravissimi. In particolare, secondo la Suprema Corte, il predetto stato emotivo non può essere considerato un’aggravante ex art 61 I c.p. in quanto l’aggravante è prevista solo quando il delitto è causato da uno 'stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l'azione delittuosa, tanto da poter considerarsi più che una causa determinante l'evento un pretesto per dare sfogo all'impulso criminale’. Secondo la Corte, quindi, la gelosia non può essere tale da considerare una ragione inapprezzabile di pulsioni illecite e quindi integrare la sopra detta circostanza aggravante.
L'orientamento conforme
Tale pronuncia, tuttavia, è in linea con un'altra recente della Corte di Cassazione, la quale, quanto al reato di maltrattamenti in famiglia, aveva altresì escluso la sussistenza della circostanza aggravante a seguito della commissione del predetto illecito a causa della gelosia del reo. A riguardo, la Cassazione ha ritenuto dover escludere la sussistenza dell'aggravante dei motivi abietti nel caso in cui il reato di lesioni o maltrattamenti sia compiuto per ragioni di pura gelosia che, collegata ad un sia pure abnorme desiderio di vita in comune, non è, da sola, espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima né manifestazione di intolleranza alla insubordinazione di questa, considerata come propria appartenenza (Cass. Penale Sez. V, 22/09/2006, n.35368).
L'orientamento contrario
D'altro canto, la Suprema Corte, con una serie di pronunce risalenti a più di 10 anni addietro, in una fattispecie similare a quella in oggetto, aveva giudicato la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi a seguito di delitti posti in essere in stato di gelosia. Ciò, soprattutto, quando la gelosia sia espressione del sentimento di dominio del reo sulla vittima. Infatti, la Cassazione aveva ritenuto che, alla luce del comune sentire nell'attuale momento storico che attribuisce sempre maggiore rilevanza alla libertà di autodeterminazione, deve ravvisarsi la sussistenza dell'aggravante dei motivi abietti nel caso in cui un omicidio sia compiuto non per ragioni di gelosia collegate ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, ma sia espressione di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale, pertanto, non può tollerarsi l'insubordinazione (Cass. Pen., Sez. I, 22/09/1997, n.9590)
L'orientamento “neutro
Infine, sussiste un “terzo” orientamento della Cassazione sulla “gelosia” come circostanza, il quale considera il succitato stato emotivo, né una attenuante, né una circostanza aggravante. Ciò in base alla ragione per cui, il delitto, sebbene consumato per salvaguardare l'onore e la rispettabilità del reo o del suo nucleo familiare, non può essere mai una comportamento valutato positivamente. In particolare, gli Ermellini avevano ritenuto che, in tema di circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale (art. 62 n. 1 c.p.), va escluso che un omicidio, commesso per salvaguardare l'onore pretesamente offeso dalla relazione amorosa con il proprio coniuge, e per ricostituire l'unità familiare, trovi approvazione nella coscienza etica collettiva: la gelosia e la vendetta, dettate da un malinteso senso dell'orgoglio maschile colpito dall'infedeltà coniugale, costituiscono, sempre, passioni morali riprovevoli, mai, suscettibili di valutazione etica positiva (Cass. Pen., Sez. I, 22/09/1997, n.9590)
In un altra Sentenza gli stessi Giudici avevano statuito che, ai fini della configurabilità dell'attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale non è sufficiente la convinzione personale di perseguire un fine moralmente apprezzabile; ma è necessaria l'obiettiva rispondenza del motivo a valori effettivamente ed intrinsecamente apprezzabili dal punto di vista etico, valori che debbono essere riconosciuti preminenti dalla coscienza della collettività.
Pertanto, non è censurabile il Giudice che esclude l'attenuante nell'omicidio commesso per gelosia nei confronti del coniuge, poiché, il senso morale comune non approva l'uccisione del coniuge che sia venuto meno al suo dovere di fedeltà, poiché, tale atto non reintegra l'ordine familiare turbato, ma costituisce l'espressione di un malinteso senso dell'onore e di una esasperata valutazione della propria dignità (Cass. Pen., 13/02/1990).
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